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ECONOMISTICA

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Se volete farvi un’idea chiarissima sul motivo per cui, giustamente, si dice che l’economia non è una scienza esatta e

che gli economisti confondono spesso la dura realtà con le loro morbide fantasie, se volete un esempio insuperabile

del potere auto-suggestivo della psiche umana e della sua capacità di contorcere i fatti ad uso e consumo di una

ideologia, non potete perdervi l’articolo di Pietro Reichlin pubblicato su Il Sole 24 Ore del 29 aprile scorso. Il pezzo è

così denso di affermazioni significative – nel senso anzidetto – da meritare una citazione copia-incolla, ma non

possiamo per ragioni di spazio. Ergo, ci limitiamo a chiosare alcune perle provando a evitare la tentazione, troppo

comoda, del no comment. Ecco alcuni bocciuoli dal mazzolin di fiori: “Dal 1980 al 1999 la lira ha perso circa il 53%

del suo valore nei confronti del marco, ma questa svalutazione progressiva è stata interamente vanificata

dall’inflazione e dalla bassa crescita della produttività”. Alzi la mano chi se n’è accorto. In realtà, in quegli anni,

l’Italia cresceva come oggi vorremmo crescesse ed era la quinta potenza industriale del mondo, le sorti dei giovani

non erano immolate sull’altare della disoccupazione e agli italiani  riusciva non solo di sopravvivere, ma anche di

vivere e magari di godersela e di mettere fieno in cascina per l’inverno (che poi, purtroppo, è arrivato). Ma

procediamo con le perle: “La crescita è stata più elevata e l’inflazione più contenuta proprio nel periodo di massima

stabilità del cambio nominale (il periodo 1988-92)”. Anche qui, la storia fa spallucce perché la storia sa che fu

proprio l’uscita da quella rigidità a ridare fiato e slancio all’economia italiana e, forse, a consentirle pure il disgraziato

ingresso nell’euro. Ma non è finita, tenetevi forti sul sedile: “L’adozione di un regime di cambi fissi consente ai

governi dei Paesi che hanno istituzioni deboli di guadagnare credibilità e così, sconfiggere l’inflazione, proteggere il

potere d’acquisto dei salari e recuperare competitività”. Cosa puoi obiettare a una tale mistica  rivisitazione della crisi

più cupa dal Ventinove in qua? Un crisi determinata anche, se non soprattutto, da quel regime di cambi fissi

costituito dalla moneta unica? A smentire le parole di Reichlin, c’è forse un esperimento sociale più riuscito – nella

storia delle scienze umane – rispetto  alla devastazione di intere economie, alla svendita di un glorioso patrimonio

nazionale, alla distruzione del potere d’acquisto dai salari degli italiani e alla fine del concetto stesso di salario

dignitoso provocate dal nostro ingresso dell’euro? No, non c’è. Eppure, per Reichlin, e per gli economisti di certe

scuole, non sono le teorie a doversi misurare con la realtà, è la realtà a doversi piegare alle loro teorie. Ma la realtà se

ne impipa e si scompiscia pure dal ridere nel leggere prodigi retorici come questo: “Gli accordi di cambio del

trentennio che precede la moneta unica lasciavano un margine di flessibilità, ma determinavano la dominanza

politica monetaria della Bundesbank”. ‘Prima’, capito? Non dopo, dopo no. ‘Dopo’, secondo lui, la Germania

dominante è stata messa in riga dalla moneta comune. Peccato che l’economia accademica rifiuti di farsi mettere in

riga dal comune senso del pudore.

Francesco Carraro

[email protected]


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