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Economist: L’Unione Euroscettica

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Guest post di Voci dall’estero

 

Charlemagne nel suo blog sull’Economist fa un’analisi equilibrata dei primi risultati (ora però confermati). Gli euroscettici guadagnano enorme slancio ma sono divisi tra varie fazioni. Dall’altra parte i due partiti maggiori (il “centrodestra” dei Popolari e il “centrosinistra” dei Socialisti) dovranno unire i voti per poter eleggere un nuovo presidente della Commissione Europea (il più probabile è Juncker!).
Il dato sconfortante (per noi) è che mentre nella maggioranza dei paesi il risultato degli euroscettici aumenta la pressione per il recupero della sovranità, la nostra Italia rimarrà verosimilmente piegata come un fuscello alla linea tedesca.
 
 
di Charlemagne, 26 maggio
 
Nigel Farage, il leader del Partito Indipendentista Britannico (UKIP), ha riassunto nel miglior modo il terremoto elettorale che ha scosso la politica europea il 25 e 26 maggio. L’integrazione europea una volta sembrava inevitabile, ha detto; da adesso in poi non lo è più.

I primi risultati (vedi qui) mostrano che partiti anti-UE di destra di vario genere hanno vinto in Francia, in Gran Bretagna e in Danimarca. Il partito anti-euro (ma pro-UE) Alternative für Deutschland ha fatto un balzo in Germania. In Grecia, il partito neo-nazista Alba Dorata è sulla via per entrare al Parlamento Europeo. Alla estrema sinistra, intanto, il partito anti-troika Syriza è in testa nei risultati. Dopo anni di crisi finanziaria, il maggiore pericolo per il progetto europeo è ora la stagnazione economica e, soprattutto, il rigetto politico.

Ci sono, naturalmente, molti limiti nella rappresentazione di un euroscetticismo rampante. Sebbene i partiti mainstream pro-europei si siano indeboliti, mantengono ancora una maggioranza dei due-terzi nel Parlamento Europeo. In Italia, dove la politica è più frammentata che nella maggior parte degli altri paesi, il Partito Democratico è stato rienergizzato dal riformista Matteo Renzi e si avvia ad ottenere oltre il 40% dei voti. E sebbene i partiti anti-UE abbiano largamente incrementato i loro numeri, sembra abbiano fatto male in Olanda e abbiano deluso in Finlandia.

Il Parlamento Europeo può festeggiare il fatto che la lunga discesa dell’affluenza alle urne da quando le elezioni dirette sono state istituite si sia arrestata, se non addirittura capovolta. Gli “Spitzenkandidaten”, nome tedesco per i principali candidati alla presidenza della Commissione Europea, espressi dai più importanti partiti, hanno detto che è stata vincente l’idea di una competizione più personale per la carica. Se i leader di governo europei saranno d’accordo, quando si incontreranno per la cena del 27 maggio, sarà un’altra storia.

Detto ciò, la cruda realtà è che la linea politica in Europa si sta spostando: da sinistra verso destra, dai partiti pro-europei ai partiti anti-europei. La notte appartiene ai sostenitori di Marine Le Pen, che ha lustrato a nuovo il Front National in Francia e battuto sia l’UMP di centro-destra che il Partito Socialista di François Hollande. Il Front National dovrebbe ottenere circa un terzo dei 74 seggi assegnati alla Francia, a dispetto delle recenti proteste per gli ultimi commenti del padre della Le Pen, Jean-Marie Le Pen, che ha suggerito che la crisi dell’immigrazione si potrebbe risolvere con il virus Ebola. Metà del motore franco-tedesco dell’integrazione UE sembra avere inserito la retromarcia, con conseguenze imprevedibili per l’intero progetto europeo.

In Gran Bretagna, che è sempre stata più scettica verso il progetto europeo, l’UKIP di Farage sembra aver battuto i partiti tradizionali, con il Partito Laburista, di opposizione, che è arrivato secondo e il Partito Conservatore del Primo Ministro David Cameron arrivato terzo. “Non voglio che la Gran Bretagna lasci l’UE. Voglio che l’Europa lasci l’UE,” ha dichiarato Farage.

La consolazione per i pro-europei è che gli euroscettici sono divisi tra sinistra e destra. Anche a destra sono divisi tra loro, con posizioni che vanno da quelle eurocritiche dei Conservatori e Riformisti Europei, guidati dai Conservatori britannici, alle posizioni anti-UE di Europa per la Libertà e la Democrazia (EFD), guidate dall’UKIP, e un’alleanza di destra radicale guidata dalla Le Pen. Se ci siano abbastanza voti e partiti da questa parte dello spettro politico perché tutti e tre possano formare un gruppo parlamentare (che richiede almeno 25 parlamentari e 7 paesi diversi) resta da vedere. Farage, dalla sua, ha rifiutato di unire le forze con la Le Pen, menzionando il razzismo che egli pensa sia presente nel DNA del Front National. Nel frattempo il principale alleato della Le Pen, Geert Wilders del Partito per la Libertà, sembra essere arrivato quarto in Olanda [in realtà terzo secondo i dati aggiornati, NdT], forse in parte come conseguenza della repulsione per il commento sull’Ebola fatto dal padre della Le Pen. Il Partito Popolare Danese, che è arrivato primo, si è a sua volta distanziato dalla Le Pen, accennando di preferire un’alleanza con i Conservatori britannici.

Le elezioni europee sono, ovviamente, fatte su misura per un voto di protesta, a dispetto degli sforzi degli Spitzenkandidaten di alzare il proprio profilo. Come ha detto Joseph Daul, leader del Partito Popolare Europeo, il partito ombrello delle forze di centro-destra, la Le Pen dovrebbe prima vincere le elezioni nazionali per portare la Francia verso un’uscita dell’euro o dalla UE. Nemmeno i Greci al culmine della crisi avevano osato tanto.

Ciononostante, gli Euroscettici hanno ora guadagnato slancio politico. I governi in Gran Bretagna e Francia si trovano di fronte all’acuto dilemma di come reagire, e la cosa più probabile è che irrigidiranno le loro posizioni su una serie di punti, in particolare sull’immigrazione e l’allargamento dell’UE. Aumenteranno le pressioni perché i poteri dell’UE vengano riportati in patria.

A Bruxelles la reazione dei gruppi mainstream sarà quella di formalizzare l’alleanza informale centrista che di fatto già opera nel Parlamento Europeo. Una maggioranza assoluta di 376 sui 751 voti parlamentari è necessaria per approvare il nuovo presidente della Commissione Europea (nominato dai leader di governo). E date le divisioni nazionali all’interno dei gruppi-ombrello, una maggioranza di circa 400 voti sarà preferibile per avere una maggioranza stabile.

I numeri pertanto puntano ad una grande coalizione tra Cristiano-Democratici (EPP) e Socialisti (S&D), forse con una mescolanza dei Liberali (ALDE) e dei Verdi (Greens/EFA). Le ultime previsioni suggeriscono 212 seggi all’EPP, 185 a S&D, 71 all’ALDE, e 45 ai Verdi [gli ultimi dati più o meno confermano, salvo una flessione dell’ALDE, NdT].

Jean-Claude Juncker, ex primo ministro del Lussemburgo e Spintzenkandidat per l’EPP, ha rivendicato il diritto a diventare presidente della Commissione Europea, nonostante molti sospettino che egli voglia piuttosto diventare presidente del Consiglio Europeo, colui cioè che rappresenta i leader politici (ma egli nega). L’altro Spitzenkandidaten, comunque, non ha ancora ceduto su questo punto. Martin Schultz, attuale presidente del Parlamento Europeo e Spitzenkandidat dei Socialisti, dice che l’effettivo equilibrio del potere può ancora cambiare dopo che i voti siano stati contati [ma abbiamo visto che non è così, NdT]. In ogni caso, Schulz ha suggerito di essere maggiormente in grado di formare una coalizione, data l’avversione di Juncker ad avere a che fare con gli euroscettici. Juncker ha detto che “non si inginocchierà” davanti ad altri partiti, anche se accetta di dover fare compromessi con loro.

Il maggiore problema di Juncker può essere con i leader. Il Primo Ministro ungherese, Victor Orban, ha detto che non sosterrà Juncker. Da parte sua Cameron è noto per opporsi a tutti gli Spitzenkandidaten. Ma se Cameron riuscirà a raccogliere abbastanza consenso per formare una minoranza capace di bloccare le decisioni, non è ancora chiaro.


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