Attualità
Ecco perché non ci sarà un attacco speculativo contro l’Italia come quello del 2011 di F.Dragoni e A.M. Rinaldi
Senza sedi, volantini e militanti. Dirigenti molti e voti pochi. Peso elettorale inversamente proporzionale alla sua potenza di fuoco. Signore e signori ecco a voi il partito dello spread che a giorni alterni preconizza ed alimenta paure in merito a possibili attacchi speculativi a suon di vendite sui nostri titoli di stato. E pure dentro al Governo c’è chi mette le mani avanti presagendo un autunno rovente. Le settimane convulse che hanno portato alla nascita del nuovo Governo hanno determinato un allargamento nel differenziale di rendimento fra BTP e BUND a 10 anni. Lo stesso comportamento sul mercato secondario della BCE non ha contribuito a placare le tensioni dal momento che nel trimestre maggio-luglio scorso ha incrementato rispetto al precedente trimestre febbraio-aprile gli acquisti di titoli tedeschi a 10 anni in misura pari ad oltre il 30% contro un +5% degli omologhi titoli spagnoli ed italiani. Ma solo per questi ultimi si è registrata una sensibile diminuzione dei prezzi con aumento dello spread fino a 280 bp. La domanda che ci poniamo è semplice: può l’Italia tornare ad essere vittima di un forte attacco speculativo come avvenuto nell’autunno del 2011con conseguente rimozione e cambio di esecutivo alla guida del Paese? La nostra risposta è no per almeno tre ordini di ragioni: una di tipo economico, una tipo geopolitico ed una di tipo politico.
Motivo numero 1. L’Italia nel 2017 ha registrato un attivonella bilancia dei pagamenti di oltre 47 miliardi di euro contro un passivo di 49 miliardi nel 2011 che si sommava a un rosso ancor più acceso di 54 miliardi nel 2010. L’Italia usciva dalla crisi del 2008 cercando di alimentare la domanda interna con una politica fiscale tenuemente espansiva. Nel biennio 2009-10 l’Italia interrompe la serie infinita di avanzi primari che dal 1990, poi ripresa nel 2011, ha portato l’Italia a cumulare un surplus prima degli interessi sul debito di oltre 700 miliardi. Risorse che sono state cioè sottratte all’economia con tasse che hanno superato la spesa pubblica. Ma il vero problema che allora voleva e doveva essere risolto erano i conti con l’estero la cui differenza fra 2011 ed oggi è di circa 100 miliardi. Mario Monti sottopose l’Italia ad una tortura fatta di lacrime (quelle della Fornero) e sangue (quello degli italiani) con il dichiarato ed esplicito intento di pareggiare i conti con l’estero piuttosto che quelli pubblici i cui saldi non hanno infatti fatto altro che peggiorare. Quale modo migliore per far smettere gli italiani di consumare beni importati dall’estero che farli smettere di spendere del tutto massacrandoli di tasse sulla casa e colpendoli nelle pensioni? Già nel 2012 gli italiani avevano così smesso di consumare che l’Italia aveva portato la bilancia dei pagamenti quasi in pareggio a circa -5 miliardi. La vera emergenza erano i conti con l’estero e non i conti pubblici come del resto Mario Monti candidamente ammise in un’intervista ormai celebre alla CNN. Ma quell’emergenza di allora oggi non c’è e lo scenario di allora appare quindi assai meno probabile. Risultato di tale aggressiva politica di austerity nel periodo nov. 2011/nov. 2012 fu un disastroso calo del PIL del 2.6%, una disoccupazione dal 9.30 al 10.80% e il rapporto debito pubblico/PIL dal 120.70 al 126.40%, dimostrando inequivocabilmente che la cura proposta da Monti fu un totale fallimento per il Paese.
Motivo numero 2. L’inquilino della Casa Bianca è cambiato. Donald Trump al posto di Barack Obama si è posto l’obiettivo di favorire il rimpatrio delle attività produttive dentro i confini USA. Per far questo non è andato troppo per il sottile. Ha disintegrato l’accordo per il libero scambio in Nord America (NAFTA) firmando una nuova intesa bilaterale con il Messico e mettendo all’angolo il Canada. Ha imposto dazi su prodotti in acciaio ed alluminio provenienti dall’Unione Europea e dalla Cina mettendo sulla graticola soprattutto Berlino il cui avanzo commerciale è in valore assoluto paragonabile a quello della Cina grazie all’euro. Un sorta di marco svalutato che beneficia del fatto che paesi deboli come Grecia, Spagna, Cipro e Portogallo contribuiscono a renderne basso il prezzo rispetto al dollaro. Trump ha tutto l’interesse a veder scendere il valore del biglietto verde rispetto all’euro e si è dichiarato disponibile ad offrire un appoggio concreto all’Italia. Acquistare euro per prendersi BTP contribuirà ad abbassare il prezzo del dollaro e gli consentirà di rafforzare la presa su un paese strategico come l’Italia alimentando inoltre le spinte disgregatrici di un’Unione Europea destinata a collassare, almeno nell’attuale configurazione, con le prossime elezioni europee del 2019. Le banche americane potranno quindi acquistare BTP a buon mercato contribuendo a mitigare la discesa dei rendimenti. Cosa che nel 2011 non era minimamente pensabile.
Motivo numero 3. Se nel 2011 nessuna forza politica aveva la ragionevole certezza di acquisire la maggioranza dei seggi in una possibile tornata elettorale anticipata, il governo giallo-verde è accreditato in tutti sondaggi di riscuotere il consenso di almeno il 60% degli elettori. Spodestarlo potrebbe quindi essere un boomerang. Qualsiasi nuovo esecutivo non potrebbe contare su una maggioranza parlamentare certa e stabile mentre si avvicinano le elezioni europee. Uno scenario politico completamente diverso rispetto al 2011.
Inoltre nella calda estate di quell’anno, in piena crisi del debito sovrano italiano, l’allora presidente della BCE, il francese Trichet, alzò per ben due volte il tasso ufficiale di sconto con la scontatissima e prevedibilissima conseguenza di gettare benzina sul fuoco mentre ora, per fortuna, c’è al suo posto Mario Draghi che nel frattempo ha concepito una operazione di stimolo monetario straordinaria come il QE. Ragionevolmente possiamo pensare che dopo aver acquistato quasi 2,500 Mld di euro in titoli proprio adesso -nel momento di maggior bisogno- tiri indietro la mano e vanifichi quanto di buono è stato fino ad ora fatto? E’ perfettamente a conoscenza che abbandonare l’Italia in questo momento significherebbe condannare a morte l’euro e c’è da giurarci che non vorrà passare alla storia come quello chi non è riuscito ad evitarlo. Proprio lui che aveva pronunciato il famigerato “whatever it takes”.
Per quanto il Partito dello Spread possa essere potente e ben corrazzato sembra essere l’equipaggiatissimo esercito americano dentro le foreste del Vietnam alle prese coi Vietcong. Come quella guerra è andata a finire tutti quanti lo sappiamo.
Fabio Dragoni e Antonio M. Rinaldi, MF 30 agosto 2018
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