Europa
Il “deficit” dell’Unione Europea
Un “sogno”, dunque, realizzatosi con l’Unione Europea e con l’Unione Monetaria Europea (UEM). Se guardiamo dentro questo progetto, che ha attraversato mezzo secolo, il processo di integrazione tanto osannato sia dai padri fondatori sia da molti politici ed economisti odierni è stato un totale fallimento!
Molti oggi finalmente, tra gli attuali esponenti del mondo accademico, con qualche timido accenno da parte di personaggi politici, ammettono senza indugi che il sistema europeo, così come è concepito ed attuato, elimina la democrazia.
Di contro gli strenui sostenitori del “sogno Europeo” continuano fideisticamente a credere che questo sistema (i.e. l’UE) sia “una dimensione attraverso la quale recuperare una vera democrazia ed una vera sovranità” (parole pronunciate da Sandro Gozi in occasione del Forum dell’Economia tenutosi a Roma nel novembre 2013) [1] .
Ora, tralasciando tutto il processo di creazione dell’attuale Unione Europea (tanto splendidamente quanto crudamente descritto dal prof. Alain Parguez [2] nei suoi innumerevoli lavori, ai quali rimando caldamente per una specifica conoscenza dei fatti) sicuramente questa frase <<sin dagli inizi l’Europa è stata costruita secondo (la filosofia tecnocratica di) Saint Simon, era questo il metodo di Monnet: il popolo non è pronto a sostenere l’integrazione, pertanto è necessario andare avanti senza parlare troppo di quanto si sta facendo>> pronunciata da Pascal Lamy (che fu stretto collaboratore di Jacques Delors e Commissario europeo) rappresenta con chiarezza la “democraticità” seguita nel metodo di integrazione europeo per oltre mezzo secolo.
Un tale metodo presuppone un controllo molto stretto dell’agenda legislativa da parte di una ristretta élite tecno-burocratica, e tale controllo è assicurato dal cosiddetto metodo comunitario – versione giuridica del metodo Monnet. Come ci dice il Libro Bianco della Commissione Prodi:
<<Spetta esclusivamente alla Commissione europea presentare proposte legislative ed in tema di politiche (p.12)>>.
In questo ed in altri modi, il metodo comunitario ha creato le premesse per la realizzazione dell’obiettivo di “fare l’Europa senza gli europei”. Un tale programma era del tutto omogeneo alla filosofia tecnocratica dei neofunzionalisti americani i quali, non a caso, hanno offerto la prima interpretazione teorica dell’integrazione europea. Ernst Haas, il loro caposcuola, sosteneva che la burocratizzazione degli stati europei esigeva che tutte le decisioni più importanti fossero prese da ristrette élite politiche, economiche, e sindacali. Secondo questo studioso, sono i gruppi di élite più intensamente interessati ad una data questione ad avere il maggior impatto sulle decisioni politiche. Pertanto, Haas concludeva, una maggioranza non è strettamente necessaria per sostenere le politiche pubbliche (Haas 1958, pp.17-18). [3]
Detto questo mi pare davvero anacronistico e miope affermare che “questa” Unione Europea si fondi su radici democratiche.
Una situazione storica che sembra essere del tutto ignorata dalla corrente politica mainstream.
Un altro punto molto nevralgico è sicuramente, poi, quello relativo alla sovranità nazionale e di come essa si stata ceduta (sacrificata?) nell’ottica di sposare il c.d. sogno degli Stati Uniti d’Europa. Ma diamo uno sguardo al testo dell’art. 11 Cost.: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
La norma fu pensata e scritta per consentire l’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite, la quale richiedeva, come condizione di ammissione, che lo Stato si fosse dichiarato «amante della pace». Al di là delle intenzioni dei Costituenti, essa è servita anche (secondo un consolidato orientamento della Corte Costituzionale: sentt. 183/73, 170/84, 113/85) per legittimare ulteriori limitazioni di sovranità accettate dallo Stato italiano con l’adesione alle Comunità Europee (istituite nel 1951 e nel 1957); La nuova formulazione dell’art. 117 Cost. (la legge costituzionale 8 marzo 2001) ha modificato il Titolo V della parte seconda della Costituzione, in particolare introducendo una novità di assoluto rilievo nell’art. 117, primo comma: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto […] dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.
In tal modo viene dato un rilievo costituzionale alla partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europeo, imponendo al legislatore statale e regionale il rispetto del diritto comunitario, senza mettere in discussione la soluzione fornita in precedenza dalla Corte Costituzionale in relazione all’art. 11 Cost.). Per la prima volta esplicita a livello costituzionale il primato del diritto comunitario su quello interno, che fino alla riforma del Titolo V della Costituzione trovava in questo articolo l’unico suo fondamento implicito.[4]
La deliberata interpretazione di tale articolo con riferimento alle “limitazioni di sovranità” non hanno nulla a che vedere con lo svuotamento della sovranità del Governo e del Parlamento e con il sovvertimento dell’ordinamento repubblicano-democratico quale sancito dall’art.1 della Costituzione.
Si, perché il limite inviolabile dell’articolo 11 della Costituzione, così come dell’articolo 10 della stessa e, più avanti, dello stessa articolo 117 Cost., è e rimane sempre l’articolo 1 della Costituzione, oltre all’articolo 139 Cost.[5]: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Se prendiamo in considerazione l’aspetto giuridico della questione non possiamo fare a meno di notare che sin dal Trattato di Maastricht (1992), passando dal Trattato di Lisbona (2007), fino al Fiscal Compact (2012), il nostro Stato ha ratificato tali trattati (sovranazionali), con la conseguente “cessione” di sovranità (politica e monetaria in primis), senza che il popolo potesse manifestare democraticamente il proprio consenso che, come spiegato sopra, palesa una evidente violazione del dispositivo di cui all’art 1 Cost.
E’ chiaro, a questo punto, che il difetto (o deficit) dell’UE sia abbastanza evidente!
Leggiamo cosa dice il prof. Alain Parguez sull’UE:
<<In questo nuovo ordine non ci saranno più stati sovrani. Lo stato deve svanire, per lo meno lo stato che trova radice nella democrazia, nel parlamento, nella repubblica. Nel nuovo ordine, il potere deve essere interamente trasferito a coloro che lo meritano, questo significa, a un’élite capitalista di tecnocrati, ai quali piace il controllo del potere assoluto.>> [6]
Andando avanti con la trattazione, sempre i “paladini europeisti” ci tengono a precisare che “l’UE è l’organizzazione con la più alta democrazia con un Parlamento eletto direttamente dai cittadini”.
Sul fattore “democrazia” ho già dimostrato come l’UE sia esattamente un’istituzione anti democratica. Sulla questione politica legata al Parlamento Europeo apriamo una parentesi: a che serve eleggere dei rappresentanti al Parlamento se quest’organo de facto non ha il potere di formare un vero governo, così come non gode del potere di iniziativa legislativa, che spetta esclusivamente alla Commissione Europea (composta da tecnocrati non eletti dal popolo)?
In realtà, l’UE non soffre soltanto di un deficit strutturale di democrazia; essa non soddisfa neppure il fondamentale principio costituzionale della separazione dei poteri. Come è noto, non esiste, nell’Unione, una corrispondenza biunivoca tra funzione ed istituzione: il più importante organo legislativo, il Consiglio dei Ministri, ha anche importanti poteri in campo esecutivo, ed è composto da rappresentanti degli esecutivi nazionali; la Commissione, che aspira ad essere l’unico esecutivo europeo, ha un ruolo strategico (che intende assolutamente mantenere) nel processo legislativo per il suo esclusivo potere di iniziativa. L’Europa comunitaria rappresenta realmente un unicum tra i sistemi politici contemporanei. Per trovare dei precedenti occorre cercare nella storia delle istituzioni dei secoli precedenti la rivoluzione francese e l’avvento dello stato liberale, specialmente tra quelle forme di governo note come “Stato di corpi”, o anche “governo misto” (Mannori e Sordi 2001, pp.17-31; per l’applicazione di questi modelli al caso della UE, v. Majone 2005, pp.46-53). [7]
Alla luce di quanto è emerso, l’evidenza dei fatti ci porta ad una prima considerazione: visto che si discute tanto sulla possibilità di creare una confederazione di Stati (i c.d. Stati Uniti d’Europa), che abbia a cuore gli interessi dei Paesi aderenti come mai, allora, all’atto della costituzione di “questa” Unione Europea non si è pensato di stabilire ex ante una unione politica e fiscale invece si è preferito dare la priorità ad una unione monetaria e commerciale?
Questa è una “Unione” in cui si ha una banca centrale indipendente fuori dal controllo politico, quindi non condizionata dal ciclo elettorale, il cui obiettivo, lo ribadiamo, è ai sensi dell’art. 127, paragrafo 1 del TFUE il seguente: <<L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali […] è il mantenimento della stabilità dei prezzi>> (contenere l’inflazione!!!). Perché “questa” banca centrale, al pari di altre come la FED ad esempio, non ha come obiettivo anche “una elevata occupazione” (come riportato nel suo statuto)? Le ragioni non sono forse da cercare in una imposizione della Germania [8], perennemente sotto l’incubo dell’iper-inflazione degli anni ’20, la quale godendo di una posizione di forza, derivante dal fatto che senza l’adesione della stessa (Germania) una unione monetaria europea sarebbe stata praticamente impossibile dal punto di vista politico, ed avrebbe comunque goduto di scarsa credibilità sui mercati internazionali?
Che tipo di istituzione è un’Unione Europea che in occasione della crisi finanziaria globale (2008) ha lasciato che la BCE non praticasse una politica monetaria più attenta ad altri obiettivi, in particolare al livello d’occupazione, nonostante diversi membri dell’unione monetaria, a cominciare da Francia ed Italia, e lo stesso Fondo Monetario Internazionale, auspicavano tale politica?
Come dobbiamo considerare “questa” UE che vede, al suo interno, il crearsi di squilibri macroeconomici tra i paesi del centro-nord con quelli periferici con una evidente sofferenza di questi ultimi (basta guardare i dati relativi al PIL e all’elevato tasso di disoccupazione)?
Fig. 1 – Situazione italiana relativa al tasso di crescita annuale del PIL, al tasso di disoccupazione generale e tra i giovani.
Per non parlare delle inutili ed assurde politiche di austerità messe in atto dai governi degli Stati membri che hanno causato una caduta drammatica del PIL: drastica riduzione della spesa sulla produzione del settore privato, i cui effetti si sono manifestati con una deflazione salariale (salari e profitti) e chiaramente, come visto dai grafici precedenti, un più basso livello di occupazione. Come osservava correttamente Keynes: “è l’espansione il momento buono per l’austerità [..], non la recessione”.
Oppure come non criticare questa assurda unione monetaria (UEM) – con una moneta (l’Euro) che nei fatti è un super standard aureo – che ha esautorato gli Stati del potere di gestire la propria politica monetaria, la “propria moneta”, essenza stessa dello Stato. Oppure dell’altrettanto assurdo vincolo imposto del 3% del deficit/PIL, che imbriglia gli Stati membri dell’Eurozona e impedisce loro di effettuare la spesa pubblica in disavanzo necessaria per rilanciare la domanda aggregata e l’occupazione (economia reale!).
Bisogna guardare in faccia alla realtà: questa Unione Europea non funziona! Ne funzionerà mai per come è stata concepita.
Intanto in “Eurolandia” si sta consumando una tragedia umana indicibile. L’attenzione verso milioni di persone che soffrono a causa della perdita del posto di lavoro o della impossibilità di trovarne uno, non sembra essere un “parametro” nell’agenda dei nostri governanti.
Lo scollegamento tra i responsabili politici e i cittadini è davvero enorme: il grido d’allarme che si leva, oramai in tutta Europa, resta completamente inascoltato.
Comunque la si voglia porre la questione, l’UE ha inesorabilmente fallito!
In particolare l’Eurozona non è riuscita a fornire quella che dovrebbe essere la priorità basilare di qualsiasi sistema monetario: garantire alle persone un reddito sicuro attraverso il lavoro.
Inoltre il peggioramento della situazione economica e occupazionale sta facendo emergere un aspetto che non è di secondaria importanza: quello legato all’incremento dei disordini sociali.
Secondo le ultime stime preparate per la Riunione Regionale Europea dell’ILO, il rischio di disordini sociali nella UE è aumentato di 12 punti percentuali dall’inizio della crisi. Rispetto alle altre grandi regioni, l’UE ha registrato il peggioramento più significativo nel rischio di disordini sociali (Rapporto dell’ILO sul mondo del lavoro 2013: scenario UE) [9]. Sarà solo un caso???
Fig. 2 – Evoluzione del rischio di disordini sociali
In conlcusione nell’attuale conformazione dell’UE, nel suo complesso istituzionale politico ed conomico, non si riscontra quella reale forma di integrazione tra i paesi (di tipo orizzonatale), tanto auspicata ma mai attuata. L’Europa è un isieme di paesi eterogenei molto differenti tra loro, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale, culturale, linguistico etc.
Le conseguenze di un’unificazione monetaria tra questi paesi si sono palesate con tutta la loro drammatica realtà che stiamo vivendo quotidianamente.
Il verdetto è inesorabile: non era questa l’Europa che volevamo, non era questo il vero sogno dei padri fondatori.
Alza il Pugno
Note:
[1] Link alla relazione di S. Gozi http://www.youtube.com/watch?v=uZdli4Sf_PE
[2] Alain Parguez is Professor of Economics at the University of Franche-Comte, Besancon (France) and is associated with the Economics Department at the University of Ottawa. He has worked extensively on developing a genuine general theory of capitalism, that is a monetary production economy, which he labeled the Theory of the Monetary Circuit.
[3] G. Majone 2010 – Integrazione europea, tecnocrazia e deficit democratico
[4] http://www.brocardi.it/costituzione/art11.html
[5] P. Musu (2012)
[6] Summit Economico MMT – Febbraio 2012, Rimini
[7] G. Majone 2010 – Integrazione europea, tecnocrazia e deficit democratico
[8] Si ricordi anche l’introduzione del Patto di Stabilità, fortemente voluto dal governo di Berlino
[9] Rapporto dell’ILO sul mondo del lavoro 2013: scenario UE
di Aldo Scorrano (Alza Il Pugno)
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