Automotive

Devastazione nell’auto tedesca: 100.000 licenziamenti entro il 2030, 18.500 solo in Bosch entro il 2025

Crisi Auto in Germania: Bosch Taglia 18.500 Posti. Transizione EV e Competizione Cinese Affondano il Cuore Industriale Tedesco

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L’industria automobilistica tedesca è in piena tempesta, e l’ultima vittima eccellente si chiama Bosch. Il colosso della componentistica ha annunciato un piano di ristrutturazione drastico che prevede il taglio di ben 13.000 posti di lavoro entro il 2025 nella sua divisione ricambi auto. Un numero che, sebbene sia solo la punta dell’iceberg, suona come l’ennesimo campanello d’allarme, o per usare le parole di un Ministro regionale, una vera e propria “pugnalata al cuore industriale della Germania”.

Non si tratta di un caso isolato, ma dell’ennesimo tassello di un mosaico preoccupante. Se allarghiamo lo sguardo al settore, gli annunci di licenziamenti da parte dei giganti dell’auto e della componentistica superano quota 92.700, cioè quasi 100.000. E se guardiamo al recente passato, il settore ha già perso circa 55.000 posti negli ultimi due anni (dati VDA). La transizione verso l’elettrico, unita alla debolezza economica, sta mietendo vittime, e il meglio – o il peggio, a seconda dei punti di vista – deve ancora arrivare.

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Perché l’auto tedesca è in affanno? I nodi vengono al pettine

Secondo Marcel Fratzscher del DIW, questo annuncio è “solo l’inizio di una profonda ristrutturazione”. Vediamo i fattori che stanno minando le fondamenta del settore che impiega oltre 700.000 persone:

  • Pressione Competitiva Cinese: Marchi come BYD stanno dominando il mercato dei veicoli elettrici in Cina – un tempo la miniera d’oro di VW, BMW e Mercedes-Benz – e stanno sbarcando in Europa con modelli competitivi e a buon prezzo. Il sorpasso è servito e a pagare il prezzo saranno soprattutto i tedeschi.
  • Costo per unità di lavoro e Prezzi Energetici: Il costo del lavoro manifatturiero in Germania è più del doppio rispetto a paesi vicini come Slovacchia e Repubblica Ceca. Aggiungiamoci gli elevati prezzi dell’energia e il cocktail diventa indigesto, spingendo le aziende a considerare investimenti all’estero.
  • Domanda Lenta e Tagli: Nonostante le previsioni di crescita dello per l’economia tedesca (Bundesbank) dopo due anni di contrazione, la domanda non decolla. Volkswagen ha già ridotto i volumi e temporaneamente chiuso due stabilimenti EV per la scarsa richiesta.
  • “Carrozzoni” in Ristrutturazione:
    • VW si è impegnata a tagliare 35.000 posti in Germania entro il 2030.
    • Porsche ha annunciato un profit warning e sta ridimensionando le ambizioni EV.
    • Ford ha già soppresso altri 1.000 posti a Colonia.
    • BMW sposterà produzioni negli USA

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La scommessa di Merz e la spinta al riarmo

Questa ondata di licenziamenti getta un’ombra pesante sulle promesse del Cancelliere Friedrich Merz di rilanciare la Germania. L’iniziativa di investimento da 100 miliardi di euro “Made for Germany”, sostenuta anche da Bosch, e l’aumento della spesa per la difesa, sono i tentativi di Merz di rafforzare la fiducia e creare sbocchi alternativi. L’idea di riconvertire fabbriche automobilistiche sottoutilizzate verso la produzione di contratti per la Difesa non si è però ancora concretizzata su larga scala.

La transizione all’elettrico, come sottolinea Monika Schnitzer, Presidente del Consiglio degli esperti economici, richiede strutturalmente meno lavoratori. Questo significa che il governo dovrà investire massicciamente nella riqualificazione professionale per settori in crescita, proprio come la Difesa. Però le auto sono un bene di consumo durevole, che aumentano la ricchezza delle persone: qual è la funzione delle armi?

Nel frattempo, la pressione esterna è forte: “Sia gli Stati Uniti che la Cina stanno guidando l’espansione della produzione interna a scapito della concorrenza estera,” chiosa Sebastian Dullien dell’Istituto IMK. La vera sfida per il governo non è solo tamponare l’emorragia, ma impedire che queste perdite lascino “cicatrici permanenti sull’economia tedesca”. La partita è appena iniziata, ma l’orologio segna “le cinque e cinque del pomeriggio”, come amaramente constatato dal Ministro Hoffmeister-Kraut. Ormai sta diventando troppo tardi per salvare l’industria europea, sacrificata sull’altare del “Cambiamento climatico” e dell’assurda speranza di conquistare il mercato cinese. Alla fine i cinesi hanno invece conquistato la Germania.

Domande e Risposte per i Lettori

Domanda Risposta (Max 100 parole)
Qual è il legame tra i licenziamenti Bosch e la crisi dei veicoli elettrici? La transizione ai veicoli elettrici (EV) richiede meno componenti e, di conseguenza, meno manodopera rispetto ai motori a combustione. Bosch, colosso della componentistica, si trova quindi a dover ristrutturare per l’obsolescenza di alcune sue produzioni (come quelle diesel) e la necessità di investire in nuove tecnologie. A ciò si aggiunge la scarsa domanda di EV tedeschi a causa della concorrenza asiatica (Cina) che offre modelli più economici, riducendo i volumi e i margini per tutti i fornitori.
In che modo la crisi automobilistica minaccia la politica del Cancelliere Merz? Merz ha promesso di rilanciare l’economia tedesca, ma l’ondata di licenziamenti mina la fiducia nel settore manifatturiero, pilastro del Paese. Il piano di investimenti “Made for Germany” e l’aumento della spesa per la difesa mirano a stimolare la crescita, ma il taglio massiccio di posti di lavoro annulla di fatto l’effetto positivo di queste misure. La crisi, inoltre, alimenta il malcontento sociale e favorisce i partiti di estrema destra, mettendo in difficoltà il consenso del Cancelliere.
Qual è il ruolo dei costi di produzione tedeschi in questo scenario? I costi di produzione elevati sono un fattore chiave. Il costo del lavoro nel manifatturiero tedesco è sensibilmente più alto rispetto a quello di Paesi dell’Europa centrale e orientale. A questo si sommano i prezzi dell’energia, che rimangono un onere pesante per le industrie ad alta intensità energetica. Questa combinazione rende la Germania meno competitiva e spinge le aziende a delocalizzare investimenti futuri in Paesi con costi operativi più bassi, aggravando la crisi occupazionale.

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