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Attualità

“Disonesti !” di Raffaele Salomone Menga

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Ci sono tanti tipi di disonestà, ma quella più abietta e vituperabile è la disonestà intellettuale, tipica di coloro che mentono, ben sapendo di mentire, pur di perseguire il proprio particulare o i sordidi interessi di qualche lobby economica da cui sono prezzolati.

Credo che, a buon diritto, siano alla stessa stregua dei traditori, altrettanto vili, poiché come essi praticano l’inganno pur di procurarsi i più disparati vantaggi.
Il Sommo Poeta li riteneva tra tutti i peccatori i peggiori e li collocava nel nono cerchio dell’Inferno, quello più prossimo a Lucifero, immersi nel fiume gelato dal battito delle ali di quest’ultimo, perché, secondo la legge del contrappasso, gelato fu il loro cuore quando in vita tradirono.

E’ questa disonestà intellettuale il vero male dell’Italia, il cancro che la sta divorando, ancor più del fatto di avere purtroppo una classe politica imbelle ed ignava che non ha alcun riguardo per la res publica e gli interessi patrii.
Non c’entra nulla la corruzione o l’evasione fiscale o il debito pubblico, il male della nostra società è la carenza di liberi pensatori, di intellettuali che siano tali.

Non ci sono purtroppo i Matteotti, gli Amendola, i Rosselli del passato, ma solamente squallidi famigli, corifei e sicofanti.
Ovviamente non chiediamo come testimonianza di arrivare all’estremo sacrificio, ma almeno coloro che scrivono sui giornali o vanno in televisione per pontificare sulle sorti italiche abbiano il coraggio di dire le cose come effettivamente stanno, poi ognuno maturerà le proprie idee e trarrà al momento opportuno le dovute conclusioni.

Ma, come diceva Orwell, “ nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario” e, proprio per evitare qualsiasi tipo di rischio, nei mezzi di informazione si confondono seraficamente le opinioni con i fatti, quando va bene, quando va male i fatti non sono neanche menzionati o addirittura vengono ricreati a seconda della bisogna.

Ma cosa in realtà sta avvenendo, a cosa si stanno sottraendo gli intellettuali nostrani e non?
Semplicemente a questo: finita la guerra fredda, quella tra il blocco orientale comunista e quello occidentale capitalista si è accesa in Europa e nel mondo un’altra guerra, una guerra culturale, non meno cruenta e feroce di quelle combattute sui campi di battaglia, avente come obiettivo la diversa distribuzione della ricchezza prodotta.
Dalle nostre parti élites economiche fameliche  facendosi schermo di un distopico progetto di unificazione europea, stanno aggredendo i popoli europei in generale e quello italiano in particolare, distruggendo gli stati sociali, pur di appropriarsi dei beni comuni, tra i quali la moneta.

Ovviamente non è un’aggressione manu militari, ma un’aggressione molto più sottile e sofisticata, combattuta sul piano delle idee, nelle aule delle università, nelle scuole, nei centri studi, nelle fondazioni.
Secondo il pensiero corrente, il neoliberismo, sono viste come ineluttabili e naturali la liberalizzazione e la globalizzazione.
In Europa il neoliberismo, grazie all’Unione Europea ed alle istituzioni comunitarie, assume l’aspetto di un vero e proprio ordine giuridico e sociale, per cui diventa ordoliberismo.

Esso viene inoculato in ogni strato sociale, utilizzando la crisi economica, dai grandi organi di informazione.
Diventa quindi naturale che l’Italia sia la terra di approdo di migranti “economici” proprio nel suo periodo di crisi più grave dal secondo dopoguerra ad oggi, come pure è altrettanto naturale per i nostri governanti che i sodomiti possano contrarre matrimonio. E’ una esigenza di mercato!
Questo significa essere moderni, europei e progressisti oltre al fatto di scrivere all’occorrenza “ministra” e “sindaca”.

Per quanto poi riguarda l’Italia e la Grecia, in caso di governi recalcitranti a fare quanto dovuto e ad operare determinate scelte, come ad esempio inserire il pareggio di bilancio in costituzione, queste sono facilitate esercitando l’arma del ricatto dei mercati finanziari (rectius spread).
Scelte necessitate dall’emergenza del momento, ma che finiscono per condizionare negli anni a venire il destino di una nazione.

La democrazia di fatto non esiste più e men che meno la politica, che ormai non ha più alcun ruolo da svolgere.
I singoli governi nazionali sono meri esecutori di direttive elaborate in consessi al di fuori di qualsiasi controllo democratico. Al resto ci pensa il mercato.
E le conseguenze si vedono quotidianamente.
La fascia degli indigenti e di coloro che vivono in povertà assoluta aumenta anno per anno.
E ciò, come dicevamo poc’anzi, avviene grazie alla diffusione del pensiero ordoliberista ed alla sua attuazione.
Secondo i suoi dettami libero mercato è parte di un ordine naturale irreversibile, come la legge di gravità e quindi l’euro è irreversibile, la globalizzazione è irreversibile, le migrazioni sono inarrestabili.
In questa congerie di idee, di fiscal compact, di bail in, di output gap, di spending review e di spread si nasconde invece il perseguimento di un disegno semplice semplice, che è l’indebita appropriazione delle ricchezze di una nazione da parte di lobbies e stati stranieri.

Il popolo italiano, basito ed annichilito dopo anni di riforme, di direttive europee, sta perdendo questo scontro culturale e quindi economico, perché non ha i suoi alfieri, i liberi pensatori che dicano come le cose stanno effettivamente.
Da una parte del campo, quella dei grandi gruppi economici e di Bruxelles, estesi apparati, organi di stampa, televisioni, professoroni o presunti tali che ammanniscono verità di comodo sulle sorti italiche, dall’altra parte quasi nessuno.
Siamo in crisi, è vero, ma dalla crisi si esce solo se gli intellettuali italiani, che dovrebbe essere la parte più nobile ed avveduta del paese, si riappropriano del proprio ruolo.
I nostri intellettuali, invece, non solo non hanno più la capacità di sognare, di pensare a possibili soluzioni per la costruzione di una società migliore, ma neanche la capacità di criticare lo status quo o di denunciare le verità più scomode.
Sono precipitati in uno squallido conformismo.

Un esempio di quanto detto è nell’articolo di Bernardo Valli “ Tutti in piazza contro il progresso ” pubblicato da L’Espresso del 15 maggio u.s. nella rubrica “ Dentro e fuori”.
Il titolo è assolutamente illuminante.
Secondo l’autore viviamo nell’era del “regresso”, poiché ceti popolari e classi medie si oppongono al liberismo, a nuovi diritti e globalizzazione.
Nella sua stesura non c’è alcun dubbio, nessun ripensamento.
Si giunge a negare l’evidenza ed a ripudiare il “principio di realtà”, che invece dovrebbe essere il primo punto di partenza di qualsiasi tipo di analisi che voglia definirsi seria.
Si rasenta così l’impudenza dell’ ipse dixit.

Orbene, la globalizzazione non è progresso è solamente la conseguenza del fatto che si è consentito ai capitali di potersi spostare per il mondo in cerca di maggior profitto.
Quindi, mentre prima le genti andavano dove c’era il lavoro, ora il lavoro viene portato presso le genti che hanno meno pretese, meno diritti e minori tutele.
Tale circostanza causa in Italia disoccupazione e, per gli occupati superstiti, deflazione salariale ed una innegabile riduzione delle tutele salariali.

Questo per l’autore è invece progresso, come pure è un altro innegabile progresso l’arbitraggio fiscale, ma non per i comuni cittadini ovviamente, che vengono tassati ai limiti della grassazione, bensì solo per le grandi aziende europee che possono pagare le imposte dove sono più convenienti.
A tal uopo, è giusto il caso di ricordare, che il presidente della Commissione Europea Juncker è stato anche il primo ministro del Gran Ducato del Lussemburgo, un vero e proprio paradiso fiscale nel cuore dell’Unione Europea.
La perdita del gettito fiscale, in forza dei parametri di Maastricht e del pareggio di bilancio, determina così tagli alla stato sociale, ulteriori privatizzazioni e spinge sempre più l’Italia in un baratro senza fine.
Secondo l’autore dell’articolo de L’Espresso è quindi biasimevole chiedere che si chiudano i confini, che si innalzino barriere doganali per i prodotti costruiti da lavoratori in stato di schiavitù, che si ostacoli il multiculturalismo e la difesa dei diritti Lgbt (acronimo che sta per lesbiche, gay, bisessuali e transgender).
Orbene, a questo maître à penser rinnoviamo l’invito a riprendere contatto con la realtà.

E la realtà è che la gente, per le scelte liberiste di cui sopra, soffre maledettamente, che la disoccupazione non accenna a diminuire e che ci aspetta un 2018 di lacrime e sangue (leggere attentamente il DEF presentato ad aprile u.s.).
La verità è che mentre il governo prevede di stanziare per il 2017 per l’emergenza migranti ben 4,7 miliardi di euro, per il rinnovo dei contratti di tutti i dipendenti statali e dico tutti, contratti che sono bloccati da oltre dieci anni, solo la somma di 1,4 miliardi per il 2018.

Pur rispettando il pensiero del nostro giornalista, crediamo che le rivendicazioni dei lgbt possano trovare accoglienza sicuramente nella comune difesa dei diritti sociali, così come garantiti dalla nostra Costituzione.
Per quanto concerne tutto il resto, le sue affermazioni sono da prosseneta, in senso etimologico ovviamente.
Con benevolenza fanno riferimento ad una realtà che è solo controfattuale, ipotetica, altrimenti dovremmo dire che le sue tesi peccano di onestà intellettuale.
Le idee che l’autore spaccia per modernità furono confutate sul piano dell’elaborazione teorica da Ferdinando Galiani, consigliere economico di Ferdinando I di Borbone, nel lontano 1780.
Quello che si spaccia per progresso è un ritorno al passato, il futuro ci è indicato dalla nostra Carta Costituzionale.

Non dimentichiamo mai: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

Raffaele Salomone Menga

 


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