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Economia

Ecco perchè è cosi importante l’accordo raggiunto ieri sull’ Ilva

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Il ministro Adolfo Urso, grande artefice dell’accordo raggiunto ieri al Mimit per la decarbonizzazione dell’impianto siderurgico di Taranto, lo ha definito un “accordo storico”. Altri come il presidente Orsini o il presidente della Puglia, Michele Emiliano non si sono spinti a tanto, ma hanno espresso grande soddisfazione per una soluzione che salva dall’ipotesi di chiusura il più grande polo siderurgico del sud Europa.

“Questa è una svolta che potrà incoraggiare gli investitori a manifestarsi con i loro piani industriali il rilancio della siderurgia, della riconversione, della conversione green», ha detto il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, a proposito della bozza di intesa per la decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto. «Oggi finalmente sappiamo – aggiunge Urso – che c’è la squadra Italia unita per la prima volta nella storia di questa vicenda che dura da oltre 15 anni. Un accordo tra tutti i soggetti istituzionali, il governo nazionale, la Regione, gli enti locali, nel giocarsi la partita che è straordinariamente importante”.

Le vicissitudini dell’impianto tarantino si trascinano ormai da decenni e nascono da quella stagione di vendite statali operata da Romano Prodi agli inizi degli anni 90, che si sono dimostrate quanto meno affrettate per usare un eufemismo. Il ministro Urso si è trovato per mani la classica patata bollente di un impianto sotto sequestro dai magistrati con una produzione ridotta di un terzo, dopo la disastrosa gestione degli indiani di Mittal e  dopo che un incendio a maggio scorso aveva messo fuori l’altoforno 1, aveva messo i venditori azeri di Baku, Le ipotesi sul tavolo del ministero e del governo italiano erano appunto due o decidere per la chiusura definitiva dell’impianto, come in effetti chiedeva qualcuno dall’opposizione, con ricadute pesanti sui livelli occupazionali e sull’indotto oppure puntare sulla decarbonizzazione dell’impianto.

Un obiettivo che passa dallo spegnimento delle aree a caldo a carbone e sostituzione con forni elettrici ad arco (EAF). Anche se nel testo firmato ieri, come era anche prevedibile, non ci sono date vincolanti per lo switch né decisioni su dove sorgerà il polo DRI (Direct Reduced Iron), indispensabile ad alimentare gli EAF. Tutto rimandato a dopo il 15 settembre (termine per le offerte vincolanti), quando si terrà una nuova riunione per discutere dei dettagli. Ma in cosa consiste esattamente la decarbonizzazione dell’impianto? Essa si basa sulla sostituzione delle tecnologie tradizionali ad alto impatto con soluzioni innovative come i forni elettrici, che sono alimentati da energia rinnovabile, consentono di fondere il ferro con emissioni drasticamente inferiori rispetto ai vecchi altiforni.

Altro punto focale è la realizzazione degli impianti Dri che producono ferro utilizzando principalmente gas naturale e, in prospettiva, idrogeno verde, riducendo così la dipendenza dal carbone e l’emissione di gas serra. In questo modo come più volte sostenuto dal ministro in Italia si creerebbe il primo e più importante polo siderurgico green d’Europa, salvaguardando l’occupazione e la salute di lavoratori e famiglie che vivono nelle vicinanze dell’impianto. Il settore dell’acciaio d’altra parte causa circa il 5% delle emissioni di CO2, oltre a una enorme quantità di inquinanti di ogni tipo, dalle polveri sottili fino agli idrocarburi aromatici.

La soluzione scelta dal governo è quella che certamente va incontro alla doppi esigenza di tutelare un presidio industriale, di grande rilevanza strategica  per il paese e allo stesso tempo salvaguardare occupazione e salute dei cittadini tarantino che da anni lottano per avere un ambiente più salubre dove vivere. In conclusione lasciano il tempo che trovano le accuse al governo da chi come Conte gesti il dossier Ilva in maniera a dir poco disastrosa.

Basti pensare a quello che disse un piccola postilla su quello che il disse la famigerata ministra del sud Barbara Lezzi nel 2019 a proposito della crisi di Ilva Barbara Lezzi, in prima linea per l’abolizione dello scudo penale per l’ex Ilva di Taranto,”.All’epoca erano in ballo 14mila posti di lavoro a rischio e di 4,2 miliardi di investimenti già stanziati. Nonostante ciò la ministra grillina diceva con leggerezza sconcertante: “È giusto che Taranto contribuisca al Pil nazionale, ma non solo con il siderurgico: può farlo anche con altri investimenti che guardino al futuro. È una bella città di mare di cui si parla solo per l’ex Ilva, ma ha, per esempio, una lunga tradizione nell’attività di mitilicoltura, che non può essere dimenticata”. Direi che con l’attuale ministro Urso si parla davvero di tutt’altro approccio e serietà.


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