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DRAGHI OGGI NON POTRA’ FARE MIRACOLI PERCHE’ E’ A RISCHIO L’ESISTENZA STESSA DELL’UE. (di Marcello Bussi)

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 Dopo la disfatta di ieri delle borse mondiali non resta che sperare in Mario Draghi. Il presidente della Bce oggi avrà il compito di calmare i mercati, ma il suo tocco magico appare appannato. Lo scorso 3 dicembre le sue decisioni risultate inferiori alle aspettative che lui stesso aveva contribuito ad alimentare.
E da quel giorno il Ftse Mib ha perso il 18,3%. Secondo Vincenzo Longo, il numero uno della Bce oggi non annuncerà nuove misure, mentre nel corso della conferenza stampa «dovrebbe mostrare una forte determinazione a rivedere già a marzo il Quantitative easing puntando sull’estensione degli acquisti mensili almeno fino a 80 miliardi mensili».
Basterà a bloccare la caduta dei listini? Prima di tutto non è detto che si esprimerà in questo modo. Secondo Filippo Diodovich, strategist di Ig, Draghi si limiterà a ribadire che «bisognerà aspettare ancora un po’ per vedere gli effetti delle manovre già lanciate negli scorsi mesi» e inviterà a guardare all’inflazione core più che al dato generale. Si potrebbe però obiettare che un’affermazione del genere sarebbe una disgrazia per le borse, visto che l’inflazione core (che esclude energia, cibo, alcool e tabacco) è allo 0,9% mentre quella generale è allo 0,2%. Sarebbe infatti come dire che non è necessario un rafforzamento del Qe a marzo, visto che il dato core è comunque al riparo dalla deflazione.
C’è quindi la sensazione che Draghi possa spingere le borse al rialzo (quanto duraturo, però?) solo se oggi annuncerà nuovi provvedimenti concreti, ovvero un rafforzamento del Qe. Limitarsi a prospettarlo a marzo sarebbe accolto con una certa delusione. Ed è meglio non immaginare la reazione negativa se davvero sottolineasse l’importanza dell’inflazione core. Ma, anche se agisse subito, è forte il sospetto che non si andrebbe al di là di un sollievo momentaneo. Per gli economisti di Barclays la Bce «si sta avvicinando al limite di quello che può realisticamente fare per mettere in atto il suo mandato sulla stabilità dei prezzi» e un eventuale taglio dei tassi di deposito o l’estensione del Qe «difficilmente avranno un impatto rilevante sull’inflazione. Serviranno appropriate misure fiscali e strutturali a livello di area euro e di singoli Paesi, come Draghi ha ripetuto più volte».
Insomma, l’istituto di Francoforte sembra avere esaurito le cartucce, come sostiene William White, presidente del comitato economico dell’Ocse, secondo il quale «la situazione attuale è peggiore di quella del 2007», quando scoppiò la crisi dei mutui subprime che culminò l’anno seguente con la bancarotta di Lehman Brothers, proprio perché «le munizioni macroeconomiche per combattere la recessione sono essenzialmente esaurite». Secondo White, «i debiti hanno continuato ad aumentare nel corso degli ultimi otto anni, raggiungendo in ogni parte del mondo livelli tali da diventare una potente causa di guai. È diventato evidente che nella prossima recessione molti debiti non verranno mai rimborsati e questo sarà scomodo per un molte persone convinte di possedere beni che valgono qualcosa».
La soluzione? Il condono dei debiti, «come succede da 5 mila anni, dai tempi dei sumeri».
White ha una prospettiva storica, ma guardando alla cronaca è davvero difficile immaginare che il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble e il presidente della Bundesbank Jens Weidmann accettino una soluzione del genere. Si spera allora di riuscire a evitare una recessione. Ma il vero problema, ancora abbastanza sottotraccia, è che anche un super-Qe della Bce potrebbe non bastare, perché i veri rischi sono di natura eminentemente politica. Rory Bateman, capo dell’azionario europeo di Schroeders, ha detto chiaro e tondo che «la crisi dei migranti comporta una minaccia per la coesione della zona euro». A tal proposito, due giorni fa il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker affrontando il problema dell’immigrazione davanti all’Europarlamento aveva detto: «Oggi è a rischio Schengen, domani ci si chiederà perché avere una moneta comune: l’Unione Europea è minacciata alla base e forse non ci si rende conto». Poco dopo il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk aveva avvertito: «Abbiamo due mesi per salvare la libera circolazione». Se le cose stanno veramente così, anche un Quantitative easing in versione super non servirà a granché.
Marcello Bussi, Milano Finanza 21 gennaio 2016

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