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E SE FOSSE LA GERMANIA AD USCIRE DALL’EURO?

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Si sta parlando tanto del referendum inglese per l’uscita dall’Unione Europea e, come abbiamo riportato qui su Scenari Economici, anche molti francesi vorrebbero un referendum per uscire dall’euro. Negli anni passati si è parlato di una possibile GRExit e molti si auspicavano che la salita al potere di Tsipras potesse coincidere con l’uscita dall’euro. Esiste anche un dibattito, finora non affrontato seriamente sui media tradizionali, se conviene una ITAexit (e voi sapete credo cosa ne penso).

E se invece il primo paese ad uscire fosse proprio la Germania?

È assolutamente evidente che la Germania è l’unico Paese che con l’Unione europea e monetaria ci ha guadagnato, almeno nel breve periodo, accumulando surplus di bilancia dei pagamenti costantemente sopra il 6% ( in violazione delle regole di equilibrio macroeconomico previste nei Trattati,  ma questo è un altro discorso), ma ora è anche paradossalmente uno di quelli che rischia più fortemente il suo dissesto.

La politica del QE di Draghi, non a caso osteggiata con irritazione crescente dal governo tedesco, ribadita ed amplificata dalle ultime dichiarazioni del Governatore della BCE, è per la Germania insostenibile: i bassi tassi che il QE provoca nei Titoli di Stato ed adesso anche nelle obbligazioni emesse da privati con rating investment grade, se aiuta i Paesi periferici fra l’altro a mantenere sostenibile il pagamento degli interessi per finanziare il debito pubblico, sta infatti riducendo drasticamente i rendimenti finanziari. Ora il sistema previdenziale tedesco è basato su un sistema contributivo simile al nostro, ma con un incidenza minore rispetto al reddito percepito dal lavoratore, il quale è integrato quindi quasi sempre attraverso versamenti a fondi pensione, che però possono assicurare l’integrazione solo se il denaro che ricevono lo possono investire in maniera redditizia. Questa politica della BCE pertanto sta minando seriamente la sostenibilità del sistema previdenziale tedesco.

Anche il sistema bancario tedesco è ormai minacciato dalle politiche di Draghi di mantenimento dell’euro: le Sparkasse e le Landesbanken hanno bilanci dissestati, grazie a politiche opache e clientelari di prestiti ed impieghi, e si sono rette solo grazie alla particolarità di valutazione dei bilanci – che le sottraggono al controllo della BCE, come documentazione questo articolo de La Repubblica – ed agli investimenti finanziari con i quali si mantengono a galla. Anche per loro la politica di bassi rendimenti è quindi pericolosissima e fa tremare i potentati locali, visto il pericolo concreto che, con i buchi di bilancio che si creerebbero, vengano a galla intrecci fra politica e banche tali da far considerare Banca Etruria un istituto modello…

Altro fenomeno legato alla partecipazione all’Unione Europea è quello della gestione delle migrazioni dall’Asia e dall’Africa ed anche qui l’Europa sta diventando un peso per la Germania. La politica di accoglienza europea, sostenuta dal governo tedesco e finalizzata ad integrare giovani lavoratori nel tessuto produttivo locale, così da rinforzare la base dei contribuenti al sistema pensionistico ed avere un bacino di forza lavoro a buon prezzo che integri la scarsa natalità di molti Paesi, fra cui la Germania in crisi demografica da anni, ha provocato in quel Paese più danni che benefici. I giovani migranti, catapultati in realtà sociali totalmente differenti e sconosciute, hanno provocato l’impennata degli atti di violenza e dei disordini in tutta la Germania, come mostra l’infografica ricavata dalle notizie riportate dalla stampa tedesca e ripresa in un articolo dal blog L’Orizzonte degli Eventi. Questo ha causato un crollo del consenso che gode nel Paese la Cancelliera Merkel e, nelle ultime elezioni in tre Lander, come abbiamo documentato, l’avanzata impetuosa del movimento euroscettico AfD. L’euro e l’Europa quindi anche politicamente sta diventando un costo insostenibile per le élite tedesche.

Oltre a ciò la Germania ha ormai esaurito gli effetti di quel vantaggio differenziale con il resto dell’Europa e soprattutto con i Paesi periferici, avuto grazie all’euro, che le ha permesso di esportare grandi quantità di beni. Avendo impoverito gli altri Stati esportando deflazione reale, ovvero spingendo ad una corsa al ribasso sui salari e sui redditi, la Germania ha ormai dissanguato le altre economie con il risultato di veder crollare l’export intraUE, dato che i cittadini degli altri Paesi non hanno più i soldi per importare i beni tedeschi, pur a buon mercato. La Germania quindi si è dovuta rivolgere all’esterno della UE, aumentando le sue quote di export verso gli USA, la Cina ed altre Nazioni fuori dall’unione monetaria: ecco ad esempio l’andamento dell’export tedesco in Cina, comparato con altri Paesi UE

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Questo forte export concorrenziale spiega ad esempio le tensioni con gli USA, sfociate nella improvvisa “scoperta” dei trucchi sulle emissioni della VW o delle manipolazioni nella piattaforma di trading di valuta della DB. Anche per le esportazioni tedesche quindi l’eurozona non è più un fattore decisivo, se non per la debolezza relativa dell’euro con il dollaro: troppo poco per controbilanciarne tutti gli effetti negativi che abbiamo visto.

Non stupirebbe quindi che, ancor prima della Francia e dell’Italia, fosse la Germania a decidere di rompere l’unione monetaria e chiudere questa esperienza infausta di moneta unica. Sarebbe comunque una soluzione, già ipotizzata da alcuni economisti, anche tedeschi che permetterebbe nel migliore dei casi una uscita controllata, una dissoluzione regolata della UEM, nel peggiore comunque un riequilibrio anche violento dei rapporti di cambio, pur tuttavia a medio termine benefico per tutti.

Non c’è che dire, il 2016 si prospetta un anno molto interessante.


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