Attualità
DISCORSO AL MERCATO. Il testo completo dell’intervento del Presidente della Consob, Paolo Savona
Premessa – La Relazione che la Consob presenta oggi è stata inoltrata lo scorso 31 marzo al Ministro dell’Economia e delle Finanze ai sensi della Legge 216/1974. Essa rende conto del lavoro svolto nel 2019 che spazia dall’approvazione dei prospetti di emissioni azionarie e obbligazionarie, all’esame delle offerte pubbliche di acquisto, al monitoraggio delle operazioni di borsa e dell’attività degli operatori finanziari, all’irrogazione di sanzioni e alla disamina dei provvedimenti normativi interni, europei e di organizzazioni sovranazionali. L’ampiezza dell’impegno è sintetizzabile con le 101 riunioni di Commissione per esaminare le 1246 pratiche curate dagli uffici. La più importante novità è stata la chiusura di 117 siti web (223 all’11 giugno 2020) che raccoglievano risparmio in modo illegale, disposta a seguito del potere attribuitoci con Legge 58 del 28 giugno 2019.
Nella prima parte del 2020 sono stati presi 21 provvedimenti per fronteggiare i problemi insorti a seguito dello scoppio della pandemia Covid-19, di cui è stata data comunicazione nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario del 28 maggio. Con gli organismi internazionali di vigilanza (ESMA e IOSCO) sono state date, tra l’altro, istruzioni sull’informativa da diffondere al mercato in materia di rendicontazioni finanziarie e di informazioni sulle misure intraprese per garantire l’andamento in prospettiva delle società allo scopo di ridurre le incertezze dominanti sui rischi incombenti. Al fine di contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in assemblea con la tutela della salute pubblica, sono state prese misure che derogano temporaneamente alla disciplina in materia.
Sono state inoltre abbassate le soglie di comunicazione delle partecipazioni nel possesso dei capitali societari italiani, per rendere maggiormente trasparenti i mutamenti degli assetti proprietari nel mercato finanziario. Particolarmente significativa è stata la decisione del 9 aprile che impone fino all’11 luglio l’obbligo di dichiarare gli scopi perseguiti con gli acquisti effettuati a partire dalla soglia del 5%, percentuale dimezzata rispetto a quella vigente. È stata anche decisa la proibizione delle operazioni di borsa allo scoperto al fine di bloccare questa forma di speculazione, realizzata in tre tempi, a cominciare dal 12 marzo, quando si sono verificate le condizioni previste dalla legge per l’intervento della Consob. Essa si sarebbe potuta anticipare se fosse subentrata in sede ESMA una decisione a maggioranza dei membri del suo Board, che non è stato possibile raggiungere; l’ESMA ha però deciso di ridurre per tre mesi, recentemente confermati, allo 0,1% la soglia di notifica alle autorità nazionali di vigilanza delle posizioni ribassiste. Una minoranza di autorità membri dell’istituzione ha però dato corso autonomamente alla stessa nostra decisione, ma per una durata temporale più corta, per un mese, rispetto alla nostra, di tre mesi. Poiché queste stesse autorità hanno comunicato che il provvedimento, dopo un rinnovo, non sarebbe stato più replicato, la Consob ha deciso di revocare anticipatamente la proibizione per il tono più equilibrato mostrato dalle quotazioni e per la valutazione che la speculazione allo scoperto sui nostri titoli si sarebbe altrimenti spostata su borse estere. L’andamento negativo dei corsi azionari del 19 maggio ha fatto ritenere ad alcuni che la caduta fosse stata determinata dal provvedimento di revoca, ma le operazioni allo scoperto sono state quel giorno di dimensioni trascurabili e tali sono continuate nei giorni successivi; inoltre sono state il reflusso delle contrattazioni di questo tipo realizzate nella borsa dei paesi che non avevano deciso la proibizione.
Per la sua attività la Consob si avvale dell’indispensabile e preziosa collaborazione della Magistratura e della Guardia di Finanza, alle quali rinnoviamo in questa occasione il più sentito ringraziamento.
- Ripensare all’architettura istituzionale tenendo conto dei mutamenti del quadro di riferimento delle politiche monetarie, delle condizioni finanziarie e delle innovazioni tecnologiche disponibili – L’anomalia della crisi in corso è stata autorevolmente descritta come un evento che non doveva affrontare una bolla inflazionistica, né un boom di domanda aggregata, né alterazioni sistemiche del mercato finanziario, ma uno sconvolgimento dell’offerta produttiva dovuto a fattori esogeni, in gran parte metaeconomici, in quanto afferenti alla reazione alla pandemia Covid-19. Quella in corso, rispetto ad altre crisi del passato, non è un caso di fallimento del mercato, né della politica economica; anzi, questa ha reagito prontamente in misura abbastanza soddisfacente, andando anche oltre le forme tradizionali di intervento al fine di impedire che l’instabilità uscisse fuori controllo, soprattutto dal lato finanziario.
Le manifestazioni immediate sono state una severa caduta della produzione e dell’occupazione e l’entrata in difficoltà delle famiglie e delle imprese. Per fare fronte all’emergenza socio-economica la spesa pubblica è aumentata, in buona parte finanziata con l’accensione di debiti statali. L’insieme di questi effetti ha creato problemi sul mercato bancario e finanziario che sono stati finora fronteggiati, ma non escludono l’insorgere di altri disturbi se le conseguenze sull’offerta e la domanda aggregate e sull’occupazione dovessero perdurare a lungo.
Come noto, la Consob persegue l’obiettivo intermedio di garantire il buon funzionamento delle società e della borsa in funzione dell’obiettivo finale di proteggere il risparmio, come valore in sé stesso, ma anche in ottemperanza al dettato costituzionale. Nell’assolvere questo compito la Consob è affiancata dall’Ivass, l’autorità di controllo delle assicurazioni, e dalla Covip, la Commissione di vigilanza dei fondi pensione, grandi operatori sul mercato del risparmio, e dalla Banca d’Italia, l’autorità che garantisce la stabilità sistemica monetaria e finanziaria, nonché la vigilanza sulle banche e su taluni altri intermediari. L’attività delle quattro istituzioni è presupposto indispensabile per la solidità dell’attività reale e la stabilità sociale, funzioni esercitate in diversa misura nel contesto delle istituzioni europee e, in forme meno cogenti, di quelle internazionali.
Il buon funzionamento dei mercati monetari e finanziari e la loro stabilità sistemica sono due facce di una stessa medaglia che creano aree di azione complementare, in particolare nell’ambito delle banche; queste, per la loro caratteristica “universale” introdotta con la riforma del 1993, raccolgono depositi ed emettono passività finanziarie per concedere crediti e acquistare altre attività, oltre a essere attive nel comparto assicurativo. L’attività di intermediazione da esse svolta in strumenti e scadenze trasferisce rischi dalla componente attiva a quella passiva dei bilanci bancari, con riflessi sugli equilibri dei mercati monetari e finanziari e, di conseguenza, su quelli dell’attività produttiva.
Nell’esercizio delle loro funzioni, tra le autorità esiste una rilevante sproporzione di risorse finanziarie e di personale a causa della diversa origine e limitatezza delle entrate rispetto ai compiti assegnati; questa diversità si potrebbe accentuare a seguito della crisi, ponendo vincoli alle loro necessità inderogabili di spesa, comprese quelle per accogliere le innovazioni tecnologiche.
L’obiettivo primario assegnato alla politica monetaria è la stabilità del metro monetario, ossia il controllo dell’inflazione, da perseguire in modo indipendente per il principio democratico della no taxation without representation, nessuna tassa può essere imposta se alla decisione non partecipa chi la deve pagare; l’inflazione opera infatti come una tassa occulta, ossia fissata senza che alla decisione partecipi chi la subisce. Per perseguire questo obiettivo, le autorità monetarie, nelle loro diverse articolazioni organizzative, dispongono di strumenti potentissimi affinati nel tempo (creazione di moneta, variazione dei tassi dell’interesse, operazioni di mercato aperto, imposizione di riserve ufficiali, vigilanza ispettiva, ricorso a fondi di garanzia dei depositi e di risoluzione delle crisi, e altre forme di intervento) che le autorità preposte ai mercati finanziari hanno in assai minore incisività (regolazione diretta di alcune operazioni, autorizzazioni a operare sul mercato del risparmio, imposizione di informazioni da rendere agli investitori, vigilanza ispettiva e sanzioni per violazioni di norme). Questa discrasia strumentale si è formata quando la moneta era in posizione dominante rispetto alla finanza, per cui la stabilità monetaria poteva essere ritenuta come precondizione della stabilità finanziaria. Il susseguirsi delle recenti crisi globali insegna che tale relazione si è rovesciata, ma l’assetto istituzionale è rimasto sostanzialmente invariato. Le autorità monetarie hanno mantenuto e perfezionato gli strumenti attivabili per fronteggiare le crisi sistemiche in generale, ma anche quelle delle singole unità in difficoltà, ma trattando in modo differente le passività monetarie da quelle finanziarie.
In punto di teoria, il compito di sanare le crisi che comportano nuovi costi per la collettività dovrebbe gravare sulla politica fiscale, ma, in pratica, la difficoltà e la lentezza delle sue decisioni e della loro attuazione chiamano in causa la politica monetaria, che ha anche il vantaggio di poter intervenire in modo dinamico e teoricamente illimitato. Ne consegue che il sistema finanziario e quello reale tendono a dipendere dagli orientamenti e dalle attuazioni pratiche della politica monetaria, condizionando la politica fiscale, che dispone di fondamenti democratici più ampi e profondamente radicati rispetto al controllo dell’inflazione. L’ideale sarebbe di consentire all’insieme delle politiche monetarie e fiscali di cum-petere, concorrere allo stesso fine, ossia integrare o correggere le forze del mercato reale assicurando prezzi stabili per garantire, in condizioni di libertà, la crescita del reddito, dell’occupazione e del benessere sociale.
Nonostante esistano divergenze teoriche profonde sul ruolo che devono svolgere le politiche, la legittimazione dell’intervento monetario per la stabilità finanziaria e reale affonda le sue radici in necessità pratiche piuttosto solide perché, in sua assenza, l’instabilità dei mercati impedirebbe alle istituzioni di vigilanza e di intervento di attuare il rispettivo compito. La soluzione data alla crisi globale del 2008 e, soprattutto, a quella in corso testimonia l’indispensabilità delle decisioni prese dalle autorità monetarie, anche se esse stesse le hanno definite “non convenzionali”; il termine usato denota che speravano di poter tornare nella “normalità” istituzionale che distingue il loro mandato, azione che hanno intrapreso con moderazione nel 2019, interrotta a seguito dell’irrompere della crisi pandemica. Aver riconosciuto che le operazioni non convenzionali non possono più essere considerate tali, come ha dichiarato in modo esplicito il Chairman della FED, e averle anche rafforzate, va a merito dei responsabili. Tuttavia, la dipendenza dalla politica monetaria venutasi a creare per il buon funzionamento del mercato dei capitali e il sostegno dell’attività reale e del benessere sociale impone il doveroso compito di adeguare l’architettura istituzionale esistente alla realtà da affrontare.
Detta situazione era già palese fin dall’emergere della “finanziarizzazione dell’economia” che ha dato vita a un’”industria finanziaria” sganciata dall’industria reale, che ha gonfiato i volumi di finanza, facendole perdere la natura di ancella dello sviluppo del reddito e dell’accumulazione di ricchezza. Un illustre commentatore economico l’ha definita il “peccato originale” dell’attuale insoddisfacente funzionamento dei mercati, che peggiorerà se si accetta di diffondere le innovazioni finanziarie fuori dai mercati regolamentati, come fu quello dei derivati OTC, e il proliferare di strumenti complessi e concessioni superficiali di credito che hanno condotto alla crisi del 2008. Un esempio attuale è la circolazione di monete e prodotti finanziari in forma elettronica (cryptocurrency o, in generale, coin e cryptoasset o token) che poggiano su registri contabili decentrati (DLT) e svolgono funzioni interscambiabili di mezzi di pagamento e strumenti di indebitamento, in confusa espansione per iniziativa di intermediari privati e Stati sovrani.
Tra gli effetti dell’intervento monetario per garantire la stabilità finanziaria vi è il rovesciamento della direzione di causalità tra l’azione politica e quella del mercato, a favore di quest’ultimo, impedendo alle due istituzioni fondamentali per il buon funzionamento delle società, ancor prima delle economie, di esercitare tra loro un reciproco controllo: quello di redistribuire il reddito, funzione tipica delle democrazie, e quello di produrlo e commutarlo, propria dell’economia produttiva; uno scambievole condizionamento è indispensabile per la sperimentata fallibilità dell’una e dell’altra attività nel perseguire la stabilità economica e la piena occupazione per dare vita a una società più equa. Almeno per chi non si fa trascinare nelle valutazioni da considerazioni ideologiche.
In questo quadro, le oscillazioni della fiducia sui prezzi delle grandezze finanziarie, invece di riflettere le prospettive dell’economia reale, come sarebbe corretto che accadesse, dipendono dalle aspettative incerte sull’evoluzione della politica monetaria. Ciò accade in particolare per le quotazioni delle borse valori, che tendono a riflettere le attese di abbondanza o di ristrettezza della creazione monetaria; i prezzi dei titoli divengono termometri che misurano la temperatura di corpi istituzionali diversi da quelli direttamente produttivi. Per convincersi basta leggere le cronache quotidiane di borsa e non solo queste. La stessa conduzione della politica monetaria resta esposta e perfino condizionata da fattori di origine extraeconomica, come squilibri geopolitici e climatici o fenomeni come la diffusione del Covid-19, che impongono suoi interventi non convenzionali.
Si rende perciò necessario definire e attuare un nuovo assetto istituzionale che prenda in considerazione e sciolga la dipendenza tra le diverse politiche e i comportamenti dei mercati, finalizzandoli alla crescita del reddito e dell’occupazione, che resta la più efficace forma di protezione del risparmio.
A tal fine è d’ausilio uno dei contributi lasciatoci dal prof. Giuseppe Guarino, al quale si intende rendere omaggio in questa importante occasione. In uno scritto del 2014, negli anni in cui egli rifletteva sull’architettura dell’Unione Europea, spiegò il concetto di “uomo-istituzione”, che ha come contro faccia quello di “istituzione-uomo”. La sua tesi è che, cessato lo stato di natura degli esseri umani, ammesso che sia mai esistito perché comunque erano già calati in istituzioni elementari (la madre, la famiglia, la tribù), la loro collocazione istituzionale è divenuta sempre più complessa, fino ad abbracciarli oltre l’area della vita, da prima della nascita a dopo la morte. La solidità delle istituzioni si fonda, dice Guarino, sulla “forza sociale”, ossia la condivisione e il rispetto delle regole che le governano, ed è potenziata dalla “forza organizzativa”, una caratteristica più tangibile dell’altra in termini di esercizio del potere di comando sugli esseri umani. L’implicazione di una siffatta analisi è che le istituzioni sono come gli esseri umani: se nascono con difetti a uno o più organi del corpo, i loro comportamenti saranno condizionati e, di conseguenza, le loro prestazioni insoddisfacenti; se nascono con un difetto motorio, cammineranno male, se con difetti di circolazione, si muoveranno con cautela. È ciò che uno degli artefici dell’Unione Europea, Carlo Azeglio Ciampi, ha definito essere la “zoppia” dell’istituzione a causa del mancato raggiungimento dell’unificazione politica del Vecchio Continente.
Se alle istituzioni manca il sostegno della forza sociale, si accresceranno i tentativi di imporre la forza organizzativa dello Stato, finché la prima non si ribella generando rivoluzioni. Le istituzioni incomplete o inadeguate, comprese quelle sovranazionali, non di rado frutto di compromessi, comportano una serie di conseguenze negative che le continue soluzioni tampone non risolvono, accumulando tensioni sociali ed economiche. Questa conclusione va considerata una viva sollecitazione a impegnarsi per il pieno completamento dell’Unione Europea, non contro la sua esistenza.
Il mercato globale si regge sulla fiducia che i possessori di attività finanziarie ripongono nella possibilità di poterle tramutare in liquidità da scambiare, ove necessario o alla scadenza stabilita. L’abbondante creazione monetaria rinsalda questa fiducia, ma dura finché non si indirizza verso i beni e servizi che compongono il PIL perché, se così accadesse, causerebbe inflazione, creando diversi problemi a causa dell’interruzione dei legami simbiotici tra creazione monetaria e stato della fiducia.
Nell’Unione Europea è stato dedicato più impegno alle istituzioni monetarie e meno a quelle finanziarie, con decisioni ed effetti pratici che hanno penalizzato il risparmio. L’incompletezza dei compiti attribuiti all’ESMA rispetto a quelli assegnati alle organizzazioni sovranazionali monetarie e bancarie, ne è chiara testimonianza. Sono espressioni concrete di questa differente attenzione gli effetti asimmetrici sui portafogli delle famiglie conseguenti alla garanzia concessa ai depositi bancari fino a 100 mila euro, negata a quelli di dimensione più elevata e al risparmio investito in azioni e obbligazioni delle banche introducendo il bail in, ossia il loro mancato rimborso in caso di fallimento; invece di creare forme valide di responsabilizzazione degli investitori di fronte alla differente rischiosità dei titoli, il risultato pratico è, non di rado, di decidere interventi affrettati e confusi il cui costo va a carico dei bilanci pubblici nazionali per evitare le conseguenze sociali e legali di possibili fallimenti dei controlli.
È perciò urgente che la nostra politica avvii ufficialmente un esame della situazione esistente in materia di tutela del risparmio in tutte le sue forme, in attuazione dell’art. 47 della Costituzione che favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese. La situazione è tale da richiedere di definire in tempi stretti una nuova architettura istituzionale per il buon funzionamento dei mercati monetari e finanziari e l’esercizio dei controlli pubblici indispensabili nel nuovo contesto operativo globale. Nell’occasione, come proporremo più oltre, l’accesso del risparmio popolare andrebbe allargato al “grande complesso produttivo” rappresentato dalle PMI. Questa iniziativa è sollecitata anche dall’abnorme espansione della piramide finanziaria, destinata ad ampliarsi e a divenire ancora più complessa da gestire, per il diffondersi incalzante delle innovazioni tecnologiche a livello globale.
Il ritardo accumulato nel collocare la moneta e la finanza in quella che è stata definita l’Infosfera (la “nuvola” nel linguaggio dei media) è parte della lacuna istituzionale evidenziata. Un aspetto di rilievo tocca il sistema dei pagamenti: Stati sovrani e organizzazioni private hanno annunciato la creazione di nuove monete criptate gestite su basi contabili decentrate. Gestori della moneta (banche) e della finanza (intermediari di risparmio) mostrano esitazioni e perfino resistenze nel collocare la loro attività ordinaria nella sfera delle tecnologie informatiche, sollevando istanze etiche comprensibili, ma che, non di rado, celano la difesa delle rendite permesse dall’architettura normativa vigente. La gran parte delle istituzioni ritiene che sia sufficiente muovere verso la digitalizzazione del sistema dei pagamenti e della gestione dei risparmi, ma la frontiera della tecnologia è ben più avanzata della mera digitalizzazione; questo termine non consente di precisare l’ampiezza del compito che sono chiamate ad adempiere le istituzioni pubbliche e private. Minoranze di operatori e di paesi più intraprendenti si sono mossi in questi spazi telematici, aprendo una competizione geopolitica che mette a serio rischio la cooperazione internazionale, mina il processo di pace, faticosamente difeso, e di globalizzazione economica, che ha portato libertà e benessere. In assenza di una nuova architettura, nel mercato mondiale del risparmio la distribuzione dei flussi e delle consistenze risulterà inevitabilmente alterato, ancor più di quanto già non facciano i paradisi fiscali, i differenti trattamenti tributari e gli altri ostacoli all’integrazione dei mercati finanziari nazionali, come il dumping regolamentare in ambito societario.
Una manifestazione di questa inversione di tendenza della cooperazione internazionale è la ripresa del protezionismo di ogni tipo, che interrompe i vantaggi della globalizzazione per l’incapacità di governarne i difetti. Se però il problema si esamina solo secondo l’ottica della libertà dei traffici reali e finanziari, si perderebbe il senso della realtà da affrontare, che riguarda il controllo delle informazioni, da sempre materia prima di ogni azione umana. L’evoluzione delle relazioni tra Stati sposta gli equilibri geopolitici economici; si è infatti passati dalla Hylesfera, la sfera materiale, dove i conflitti avevano contenuti materiali (guerre per conquiste territoriali, presidio delle rotte dei traffici e impossessamento di beni con la forza), all’Ideosfera, la sfera delle ideologie, centrata sulla competizione culturale e la propaganda tra sistemi politici alternativi; si è poi proceduto a scalare il primo livello dell’Infosfera, quello delle grandi imprese telematiche, che hanno visto gli Stati Uniti in posizione di leader, usando il, per noi ben noto protocollo, https (hyper text transfer protocol secure) che la lungimiranza degli ideatori ha messo a disposizione di tutti i popoli della Terra.
Ora la competizione geopolitica si svolge a un secondo livello dell’Infosfera, quello tra nuovi protocolli informatici e l’uso delle tecnologie in rapida evoluzione, definite “senza frontiera”. Queste innovazioni sono capaci di gestire mole crescenti di dati che permettono non solo lo svolgimento del lavoro “in remoto”, il collegamento di un numero elevato di persone senza muoversi dalla loro localizzazione fisica, ma anche la realizzazione di un’ampia gamma di scambi monetari e finanziari su basi interamente telematiche, imponendo alle autorità di governo e di vigilanza un salto nella conoscenza e nella dotazione di strumenti per le loro scelte e per i loro controlli. L’uso di algoritmi basati sull’intelligenza artificiale, l’uso di linguaggi sempre più potenti, come quelli della fisica quantistica, e di computer adeguati, impongono una modifica epocale ai livelli di professionalità necessari. Invece, stiamo ancora discutendo sulla opportunità o meno di usare l’intelligenza artificiale, mentre una parte crescente degli operatori politici ed economici, pubblici e privati, nel mondo già fanno ricorso alle nuove tecniche. Solo l’ignoranza dello strumento induce a ritenere che, con gli algoritmi, le decisioni possono sfuggire meccanicamente di mano e, con essi, si possa speculare in borsa e non stabilizzare le quotazioni con decisioni oggettive che prescindono da valutazioni personali.
La ricerca di nuovi protocolli e di nuove tecnologie di connessione mobile, come il 5G, ha già causato chiusure e tensioni tra Stati Uniti e Cina, che rischiano di tramutarsi in conflitti pericolosi se non venissero governati da accordi di cooperazione internazionale; il luogo naturale di loro attuazione sarebbe l’ITU, l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni dell’ONU, con sede a Ginevra, che, per quanto è dato sapere, è stata già investita da questa problematica; il nodo da sciogliere è garantire la socializzazione dei nuovi protocolli, come accaduto per lo https. Uno dei problemi centrali di questa competizione riguarda chi avrà il predominio della moneta per usi internazionali come viatico delle destinazioni dei risparmi globali e della collocazione del potere geopolitico.
La ricerca di un’architettura istituzionale valida globalmente, inevitabilmente più lenta, non deve ritardare l’individuazione di una soluzione nazionale per promuovere e partecipare costruttivamente alla cooperazione tra Stati. Abbondano analisi, proposte e anche iniziative di riforma di questi mercati a livello interno e internazionale, ma l’orientamento prevalente è verso la conservazione delle vecchie architetture, potenziando le politiche monetarie, rendendo dipendenti quelle finanziarie e usando le politiche fiscali per aumentare il ruolo dello Stato e ridurre quello del mercato. Per la moneta e la finanza si tenta ancora di incorporare l’Infotech nelle normative esistenti e non trasporre queste nel nuovo contesto di riferimento tecnologico e geopolitico. I paesi che non sapranno scegliere una soluzione in prospettiva resteranno indietro economicamente e socialmente.
Il riesame dell’architettura istituzionale monetaria e finanziaria di fronte a mutamenti epocali non è una novità. Le continue crisi del regime monetario internazionale a cavallo dei secoli XIX e XX, dopo una serie di Conferenze internazionali, portarono alla definizione delle banche centrali come autorità pubbliche indipendenti dagli organi esecutivi e legislativi. La Grande crisi del 1929-33, che ebbe un epicentro nella finanza, fu affrontata dal Presidente americano Roosevelt anche riorganizzando l’architettura istituzionale dei mercati del credito e dei capitali, dando tra l’altro origine alla SEC, la progenitrice della Consob. Da allora si sono registrate altre crisi, le due più gravi di origine bellica, che hanno imposto il ricorso a soluzioni lungimiranti, quale l’Accordo di Bretton Woods del 1944, che hanno consentito al mondo di progredire sulla via del benessere, riducendo il fardello sociale della povertà e sconfiggendo l’attrazione esercitata dalle economie centralizzate e dalle società chiuse ai sistemi di libertà. La crisi finanziaria globale del 2008 ha imposto una creazione di moneta più ampia e una regolamentazione della finanza più rigida, non guidate però da una visione di una nuova architettura istituzionale adatta alla realtà che si andava delineando. Il costo è l’abbassamento registrato del saggio di crescita reale dei paesi più avanzati nei sistemi che perseguono l’attuazione di una libertà positiva.
Le scelte da fare per affrontare possono dare vita a due diversi regimi.
- Il primo dovrebbe condurre a una netta distinzione tra moneta e finanza, realizzando il sogno di Hyman Minsky di porre fine alla moneta come serva di due padroni, la stabilità dei prezzi e la stabilità bancaria (o dello sviluppo reale), resa oggi possibile dalle tecnologie dei registri decentrati (DLT). L’attuazione richiede di dotare il sistema dei pagamenti di una criptomoneta pubblica o – nell’impossibilità di superare gli egoismi nazionali che affossarono il bancor di Keynes – di poche monete nazionali criptate legate da regole di cambio uguali per tutti; queste mancano nello Statuto del WTO, che consente una libera scelta degli Stati tra cambi fissi, fluttuanti o dirty (con interventi delle autorità nazionali). Non è quindi solo un problema legato alla distinzione tra moneta e prodotti finanziari, sulla quale sembra concentrarsi l’attenzione dei regolatori, ma di individuazione dei compiti delle istituzioni, oltre che dei modi in cui devono operare il sistema dei pagamenti e la gestione del risparmio. Gli annunci delle autorità che sollecitano la digitalizzazione della moneta e delle attività finanziarie non colgono l’ampiezza e importanza del problema da risolvere. Se si disponesse la nascita di una criptomoneta pubblica, il sistema dei pagamenti si muoverebbe in modo indipendente dalla gestione del risparmio, che affluirebbe interamente sul mercato libero, cessando la simbiosi tra moneta e prodotti finanziari, affidandone la gestione in modo indipendente ai metodi messi a punto dai registri contabili decentrati e dalla Scienza dei dati.
- Il secondo manterrebbe le caratteristiche prevalenti del regime esistente, ma la sua regolazione presenterebbe maggiori complicazioni perché conviverebbero i vecchi e i nuovi strumenti monetari e finanziari, insieme ai vecchi e nuovi metodi di loro gestione. La maggior parte dei Governi sembrerebbe non voler procedere verso la creazione di una propria criptomoneta, né intendono farlo congiuntamente; alcuni tra essi, tuttavia, come la Cina e la Russia, forti di loro autonomi protocolli, intendono però realizzarla nell’intento sia di avvantaggiarsene a scopi di riequilibrio geopolitico economico, sia di proteggersi dagli effetti sgraditi, quali la perdita di controllo delle informazioni nazionali, e da quelli graditi, come l’impossessamento di quelle dei paesi concorrenti. Perciò, le relazioni internazionali, invece di convergere verso una soluzione comune, tendono a complicarsi ulteriormente. Questo regime già opera per l’esistenza di alcuni cryptoasset, individuati nei Bitcoin o Coin o Stable coin o Token, che ha fatto perdere il senso di ciò che si dovrebbe fare: unificare e modernizzare il sistema dei pagamenti, riconducendolo nell’alveo legale di garantire la stabilità del potere d’acquisto e di essere l’unico mezzo legale liberatorio dei debiti. Nonostante ciò, si mostrano ancora esitazioni nello stabilire che non possano convivere criptomonete private e pubbliche perché causerebbero confusione, se non proprio disastri. Problemi non minori di mancata regolazione si delineano per le criptoattività finanziarie che, dopo l’esperienza non proprio brillante delle ICO (Initial Coin Offering), paiono indirizzarsi verso la loro tokenizzazione, un ibrido monetario-finanziario a cui manca una regolamentazione pubblica. Nell’ambito di questo regime alternativo, la protezione del risparmio sarebbe decisamente più difficile, se non impossibile, perché la competizione tra monete pubbliche, che ricercano la stabilità, e monete private, che ricercano profitti, altererebbe il funzionamento dell’attuale architettura istituzionale, che già vive la stretta dipendenza descritta tra gestioni monetarie, finanziarie e fiscali. Va perciò stabilito con urgenza quale sia la moneta che attribuisce valore legale ai diritti di credito, proprietà di cui non godono le altre monete previste da accordi negoziali.
La Consob è avanti nell’esame di questa problematica e nella ricerca di soluzioni pratiche utili pe l’esercizio delle sue funzioni.
Le dichiarazioni rese dalle autorità pendono verso l’affermarsi di fatto del secondo regime. Esse, tuttavia, registrano giuste esitazioni nei confronti della nascita di pseudo-criptomonete private come la Libra di Facebook o le Grams di Telegram, che hanno molte caratteristiche duplici, di moneta e prodotti finanziari. Le autorità americane si sono già pronunciate contro l’iniziativa di Telegram con obiezioni procedurali, non interamente logiche come qui avanzate.
Qualsiasi sia lo sbocco nella scelta del regime monetario e finanziario, vi sono due passi preparatori della nuova architettura istituzionale da muovere con urgenza.
Il primo è la creazione di una base informativa comune quanto più ampia possibile, accessibile dalle autorità di controllo, fissando regole adeguate per l’accesso, al fine di lottare contro la criminalità organizzata o singoli atti criminali e il finanziamento del terrorismo. Poiché la sicurezza dei dati (la cybersecurity) deve essere garantita dallo Stato, questo servizio deve essere considerato un vero e proprio “bene pubblico”, ossia un bene la cui produzione va garantita e protetta per tutelare l’interesse generale e, pertanto, messo a disposizione di tutti.
Il secondo è affidare l’utilizzo di questa base dati ai metodi messi a punto da Data Science che, ribadiamo, sono le uniche che garantiscono scelte di investimento oggettive su basi razionali, trasparenti e verificabili. Gli scambi finanziari avverrebbero esclusivamente con algoritmi che forniscono una previsione oggettiva di come si comporterà il mercato al mutare delle informazioni, eliminando speculazioni, errori di valutazione soggettivi o comportamenti illegali. La tutela del risparmio va affidata all’uso di metodi scientifici da parte dei gestori, controllati con gli stessi metodi di controllo da parte degli enti deputati. Poiché l’impegno di risorse umane e finanziarie per raggiungere la conoscenza e l’applicazione delle innovazioni tecnologiche è rilevante e i risultati vanno socializzati educando le persone a usarli, anche questa intrapresa va considerata un “bene pubblico”.
Il settore privato si sta muovendo più rapidamente degli Stati, che devono colmare il ritardo. Già lo scorso anno, la Consob ha annunciato di voler dare vita alla SAFE, una Scuola per le Applicazioni Fintech Elettroniche, ma esitazioni nel procedere e ostacoli legislativi hanno rallentato la realizzazione. Per superare i vincoli normativi, nel giugno scorso la Consob ha chiesto al Parlamento e ottenuto il 28 dello stesso mese di potersi avvalere della collaborazione delle Università, il centro naturale dove si dovrebbe svolgere una tale ricerca. È in via di definizione un accordo con due Università, una di Roma e una di Milano, ma a seguito della crisi sono subentrati vincoli di bilancio che rallentano l’iniziativa e impongono di venire affrontati congiuntamente tra istituzioni, la cui natura pubblica è stata in precedenza sottolineata. Nelle Considerazioni finali lette il 29 maggio, abbiamo appreso con soddisfazione che il Governatore della Banca d’Italia ha annunciato la creazione di un “centro di innovazione digitale di ampio respiro europeo” di cui tutti certamente beneficeranno. La Consob è in contatto con le principali consorelle estere per monitorare i progressi da esse ottenuti nell’applicare ai controlli i metodi di Data Science; in argomento si sono già tenuti istruttivi incontri.
- L’obiettivo finale: rafforzare il capitale di rischio delle imprese esportatrici, soprattutto medie e piccole, e proteggere tutte le forme di risparmio indirizzandole al sostegno dell’attività reale – In occasione dell’incontro con il mercato del 14 giugno 2019 le esportazioni e il risparmio privato sono stati indicati come i punti di forza dell’economia e della società italiana. Ne consegue che la nuova architettura istituzionale va studiata in funzione del rafforzamento di queste due nostre forze, inquadrate nel nuovo contesto tecnologico e geopolitico illustrato.
Il modello di sviluppo dell’economia italiana che si è andato formando nel dopoguerra all’atto del passaggio dall’economia agricola a quella industriale è del tipo export-led, trainato dalle esportazioni. Le crisi susseguitesi hanno fatto emergere il successo delle imprese esportatrici “di nicchia”, in gran parte medie e piccole, i cui prodotti sono unici non solo per la creatività tipica del Made in Italy, ma anche perché hanno un elevato contenuto tecnologico.
Nel complesso, le vendite all’estero si sono affermate come l’area di maggior successo e resistenza alle crisi internazionali del sistema produttivo italiano. Esse hanno rappresentato la via di uscita alla crisi del 2008 ma, essendo pari a quasi un terzo del PIL, non hanno dimensione sufficiente per imprimere una spinta a una maggiore crescita del reddito e dell’occupazione se non accompagnate da un’incisiva ripresa degli investimenti pubblici e privati, sovente invocata, ma altrettanto sovente non attuata.
Non è avventato affermare che la capacità competitiva dell’area esportatrice resterà solida anche dopo lo shock pandemico. Le decisioni interne, europee e internazionali si sono giustamente prefisse di evitare gravi conseguenze monetarie e finanziarie, oltre che lenire i costi sociali, ma l’uscita dalla crisi dipenderà dalla possibilità che l’abbondanza di moneta a basso costo si trasmetta all’attività reale attraverso forme finanziarie adatte.
Le PMI, soprattutto esportatrici, potrebbero essere oggetto di un esperimento di stimolo del capitale di rischio con funzioni alternative all’indebitamento, argomento che verrà ripreso più oltre, quando verrà trattato il problema della leva finanziaria in generale. Questa iniziativa sarebbe meglio finalizzata se si accompagnasse a un progetto di sostegno della loro attività di ricerca e sviluppo, per incorporare le innovazioni tecnologiche nei processi e nei prodotti. Come sottolineato per il Fintech delle banche e degli intermediari finanziari è necessario studiare e applicare i metodi Hytech per queste imprese, considerandoli anch’essi un “bene pubblico”. Questa istanza è già presente nella funzione di utilità sociale della politica di quasi tutti i paesi ed esistono molte provvidenze che operano in tal senso, ma manca una considerazione congiunta per ricondurre in un unico alveo istituzionale la miriade di piccoli interventi di questa natura già decisi o in corso di essere varati.
Il risparmio italiano ha mostrato storicamente una forte resilienza agli shock, collegandosi alle esportazioni e dando vita a un centro rilevante di sua formazione nel saldo attivo di parte corrente della bilancia con l’estero. In passato si è ritenuto che il carro dello sviluppo fosse trainato dalla domanda interna e dalla spesa pubblica, ma è emerso che il traino proviene da due componenti a esse interne – la domanda estera e la disponibilità di risparmio – alle quali va destinata specifica attenzione in attuazione del disegno di riforma dell’architettura istituzionale qui richiesta.
A fine 2019 le Famiglie italiane disponevano di una ricchezza immobiliare, monetaria e finanziaria, al netto dell’indebitamento, pari a 8,1 volte il loro reddito disponibile, di cui il 3,7% in forma di attività finanziarie, per un ammontare di 4.445 miliardi di euro. Gli italiani sono tutt’altro che cicale, come una distorta pubblicistica tende a sostenere, mentre sono formiche che lavorano per sostenere molte cicale estere, anche quelle di paesi che hanno un ben differente rilievo economico, come il Canada, gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Belgio, la Francia e la gran parte dei paesi sudamericani. Ciò è valido guardando sia alle consistenze, sia ai flussi annuali di risparmio dei paesi citati.
Questi dati non tengono conto delle immense ricchezze artistiche e ambientali del nostro Paese, che sono larga parte del patrimonio dell’umanità, la cui produzione di valore aggiunto, attraverso il turismo e gli scambi culturali, va assumendo il ruolo di volano della crescita delle aree economicamente più arretrate del Paese.
Nella prima parte del 2020, nonostante la gravità della pandemia Covid-19 e i timori degli effetti sull’economia, il risparmio ha reagito positivamente, ricomponendo gli investimenti a favore della moneta in linea con le ben note reazioni degli investitori alle incertezze. Le manifestazioni più gravi si sono avute nelle borse valori, che sono state fronteggiate da efficaci politiche di sostegno monetario e fiscale; tuttavia, tali interventi hanno ulteriormente accresciuto la dipendenza dei mercati finanziari dalla politica monetaria, allentando le relazioni tra i prezzi che in essi si formano e gli andamenti reali. La perdita di valore delle azioni quotate nella borsa italiana è stata in linea con quella registrata dalle borse estere, anzi è stata leggermente inferiore a quella delle borse europee; la tendenza è verso il recupero delle quotazioni vigenti prima dello scoppio della crisi sanitaria. Anche i Fondi comuni di investimento italiani hanno reagito molto meglio di quelli del resto del mondo, dove sono stati registrati casi di mancato rimborso dei riscatti delle quote.
La conferma che la posizione finanziaria con l’estero dell’Italia resta in sostanziale pareggio, ribadisce quanto sostenuto lo scorso giugno: il nostro Paese non rappresenta un problema finanziario per il resto dell’Europa e del mondo, ma una risorsa di risparmio a cui l’estero attinge in diverse forme per la sua crescita. Dati alla mano, in quell’occasione è stato chiesto che questo contributo venisse riconosciuto, evitando di concentrare le valutazioni sull’indebitamento pubblico, trascurando parametri che ignorano la solidità e la stabilità del risparmio interno e alimentano pregiudizi piuttosto che indurre fondate valutazioni. Questa considerazione sposta l’attenzione e l’impegno sul ruolo della politica interna ed europea nel determinare la fiducia. All’Italia non mancano solide fondamenta reali, ma scarseggia la loro giusta considerazione. A un anno di distanza non esistono elementi tali da cambiare il giudizio allora espresso.
L’importanza della fiducia negli equilibri del mercato finanziario è stata asseverata nel 2019 da una rilevante discesa dello spread sui rendimenti dei titoli di Stato, pur in presenza di una politica monetaria europea inizialmente più cauta e un lieve peggioramento del saggio di crescita reale. Gli analisti attribuiscono detto miglioramento al venir meno dei timori di un cambiamento di denominazione del debito pubblico per tornare a una moneta nazionale. La recente ampia oscillazione dello spread come conseguenza, prima, alle incertezze insorte a seguito della crisi pandemica, poi, al vigoroso intervento monetario, conferma la mutevolezza della fiducia, assegnando al compito di tenerla sotto controllo caratteristica di obiettivo prioritario dei poteri dello Stato. Questo sarà possibile se le autorità europee e le istituzioni sovranazionali contrasteranno le valutazioni distorte del mercato, come già stanno facendo per la stabilità dei debiti sovrani, sottolineando la rilevanza di più ampi e validi indicatori.
In breve, proponiamo di “cercare la verità nei fatti”.
- Azioni da condurre nell’immediato – La solidità e resilienza del risparmio italiano è tuttavia condizione necessaria, ma non sufficiente affinché affluiscano risorse verso il capitale produttivo, che resta la migliore condizione per un’efficace tutela. Un passaggio necessario è che la politica economica prenda in considerazione tra i suoi obiettivi la leva finanziaria, nella sua duplice configurazione, per le imprese, del rapporto tra capitale di rischio e indebitamento e, per il settore pubblico, delle forme di indebitamento per coprire lo squilibrio tra entrate e spese correnti. Se gli interventi decisi per fronteggiare la crisi produttiva si concentreranno in prevalenza sulla concessione di garanzie e di incentivi all’indebitamento delle imprese, si avrà un peggioramento della loro leva finanziaria, che renderà ancora più difficile e più lenta la ripresa dell’attività produttiva. Se a queste spese e a quelle necessarie per assistere le famiglie in difficoltà si provvederà con prestiti obbligazionari pubblici e crediti ottenibili dall’UE, tutti da rimborsare, il rapporto debito pubblico/PIL, già elevato, si innalzerà ulteriormente. Se, come presumibile, il mercato non terrà conto della capienza del nostro risparmio ad accoglierlo e della solidità delle nostre esportazioni a generarlo; e se il rimborso del debito pubblico è messo in dubbio dalle stesse istituzioni sovranazionali, la ripresa produttiva e la rete del benessere sociale ne patirà ulteriormente.
È auspicabile pertanto che si agisca in due direzioni: a) emettere obbligazioni pubbliche irredimibili (consols), strumento tipico delle fasi belliche, alle quali la vicenda sanitaria è stata sovente paragonata. Esse potrebbero riconoscere un tasso dell’interesse, esonerato fiscalmente, pari al massimo dell’inflazione del 2% che la BCE si è impegnata a non superare nel medio termine; b) agevolare la formazione di capitale di rischio in sostituzione dell’indebitamento.
Le condizioni del mercato del risparmio italiano e le manifestazioni di solidarietà sociale che si sono susseguite nei due mesi di lockdown sollecitano una verifica pratica delle espressioni di valori sociali encomiabili, chiedendo ai cittadini risparmiatori di partecipare nel loro interesse a impedire che costi e vincoli possano essere imposti al Paese se non si raggiungessero i rapporti di debito pubblico/PIL nella misura concordata a livello europeo. La sottoscrizione di obbligazioni irredimibili sarebbe ovviamente volontaria e l’offerta quantitativamente aperta. In altri paesi le emissioni di consols sono state seriamente discusse e forme simili attuate, ma nessun esperimento pratico di questo tipo è stato tentato. Se i cittadini italiani non sottoscrivessero questi titoli concorrerebbero a determinare decisioni che, ignorando gli effetti di lungo periodo di un maggiore indebitamento pubblico, creerebbero le condizioni per una maggiore imposizione fiscale. Emettere titoli irredimibili sarebbe quindi una scelta dai contenuti democratici più significativi perché, se sottoscritti, limiterebbero i rischi per il futuro del Paese e, di conseguenza, gli oneri sulle generazioni future, quelle già in formazione e quelle che verranno.
La soluzione di far beneficiare il capitale di rischio della garanzia statale, entro limiti e condizioni predeterminati, ma attuata in tempi brevi e in forme chiare e semplici, eviterebbe un ritorno non meditato dello Stato nelle imprese e consentirebbe ai piccoli risparmiatori di godere di garanzie capaci di azzerare il rischio delle proprie scelte per un periodo predeterminato; essi beneficerebbero inoltre dei vantaggi di una ripresa produttiva da parte delle imprese alle quali affidano i propri risparmi nel caso in cui gli investimenti avessero successo. Lo Stato spenderebbe certamente meno di quanto non faccia erogando sussidi a fondo perduto, compresi quelli destinati a imprese che non hanno possibilità di sopravvivenza; responsabilizzerebbe inoltre gli imprenditori a ben usare il risparmio ottenuto, limitando l’azzardo morale. Questa soluzione consentirebbe anche di ancorare nuovamente la finanza all’attività reale, in linea con l’obiettivo da perseguire con la nuova architettura istituzionale.
Un esperimento potrebbe essere immediatamente avviato partendo dalle 22.058 medie imprese, dando iniziale preferenza alle 10.838 già esportatrici e a quelle che intendono diventarlo presentando piani credibili. Lo Stato potrebbe agevolare la formazione di loro capitale proprio da parte di investitori, anche non istituzionali per favorire l’azionariato popolare come richiesto dalla Costituzione, garantendo un ammontare medio unitario di 1 milione di euro; una volta raggiunto l’obiettivo l’onere oscillerebbe da un minimo di 11 miliardi di euro a un massimo di 22, che si immetterebbero immediatamente nel circuito produttivo, con effetti positivi sulla leva finanziaria.
Conclusioni – L’analisi delle condizioni generali in cui l’Italia opera e dei suoi specifici punti di forza inducono a concludere che sarebbe utile, anzi doveroso, costituire una Consulta pubblica, composta da studiosi e operatori dotati di conoscenze teoriche e professionali elevate, a cui affidare il compito di definire entro l’anno un documento operativo per dare vita a una nuova architettura istituzionale meglio capace di proteggere il risparmio e incanalarlo verso l’attività produttiva, cominciando dalle esportazioni. Con l’occasione si dovrebbe incorporare nella proposta l’obiettivo di raggiungere la frontiera più avanzata della tecnologia, tenendo conto degli equilibri geopolitici che si vanno formando.
Nel 1998, prima ancora che le vicende descritte si avverassero e la discontinuità tecnologica emergesse prepotentemente, Carlo Azeglio Ciampi aveva affermato: vi è da chiedersi se la sempre più stretta integrazione tra i tre comparti della finanza (attività di credito, d’investimenti e assicurativa), sotto il profilo sia dei soggetti e dei prodotti, sia delle strategie d’impresa, non renda necessario riassumere in un Testo Unico tutta la disciplina della intermediazione creditizia, finanziaria e assicurativa. In breve, un Testo che realizzi l’esigenza di una regolazione unitaria delle legislazioni bancaria, finanziaria e assicurativa, sotto il profilo dei soggetti e dei prodotti, che necessitano, ormai, di una di disciplina coordinata e integrata. Ripropongo questa autorevole riflessione all’attenzione della politica e del mercato, invitandoli a sostenerla tenendo conto del quadro istituzionale europeo, al quale estendere istanze analoghe a quelle qui avanzate, e dei tempi difficili che viviamo a livello globale e tecnologico.
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