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DISUGUALI SI NASCE

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Lisa Litman, studiosa alla School of Public Health alla Brown University, in USA, ha avuto I suoi bei problemi per aver pubblicato uno studio sulla disforia di genere a insorgenza rapida negli adolescenti: la tendenza dei ragazzini a somatizzare disturbi di identità sessuale per effetto delle pressioni amicali. Cosa ci racconta questo episodio? Che nel mondo liquefatto del ventunesimo secolo è diventato pericoloso non solo parlare, e forse addirittura pensare, al di fuori delle rotaie monocromatiche del PUA (Pensiero Unico Accettato) ma addirittura fare ricerca scientifica. Non so se mi spiego: ricerca scientifica. Persino la cosiddetta ‘scienza’, cioè uno dei sacri totem della post modernità, deve capitolare di fronte alla forza superiore, e impositiva, delle teorie gender (una delle manifestazioni più aggressive del PUA). E così anche lo scienziato, uno dei ‘personaggi’ più rispettati e venerati della post modernità, ha da fare rispettosamente marcia indietro di fronte a taluni campi minati del dibattito. Essi non vanno coltivati oppure vanno trattati coi guanti o, meglio ancora, vanno indagati per cercare conferma al pregiudizio di partenza: il genere (maschile e femminile) è un semplice orpello opzionale del corredo genetico di un essere umano.

Tu non nasci maschio o femmina, bensì decidi se essere l’uno o l’altra e se – e quando – transitare dalla prima alla seconda sponda. Un fenomeno analogo è quello delle quote rose: tot maschi, tot femmine, in qualsiasi settore, con la feroce e metodica cadenza di un’ossessione compulsiva. Perché tutto ciò accade? Forse, una spiegazione profonda esiste e ha a che fare con la categoria dell’uguaglianza declinata su due livelli: quello della natura e quello della società. L’essere umano può essere diverso per ragioni naturali o per ragioni sociali. Un uomo è diverso da una donna (differenza naturale, fisiologica, innata); un ricco è diverso da un povero (differenza sociale, economica, acquisita). Bene, è in atto una epocale, e mediaticamente studiata, operazione di sovrapposizione concettuale. Si spingono le masse a concentrare il proprio atavico bisogno di uguaglianza non più sul piano sociale, ma sul piano naturale. Dopo il secolo dell’uguaglianza sociale predicata (l’Ottocento) e quello dell’uguaglianza sociale praticata (il Novecento) si è passati al secolo dell’uguaglianza naturale coatta (il nostro). I soggetti non sono più stimolati a cercare la vera giustizia nei rapporti tra le classi, ma una giustizia ‘innaturale’ nei rapporti tra i generi.

Quindi, non più incitazione all’equità redistributiva nelle dinamiche economiche, ma istigazione all’indifferenza rispetto ai dati sessuali e incitazione a un delirante ‘pareggio di bilancio’ tra l’una e l’altra metà del cielo. È in atto una stupefacente distorsione dell’idea platonica di uguaglianza. Una società sommamente iniqua, sul piano sociale, distrae i suoi componenti titillandoli con le sconfinate opportunità delle battaglie di genere. Come dire: tu povero non potrai mai diventare ricco, o almeno benestante (e in effetti è sempre più difficile agganciare il famoso ascensore sociale), ma tu maschio puoi tranquillamente diventare femmina. E viceversa. E se la transumanza non ti aggrada, consolati con le quote rosa. In pratica, hanno preso uno degli ideali sociali più belli, e nobili, e ambiziosi e, anziché applicarlo all’ambito in cui le disuguaglianze si generano (la società) lo impongono nell’ambito delle naturalissime ‘disuguaglianze’ di genere. Due piccioni con una fava, per il Sistema: da un lato la gente si applica da sé a distruggere uno dei costituenti primi dell’identità personale divenendo così una rondella imbelle del Sistema; dall’altro, quel Sistema non aspira più a rivoluzionarlo.

Francesco Carraro
www.francescocarraro.com


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