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Discussione sulle problematiche dell’Euro (parte prima)

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Da oggi pubblichiamo un Pamphlet dal titolo “Discussione sulle problematiche dell’Euro”.

L’autore è un caro amico “lumbard”, Tancredi Vella, un giovane talentuoso già ha contribuito nel passato con altre pubblicazioni, tra cui l’articolo sul Franco CFA.

Lo posteremo a pezzi poiché è un progetto di ben 36 pagine e metterlo tutto in una sola volta sarebbe come non riconoscere  valore all’elaborato.

Ecco a voi la prima parte.

Buona Lettura, enjoy yourself !

Maurizio Gustinicchi

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INTRODUZIONE

Questo lavoro si prefigge lo scopo di illustrare in maniera rapida e sintetica le problematiche riguardanti l’euro, così da stimolare la curiosità del Lettore. Non si prefigge di essere l’opera omnia contro l’euro, ma giusto un pamphlet per poter permettere di farsi un’idea a chi per la prima volta si addentra in questo difficile argomento spesso volutamente montato ad arte dai mezzi dispensanti informazione per poter evitare un dibattito sul tema fornendo informazioni per lo più fuorvianti ed illogiche, ma coi dati mostrati ed esplicati qui di seguito si cerca di fare un po’ di luce a riguardo e di controbatterli. Auguro al Lettore una buona lettura e se vi fossero errori e/o segnalazioni varie di potermi contattare liberamente all’indirizzo mail che troverà nella bibliografia. Ringrazio tutti coloro che mi hanno insegnato, direttamente o indirettamente, tutto quello che so su questo tema che è cruciale per la libertà in futuro. Ringrazio anche chi ha avuto la pazienza di sedersi accanto a me e di sostenermi anche con uno sguardo.

PREMESSA Che cos’è l’euro?

L’euro è una “moneta”. Per definizione la moneta è quel bene giuridico (quindi anche economico) che serve come misura di valore, unità di conto e mezzo per garantire scambi di beni e servizi. Dal 1971, dopo Breton Woods, nessuna moneta non sottostà ad una determinata quantità di metalli preziosi (quali oro ed argento) da convertire o intriseci, ma è divenuta cd fiduciaria, ovvero la si accetta perché ci si aspetta (si confida) che anche gli altri la accettino come mezzo di pagamento nello stesso sistema economico. L’euro, nato nel 1999 e basato sul cambio ad 1 col Dollaro USA, è sì una “moneta”, ma altro non è che l’espressione di valore cumulativo di 19 valute tutte prefissati nei cambi tra di loro: 1936,27 Lire sono 340,750 Dracme che equivarranno a 6,56 Franchi della Francia ecc ecc (ved. fig 1)

pamphlet 1

In teoria oggi gli europei avrebbero potuto continuare ad usare le loro monete, ma si preferì sostituirle con un’unica (l’euro, appunto) per due motivi: unità di misura differenti tra le diverse valute e, la seconda, per creare “un senso di unità europea tra i cittadini europei”. Quindi l’euro altro non è che un “minimo comune denominatore” che sostituisce tutte le valute per ragioni pratiche ed emotive (nazionali non si può dire, perché una nazione europea non esiste né esisterà mai). Questo concetto lo spiega bene il Prof. Antonio Maria Rinaldi nel suo libro Europa Kaputt (Piscopo Editore, 6/2013).

CAP.1 LA TEORIA SOTTOSTANTE ALL’EURO: LE AREE VALUTARIE OTTIMALI

Un’unione monetaria è quando due o più stati condividono una singola valuta. Essa rappresenta il culmine di un rapporto di cambio prefissato ad un determinato valore. La teoria economica sottostante a questa istituzione è quella dell’Area Valutaria Ottimale (AVO o OCA in inglese) di Mundell. Presentata nel 1961, essa prevede che due o più stati possono diventare una regione monetaria unica quando i protagonisti in questione condividono tutti i requisiti richiesti:

1. Flessibilità salariale;

2. Libera mobilitazione del lavoro e del capitale;

3. Stessa / simile inflazione tra i partecipanti;

4. Stessi tassi di interesse tra i titoli di stati;

5. Integrazione fiscale;

6. Altri requisiti (sistemi giuridici, mercato del lavoro, sistemi educativi, sistemi di welfare, lingua parlata…);

I punti più importanti sono i num. 1, num. 2 e num. 3. Per spiegare il punto primo, De GrauweA pone un esempio tra i due paesi principali (o artefici) dell’Eurozona: Francia e Germania. Questi due entrano in un’unione valutaria tra loro, delegando la gestione della nuova moneta ad un ente indipendente (e sovrano?) che è la BCE. Ora, se i salari sono flessibili (ved. Jobs Act) i disoccupati francesi diminuiranno le loro richieste salariali mentre in Germania l’eccessiva offerta di lavoro spingerà verso l’alto il quantum del salario. Così facendo i prodotti francesi riacquistano competitività (corsivo appositamente utilizzato) mentre in Germania si comincerà ad avere un calo della domanda di beni prodotti in loco. Così facendo i beni francesi possono ritornare ad essere venduti con più facilità nel mercato tedesco dato il prezzo ribassato ed in Germania, coi salari più alti, più consumatori potranno accedervi; riguardo al punto secondo, sempre De GrauweA afferma, in maniera molto semplice, che i lavoratori disoccupati al contempo dovrebbero trasferirsi in Germania dove, al contrario, l’offerta di lavoro eccede la domanda. Così facendo in Francia la disoccupazione scompare mentre in Germania le spinte inflazionistiche (al rialzo) dei salari diminuiscono o si arrestano. Nonostante ciò se in Francia la disoccupazione non porta al ribasso il livello dei salari, la Germania dovrebbe aumentare i prezzi per rendere le merci francesi più competitive. Da queste considerazioni di De GrauweA si può denotare una cosa: per rendere competitivi / vendibili / smerciabili / appetibili i propri prodotti nazionali bisogna abbassare il livello salariale / costo del lavoro (la libera contrattazione del salario posta nel Jobs Act ne è un esempio). Se i paesi avessero mantenuto le loro valute, rispettivamente il Franco ed il Marco, avrebbero potuto agire sul cambio, non influenzando così il costo del lavoro di entrambi i paesi ma agendo sul “mezzo” per esprimere il prezzo finale del bene prodotto: la moneta. Se una vale di meno rispetto all’altra questa renderà i suoi beni convenienti pertanto i consumatori dell’altro paese saranno più indotti ad acquistare merci prodotte (e prezzate) con l’altra valuta. Dunque, appare chiaro che i paesi che sperimentano un’unione monetaria siano costrette a fare politiche di austerità per il mantenimento della valuta comune (o per il mantenimento del corso fisso) (fig.3).

pamphlet 2

pamphlet 3

Per il terzo punto, ovvero l’integrazione fiscale, altro non è che il sistema di compensazioni che una qualsivoglia unione economica (ancor prima che monetaria) necessita per funzionare. In pratica sono i trasferimenti fiscali che uno stato ad economia più forte (in questo caso la Germania) deve elargire a quelli più deboli (per l’appunto la Francia) per compensare i loro deficit per non farli cadere in recessione. In un articolo recente del Die Welt (su Scenari Economici la sua traduzione) Greenspan, ex numero uno della FED, ha mostrato secondo il suo punto di vista come mai l’EZ non è una vera Area Valutaria Ottimale e del perché l’euro fallirà: i trasferimenti sono insufficienti. Essendo statunitense, egli ha voluto paragonare (impropriamente) la EZ agli USA e quel che ne è venuto fuori è un dato sconcertante: nel 2014 negli USA la spesa è stata del 20% del PIL mentre nell’EZ dell’1% (fig.4)

pamphlet 4

Per realizzare una completa integrazione fiscale, occorrerebbe fin da subito che la Germania trasferisca annualmente per un decennio agli stati “arretrati” dai 220 ai 250 miliardi di Euro (Sapir), ma non ci sono i presupposti (né la voglia) affinché ciò accada. Le recenti dichiarazioni della Merkel e del suo partito (CDU) sono molto eloquenti a riguardo perché all’economia della Germania fa comodo aver eliminato tutta la concorrenza produttiva in un colpo solo senza spargimento di sangue, ma con l’apposizione di un simbolo: l’€ per l’appunto. Sempre sui trasferimenti fiscali, c’è reticenza sulla loro approvazione in quanto i contribuenti dei paesi donatori difficilmente approverebbero il trasferimento di ingenti somme dei tributi (TFR, IVA ecc ecc) dal proprio paese ad un altro, magari per anni etichettato come “cicala” per usare un francesismo. Infine, sul punto numero 6 una piccola considerazione: Mundell disse che nell’economia di un’unione monetaria le lingue parlate giocano un ruolo fondamentale per permettere la mobilità del lavoro. Risulta pertanto impossibile ad un disoccupato 40enne (o ad un’intera massa) emigrare dalla Calabria per cercare lavoro nella Ostrobotnia (Finlandia) oppure nella Samogizia lituana a causa soprattutto della lingua, a parer dell’Autore unico vero blocco ad una fattibile integrazione europea. Un popolo non si sentirà mai unito (o unico, che dir si voglia) quando la condivisione è solo per la valuta e non su determinati altri valori. Ad esempio, il popolo svizzero, coacervo di diverse nazionalità (italiana, francese, tedesca e romancia), si sente unito per la storia che lo ha caratterizzato, fatto di lotte per l’autodeterminazione (Sonderbund) e le istituzioni comuni (neutralità e democrazia diretta). Al contrario, (quasi) tutte le nazioni europee nel corso dei millenni sono state in aperta lotta tra loro per presunte indipendenze o per pura superiorità (“L’Italia è una pura espressione geografica” secondo Metternich) trovando (e scrivendo) il proprio spazio nella storia secondo sviluppi indipendenti gli uni dagli altri, pur facendo permanere scambi commerciali.

pamphlet 5

 

Tra le prime tre lingue parlate nel Vecchio Continente secondo l’Eurobarometro al primo posto risulta il tedesco (97 mln), seguito dal turco (87 mln) e dall’italiano (63 mln). Nonostante ciò, la Commissione UE ha preferito usare soltanto le lingue tedesco, inglese e francese per i suoi concorsi di assunzione, la redazione degli atti e per i suoi software istituzionali5. Anche qui, un’unione con più di 28 lingue ufficiali pare essere una bizzarria sociale degna di un romanzo fantascientifico che una cosa seria, ma si preferisce lasciare al lettore le considerazioni a riguardo. Senza contare che l’italiano è la quarta lingua più imparata al mondo (fonte: http://www.aldogiannuli.it/italiano-quarta-lingua/).

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Ci rivediamo lunedi con il secondo capitolo.

“Sii servo del sapere se vuoi essere veramente libero”
 (Lucio Anneo Seneca – Filosofo e drammaturgo latino 04 A.C. – 65 D.C.)

 


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