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Dolore addio? Scoperto l’interruttore molecolare “esterno” che potrebbe cambiare la medicina
Scoperto l’enzima VLK: il “messaggero esterno” dei neuroni che accende il dolore. Una rivoluzione che promette farmaci sicuri senza bloccare le funzioni vitali.

Una ricerca rivoluzionaria della Tulane University svela un meccanismo inedito: i neuroni possono “accendere” il dolore agendo fuori dalla cellula. Una scoperta che promette farmaci efficaci senza gli effetti collaterali dei trattamenti attuali.
Dimenticate per un attimo tutto quello che pensavate di sapere su come il vostro cervello comunica il dolore. Fino a ieri, la scienza ci raccontava una storia fatta quasi esclusivamente di segnali interni alle cellule. Oggi, grazie a uno studio che ha il sapore del cambio di paradigma, scopriamo che i neuroni sono capaci di operare anche nel “cortile di casa”, rilasciando enzimi all’esterno per modificare la realtà circostante.
Un team di ricercatori della Tulane University, in collaborazione con altre otto istituzioni, ha pubblicato su Science una scoperta che potrebbe mandare in pensione vecchi approcci farmacologici spesso troppo aggressivi. Hanno individuato un enzima, dal nome curioso – VLK (Vertebrate Lonesome Kinase) – che funge da interruttore per il dolore, ma con una particolarità: agisce senza disturbare le funzioni vitali come il movimento o la sensazione tattile.
La scoperta: agire “fuori” per curare “dentro”
Il dogma centrale della neurobiologia è sempre stato focalizzato sui processi intracellulari. Matthew Dalva e Ted Price, i coordinatori dello studio, hanno invece dimostrato che i neuroni rilasciano l’enzima VLK nello spazio extracellulare (lo spazio tra una cellula e l’altra).
Ecco come funziona il meccanismo, semplificando la complessità biochimica:
A seguito di un trauma o un infortunio, i neuroni rilasciano VLK.
Questo enzima non entra nelle cellule vicine, ma modifica le proteine sulla loro superficie esterna.
Questa modifica “accende” i segnali del dolore e rafforza le connessioni neuronali (utili anche per l’apprendimento, ironia della sorte).
Il risultato? Il cervello riceve il segnale di dolore forte e chiaro.2Ma la vera notizia è un’altra: rimuovendo questo enzima nei topi, il dolore post-operatorio è crollato drasticamente, mentre le capacità motorie e sensoriali sono rimaste intatte.
Perché è una notizia economicamente e socialmente rilevante?
Chi segue le dinamiche dell’industria farmaceutica sa che il “Santo Graal” degli antidolorifici è l’efficacia senza effetti collaterali. Attualmente, molti farmaci agiscono bloccando i recettori NMDA (fondamentali per la comunicazione tra neuroni), ma questo approccio è come usare un martello per schiacciare una mosca: blocca il dolore, ma crea disastri collaterali sulle funzioni cognitive e motorie.
La scoperta del ruolo del VLK apre la strada a una nuova generazione di farmaci:
Targettizzazione precisa: Non serve più penetrare la cellula (operazione complessa per i farmaci). Si può agire sull’enzima che “nuota” all’esterno.
Sicurezza: Agendo solo sul meccanismo del dolore indotto, si evitano gli effetti sistemici invalidanti.
Semplicità di design: Creare farmaci che non devono superare la membrana cellulare è, tecnicamente, più semplice ed economico.
Tabella: Vecchio approccio vs Nuovo approccio VLK
| Caratteristica | Approccio Tradizionale (Blocco NMDA) | Nuovo Approccio (Target VLK) |
| Meccanismo | Blocca i recettori generali | Inibisce l’enzima scatenante dall’esterno |
| Penetrazione | Deve entrare nella cellula | Agisce nello spazio extracellulare |
| Effetti sul dolore | Riduzione del dolore | Riduzione drastica del dolore |
| Effetti collaterali | Confusione, problemi motori | Nessuno rilevato su moto/sensi |
Non solo dolore: la memoria
C’è un dettaglio che rende la ricerca ancora più affascinante. Lo stesso meccanismo che amplifica il dolore sembra essere quello che permette ai neuroni di rafforzare le loro connessioni durante l’apprendimento. È la prova che dolore e memoria condividono binari molecolari molto simili.
Se questa scoperta venisse confermata su larga scala (il passo dai topi agli uomini è breve ma insidioso), potremmo essere di fronte a una svolta non solo per la terapia del dolore, ma per la comprensione della plasticità neuronale. In un mondo che invecchia e cerca disperatamente soluzioni per la qualità della vita, capire come spegnere il dolore senza spegnere il cervello è, senza dubbio, un ottimo affare.
Domande e risposte
Che cos’è esattamente l’enzima VLK e cosa fa di diverso dagli altri?
Il VLK (Vertebrate Lonesome Kinase) è un enzima rilasciato dai neuroni che opera nello spazio esterno alle cellule, e non al loro interno come accade solitamente. La sua funzione è modificare le proteine sulla superficie delle cellule vicine per attivare i segnali del dolore.3 La sua unicità risiede nel fatto che agisce come un messaggero extracellulare, permettendo una comunicazione rapida e specifica tra neuroni senza la necessità di penetrare la membrana cellulare.
Perché questa scoperta potrebbe migliorare i farmaci antidolorifici?
Oggi molti antidolorifici potenti agiscono bloccando i recettori NMDA, essenziali per la comunicazione neuronale, causando però pesanti effetti collaterali come problemi motori o cognitivi.4 Colpire il VLK permetterebbe di interrompere il segnale del dolore “a monte”, nello spazio tra le cellule, senza disattivare i recettori necessari per le normali funzioni cerebrali. Nei test sui topi, l’inibizione del VLK ha eliminato il dolore post-operatorio lasciando intatte le capacità di movimento e sensazione.
Ci sono altre implicazioni oltre alla cura del dolore?
Assolutamente sì. Lo studio ha rivelato che lo stesso meccanismo usato dal VLK per scatenare il dolore è fondamentale per la “plasticità sinaptica”, ovvero la capacità del cervello di rafforzare le connessioni tra neuroni, base dell’apprendimento e della memoria. Comprendere come funziona questo enzima potrebbe aprire nuove strade non solo per trattare il dolore cronico, ma anche per intervenire su patologie neurologiche legate alla memoria e all’apprendimento, offrendo nuovi target terapeutici finora ignorati.








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