Crisi
DEBITO SOVRANO, SECONDA SOLUZIONE CERCASI
Qualcuno ha calcolato quanto costerebbe farsi carico del debito greco: “In un calcolo grossolano, la Grecia deve 600 euro a ciascun cittadino degli altri 17 Paesi dell’unione monetaria”. E uno pensa subito: “Per quanto amore io possa avere per la Grecia, la nostra patria comune culturale, spero di non essere chiamato a pagare quella somma”.
Ma questo è soltanto il primo pensiero. Il secondo è più spaventoso: se la Grecia, piccola com’è, ha un simile debito, quanto dovrebbero pagare, gli europei, se dovessero rimborsare il nostro debito? Ma non c’è da preoccuparsi, questa è un’ipotesi fantascientifica, e non soltanto per quanto ci riguarda. È assolutamente fuori questione che i terzi siano tanto generosi di farsi carico del debito altrui. Fra l’altro, se volessero farlo tutti, presto ci sarebbe coincidenza fra Stati soccorritori e Stati soccorsi, e dunque l’ipotesi, più che fantascientifica, diviene assurda.
E tuttavia le curiosità rimangono. Quanto ci costerebbe, singolarmente, se dovessimo pagarlo noi, visto che siamo gli unici che in un modo o nell’altro dovranno farlo? Oggi l’importo del debito è di 2.135.000.000.000€. Noi siamo 60.000.000, togliamo sei zeri per parte. 2.135.000 diviso 60 = 35.583,33€. Per la famiglia di quattro persone di un disoccupato, 142.333,33€. Domanda: quando mai potremmo essere in grado di ripianare un simile buco? Seconda curiosità: anche a suddividerlo fra tutti i contribuenti dell’eurozona – supponiamo trecento milioni di persone – il debito di 2.135.000.000.000€ diviso 300.000.000 fa ancora 7.116,66€. E se prima ci siamo allarmati per seicento euro, che dovremmo dire, per oltre settemila? E quando mai sarà possibile che qualcuno sia disposto a sborsarli, tenendosi nel frattempo il proprio debito irrisolto? Perché non è che gli altri non siano indebitati.
Tutte queste cose, che può ben conoscere chiunque sia capace di usare una calcolatrice da tasca, sembrano essere state ignorate dalla Comunità europea per decenni. Il caso della Grecia, in questo senso, è esemplare. L’amministrazione della sua economia è stata notoriamente demenziale per anni, ma l’Europa ha fatto finta di non vedere. In altre parole, prima si è lasciato che si creasse un problema insolubile e poi si sono nascosti i dati, si è spazzata la polvere sotto il tappeto, si è promesso l’impossibile, si è sperato in un miracolo e in concreto si è rinviata eternamente la ricerca di una soluzione. Probabilmente si è soltanto sperato di non essere personalmente sui binari quando sarebbe passato il treno della crisi finale.
Divertente il fatto che ora in Germania – secondo quanto scrive lo “Spiegel” – si prenda serenamente in considerazione l’uscita della Grecia dall’euro. Prima, quando si temeva che sarebbe stato un disastro, e si pensava che si potesse evitarlo, si sosteneva che non si sarebbe comunque verificato. Ora che esso è possibile e forse imparabile, si dichiara che non è un disastro. Se piove abbiamo l’ombrello, se non abbiamo l’ombrello diciamo che non sta piovendo.
Purtroppo, non ci si è comportati diversamente riguardo all’Italia, né a Roma né a Bruxelles. Il disastro non è schivabile perché, con i criteri attuali, la soluzione è impossibile Da un lato i cittadini non sono in grado di ripianare il debito, dall’altro esso ci dissangua (con gli interessi) e per giunta va aumentando. In conclusione gli Stati sono in condizioni di dissesto, come è chiunque che non sia in grado di pagare i propri debiti, neanche nel lungo termine, e per giunta sono obbligati a contrarne di nuovi. Di questo passo, è fatale che arrivi un momento in cui i titoli di Stato non troveranno più acquirenti e il default sarà inevitabile.
La politica europea è dissennata. La soluzione non è l’euro: non è l’austerità, dal momento che essa non ripiana il debito; non è una tassazione punitiva, perché essa stronca ogni tentativo di ritrovare la prosperità. In realtà, per quanto possa essere doloroso, bisogna affrontare il debito pubblico ed è inutile dire che una soluzione non esiste; perché esiste eccome: è quel fallimento che si imporrà da sé, se prima non escogitiamo noi stessi una diversa soluzione, che sperabilmente ci costi meno del default. Se poi invece qualcuno reputa che cadere a vite, per un aereo, sia meglio che tentare un atterraggio di fortuna, che ce lo dimostri.
Gianni Pardo, [email protected]
4 gennaio 2015
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