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Crisi

DRAGHI, LA TERZA GUERRA MONDIALE, RENZI, SALVINI E I NO-EURO (di Nino Galloni)

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Ieri sera, a Roma, ho ascoltato Giulietto Chiesa ad un convegno sul Venezuela: la sua tesi centrale era l’inizio (già effettuato con le manovre al ribasso sulle materie prime decise dagli anglo-sauditi contro i Paesi produttori non allineati agli USA) e la prosecuzione della terza guerra mondiale se Russia e altri non sapranno tener testa alla forza promanante dai grandi centri del potere finanziario. Sostanzialmente concordo.

Forse Chiesa guarda più alla spaventosa massa di dollari (peraltro non detenuta solo dall’Arabia Saudita, ma anche da Cina e India che, quindi, in caso di dissolvenza della moneta USA, perderebbero comunque le loro riserve) che non all’ancora più spaventoso fenomeno dei titoli tossici esistenti, oggi pari a 54 volte il PIL mondiale.

 

A questo proposito, l’orientamento alla costituzione di bad banks (visto che sono state loro, dopo il 2001, a creare derivati e titoli tossici in attesa di una ripresa che ci sarà solo se si abbandoneranno le attuali politiche economiche di cui il fulcro è proprio la commistione tra finanza e credito) avrebbe un senso solo se ciò non riguardasse incagli e sofferenze, ma proprio i titoli tossici.

In altri termini, occorrerebbe:

1) che gli Stati si accordassero per ritirare i titoli tossici (anche costituendo bad banks da affondare);

2) che si ripristinasse la netta separazione tra credito e finanza;

3) che le banche modificassero i loro bilanci nel senso di non mettere a costi o passivo altro che le loro spese di funzionamento e gli interessi passivi, così da non considerare più le sofferenze come perdite, ma solo come mancati guadagni.

 

Il segnale che viene dalla decisione, sempre di ieri, della BCE, di sospendere l’acquisto di titoli della Grecia, non serve a spronare la Grecia a rompere (ipotesi esclusa dalla attuale maggioranza), ma a sottomettersi, ovvero ad iniziare una trattativa da posizione debolissima; piano B, la Grecia va a ramengo ed il governo italiano (e, forse, non solo quello) potrà dire: attenzione a non ribellarsi che si fa una brutta fine.

Il governo Renzi, quindi, incassa i suoi due asset:

1) la fine del “Patto del Nazareno” che lo esponeva a sinistra e non certo la fine dell’asse preferenziale con Berlusconi, suo principale e fondamentale fan;

2) la persistenza della Lega su posizioni genericamente anti-euro, poco patriottiche e fortemente improntate ad un misto di liberismo ed anti-immigrazionismo che impedisce all’elettorato di sinistra di voltare le spalle all’attuale Presidente del Consiglio.

 

Conseguentemente, siccome sinistra e destra appaiono ingessate, per cominciare a cambiare le cose a partire dalla politica (se no, in futuro, emergeranno tendenze adeguate dalla società civile e dal mondo delle imprese, in grande sofferenza, ma pur sempre in grado, non ostante tutto, di esprimere competitività e creatività), Matteo Salvini – assieme al Movimento 5 Stelle se quest’ultimo definisse meglio i propri contorni strategici – dovrebbe: trovare consenso tra i nazionalisti abbandonando le posizioni antipatriottiche della Lega; impostare diversamente il tema dell’immigrazione (vale a dire con un progetto, quello che la sinistra non ha saputo fare, perdendo l’elettorato delle periferie); riempire di contenuti costruttivi la prospettiva euroscettica, nel senso di lanciare una prospettiva di dialogo tra i popoli, in grado di contrastare il disperato tentativo della finanza internazionale e di questa Unione Europea che, in mancanza di decisione da parte delle forze democratiche, accetteranno di imboccare la via della guerra.

 

La Grecia non potrà impensierire la Germania ed i suoi alleati, ma Italia, Francia e Spagna, sì: occorre operare prima che il conflitto ucraino coincida con una rottura dell’Europa in senso storico, di cui la Russia è parte integrante; perché il superamento di tale conflitto costituisce l’unico scenario che possa convincere la Germania a cambiare posizioni.

 

Nino Galloni


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