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DIVIETO DI VELO ISLAMICO: SANZIONARE CHI VIOLA LA LEGGE ITALIANA

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L’articolo 129 del codice italiano di procedura civile stabilisce che “chi assiste o interviene in un’udienza non può portare armi o bastoni e deve stare a capo scoperto e in silenzio. E’ vietato fare segni di approvazione o di disapprovazione o cagionare in qualsiasi modo disturbo”.

La legge italiana è chiara. Va conseguentemente sanzionato, perché previsto dalla legge e perché non si ripeta, il comportamento della venticinquenne islamica che ha violato la norma del nostro ordinamento statuale entrando con il velo islamico in un’udienza del Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna, prontamente allontanata dal giudice. Manca la sanzione, tuttavia.

Urge ed è necessario in Italia si intensifichino con significativa frequenza le ordinanze e le sanzioni amministrative e giudiziali, sull’onda di quanto già successo poco tempo fa a Novara, a Varese ed in altre città d’Italia, con cui è stato fermamente proibito e sanzionato l’utilizzo del velo islamico in quanto si tratta, è stato scritto, di “usanze che contrastano con la storia, le leggi e il comune sentire del nostro Paese”; in violazione cioè delle nostre leggi di Stato italiane.

In Francia, nel 2010, il Parlamento ha approvato il divieto del velo islamico in tutti i luoghi pubblici del territorio nazionale e nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che ciò non lede la libertà di religione. Nel settembre 2013 il cantone svizzero di lingua italiana ha costituito la prima regione che, in seguito a votazione popolare, ha vietato la copertura del capo e la dissimulazione del viso nei luoghi pubblici e nel novembre 2014 il Consiglio federale svizzero ha approvato il suo inserimento nella Costituzione cantonale ticinese. Nell’ottobre 2017 anche in Austria è entrata in vigore la legge che proibisce il burqa e il niqab , comunemente chiamata “Burqa Verbot”, il divieto del burqa alla cui violazione segue per legge la multa di 150 euro. Belgio ed Olanda, Germania, vietano per legge l’uso del velo integrale alle funzionarie pubbliche.

In Italia, oltre al codice di procedura civile è lo stesso codice penale a prevedere e stabilire che, in base agli articoli – art. 5 – della Legge n.152 del 1975 e la successiva Legge n.155 del 2005 relativa alle norme di pubblica sicurezza, “è vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino.”

Rientra cioè nella clausola del “senza giustificato motivo” circolare indossando un niqab, un burqa, o un altro tipo di velo islamico che ricopra il viso di chiunque, uomo o donna che sia. La ratio legis delle norme è individuata nella necessaria tutela dell’ordine pubblico in Italia, ovvero specificamente nell’esigenza collettiva di evitare che l’utilizzo di veli, protezioni e caschi o altri sistemi di copertura fisica possano creare disordine ed anche, tra gli altri effetti, evitare il riconoscimento da parte di tutti. L’utilizzo cioè di mezzi potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il riconoscimento è vietato. Il velo che copre il capo di chicchessia, nel nostro sistema ordinamentale, rientra in un utilizzo che comporta violazione delle norme preposte, anche per l’impossibilità oggettiva di chiaramente riconoscere, nella totale sua interezza di capo e testa di persona, il velato o la velata che pertanto devono essere sanzionati.
Al di là dell’ attuazione di tradizioni di determinate popolazioni e culture, o di giudizi di merito sull’utilizzo del velo, che si tratti di un simbolo culturale, religioso, o di altra natura o meno, sia che sia o meno volontario il suo utilizzo, nell’ambito e sul territorio di pertinenza occidentale, cioè, nel nostro caso, sul territorio italiano, sotto il profilo giuridico si tratta e si è in presenza di uno strumento e mezzo finalizzato a violare le norme stabilite all’interno della nostra comunità italiana, ed ad impedire senza giustificato motivo un legittimo riconoscimento integrale della persona. Le esigenze di osservanza delle norme e specificamente anche quelle di pubblica sicurezza non possono cioè essere ritenute soddisfatte dal capo o dal volto coperto di qualsivoglia individuo, poiché ciò contravviene alla legge e, specificamente ne impedisce, anche, l’identificazione.

E’ necessario cioè fare rispettare con sanzione il generale divieto di circolare in pubblico indossando impedimenti, come da norma citata di legge che lo specifica. Le regole che vigono e che ci siamo dati come comunità e le sanzioni specifiche che da esse emanano indicano con chiarezza ciò che offende il nostro comune sentire dettato da nostri usi e costumi italiani. Tra l’altro il burqa essendo simbolo evidente della privazione della libertà e dell’asservimento delle donne tipico di società primordiali.
E’ il chiaro segno della negazione della persona, nel caso specifico donna. L’obbligo di indossare il burqa, lo si ripete ancora una volta qui, è peraltro conseguenza distorta di tradizioni locali, travisate e imbestialite dal regime talebano. Il burqa era stato introdotto infatti in Afghanistan all’inizio del 1890 durante il regno di Habibullah Kalakani, che lo aveva imposto alle sue duecento donne del suo harem, in modo tale da non indurre in tentazione gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale. E’ stato quindi dapprima ritenuto un capo per le donne “protette”, da usare contro gli sguardi del popolo, essendo divenuto poi, fino agli anni 1950, prerogativa dei più abbienti, diffondendosi nel Paese.

Gli stessi ceti elevati hanno iniziato tuttavia presto a non farne più uso, divenuto nel frattempo un capo dei ceti poveri. Nel 1961 nello stesso Afghanistan è stata proclamata una legge che ne ha vietato l’uso alle pubbliche dipendenti. Non si poteva lavorare a volto coperto, o velati. Solo durante la guerra civile, instaurato il regime islamico del terrore, la totalità delle donne è stata costretta ad indossarlo, sino al divieto assoluto pena la morte di mostrare il volto imposto a tutte le donne dal successivo regime teocratico dei talebani. Quando la religione si fa Stato, succede questo. E la religione islamica si accanisce efferatamente sulle donne, che copre.
Le nostre società occidentali liberali ed aperte, lo si ricordi, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità del popolo e sul rispetto della legge che è promanazione e prodotto della democrazia. Il soggetto islamico in Occidente appartiene ad una cultura fideistica o teocratica che non separa lo stato civile dallo stato religioso e che assorbe il cittadino nel credente, così come avviene in tutti i Paesi islamici, dunque l’integrazione non può avvenire in quanto l’integrazione non porta ad integrazione quanto piuttosto a disintegrazione, separazione, frammentazione della società liberale. Vale a dire che non è possibile integrare l’Islam alle società liberali aperte dell’Occidente, che esso non è specificamente integrabile all’Europa. Si può avere rispetto verso un diverso credo religioso ma, dal punto di vista dello Stato e del potere politico – democratico in Occidente –, l’Islam e l’Occidente – europeo e altri – non hanno lo stesso valore.

Non è cioè possibile integrare pacificamente alla nostra società democratica occidentale una comunità islamica fedele al monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, di cui il velo sulle donne è simbolo. L’Islam non è capace né è in grado di evolversi, esso è e rimane un monoteismo teocratico fermo al nostro Medioevo, incompatibile con il monoteismo occidentale (uccidendo piuttosto e sopprimendo il ritenuto, supposto “infedele”). A differenza delle nostre società occidentali liberali ed aperte che sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità del popolo, l’Islam si fonda su un’altra sovranità, quella di Allah. Gli islamici pretendono per fede tutt’una religiosa-politica di applicare il principio di Allah nei nostri Paesi occidentali, rendendo il conflitto inevitabile. L’Occidente pone e deve porre, ha e deve avere le proprie regole scritte con legge ed esse devono essere rispettate e fatte rispettare. In base ad esse, di conseguenza, chi le viola deve essere sanzionato ed allontanato. E’ in base alla legge condivisa democratica che gli islamici su territorio occidentale o accettano la regola politica democratica occidentale della sovranità popolare o dall’ Occidente devono andarsene ed essere allontanati. La norma italiana vieta il velo islamico, la violazione relativa va sanzionata secondo ed in ossequio a quanto previsto dalla legge.

Francesca Romana Fantetti


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