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Dall’Unità d’Italia all’Unione europea. N. Forcheri

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É vero che noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano dopo la conquista dell’unità e dell’indipendenza nazionale, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale, con la conseguenza di impoverire l’agricoltura, unica industria del Sud; è vero che abbiamo spostato molta ricchezza dal Sud al Nord con la vendita dell’asse ecclesiastico e del demanio e coi prestiti pubblici.“— Luigi Einaudi, da Il buongoverno

Quindi alla fine la letterina della Commissione europea di cui parlavo qua è arrivata, e poi alla nostra risposta è arrivata pure la bocciatura. Fatto inedito!

Pertanto, per chi non lo avesse capito, l’UE ce l’ha con l’Italia, e non da ieri. Sin da quando, negli anni novanta, esercitava la totale asimmetria delle sue politiche europee in materia di concorrenza – materia in cui la Commissione europea ha il potere esclusivo – sempre a svantaggio delle aziende italiane.

Dai fatidici anni novanta, il 1992 quando fu deciso a tavolino sul panfilo della Regina d’Inghilterra, il Britannia, di smantellare l’IRI, facendone lo spezzatino con una privatizzazione fatta passare sulla stampa per “liberalizzazione” voluta dall’Europa e da quando in Europa è stata galvanizzata dai media la “coppia francotedesca”, siamo arrivati a oggi – il 28 ottobre 2018 –  che si vende la Magneti Marelli, che Guzzini passa ai cinesi e i Ferragamo stanno per passare in mano francese, o che in genere la Fiat è diventata Chrysler, lasciando il paese. Abbiamo svenduto tutte le nostre aziende con una deindustrializzazione/delocalizzazione voluta a tavolino, calata dall’alto dalla coppia francotedesca, perché noi avevamo il Made in Italy, ed era quello che le holding finanziarie volevano.

“Liberalizzare” e “privatizzare” sono due cose diverse, ma puntando sull’apposita confusione tra i due termini, i media ci hanno campato per decenni e l’italiano si è ritrovato a cedere tutto ai privati senza liberalizzare, cioè a monopoli di privati, fatto tanto più grave che ha privatizzato aziende di sicurezza pubblica, strategiche per la nazione, tutto il fiore all’occhiello del Made in Italy che era anche l’IRI nonché tutti i servizi ex pubblici, Sanità, Acqua, Energia, Autostrade, Telecomunicazioni, Trasporti, Infrastrutture strategiche e, last but not least, le banche: TUTTO privatizzato ma NON liberalizzato

Per la nostra eccellenza è stato inventato il marchio “Made in Italy”, poiché eravamo talmente avanti nella qualità dei prodotti, che quel marchio li  era una garanzia di qualità, di vendite e di  profitti. La battaglia che è stata fatta contro l’Italia è stata quella delle multinazionali per prenderci quei brevetti, quei marchi, quell’immagine che “vende” e ciò facendo ce l’hanno distrutta.

Dalla privatizzazione selvaggia del sistema bancario voluta da Amato-Ciampi, all’adozione dell’euro “con trucco”, come più volte spiegato in tanti articoli, eccoci qua, nudi e crudi nelle fauci dei “mercati”, che come ho già detto altre volte non è altro che un cartello di banche dealer, le “too big to fail”, controllato da una dozzina di fondi di investimento che controllano le maggiori 500 multinazionali mondiali, con sede in Delaware.

Nudi e crudi nelle fauci del cartello, perché con l’euro c’è stato un accordo tra i finanzieri apolidi di spennare l’Italia che è stata in tutti questi anni, e continua ad esserlo, una riserva “inesauribile” di rendite e risorse, di risparmi e lavoratori. Una manna per gli “investitori”, la gallina dalle uova d’oro. Lo sanno tutti, tranne noi, e fatto strano, tranne gli intellettuali del paese!

Così come succedette al Meridione con l’Unità di Italia, adesso succede all’Italia con l’Unione europea. Con l’Unità d’Italia e la creazione della Banca d’Italia, il Regno delle Due Sicilie dovette cedere tutto il suo oro, in cambio delle banconote di carta della Banca centrale – privata – del nuovo Regno unificato, così con l’Unione europea, e la creazione dell’eurozona, e della BCE, l’Italia sta cedendo tutto il suo “oro”: le aziende, le cessioni del demanio, le risorse, i servizi pubblici, il risparmio, il patrimonio, borghi interi, il fondiario. TUTTO..

L’Unità d’Italia è stata forzata dai Savoia che erano indebitati con i Rothschilds, ed è servita a trasferire la ricchezza dal Meridione al settentrione. L’Unione europea è stata imposta a livello europeo (1997, con il MES) in modo illecito mutandone il nome e il contenuto dell’originale Comunità europea per trasferire la ricchezza dal nostro paese a quei paesi (e a quei conglomerati) che adesso ci fanno la morale su uno zero virgola. Per rimborsare i debiti di chi?

E’ stato fatto in modo subdolo: con le cessioni e i trasferimenti infrasocietari tra le filiali in loco e le holding oltreconfine, il tutto rigorosamente evadendo le tasse. L’emigrazione di materia grigia e l’immigrazione di finti profughi che pretendono di farsi mantenere prima di andare a finire ad alimentare le mafie del caporalato stanno facendo il resto: il massacro dei diritti sociali dei cittadini, e dello stato di diritto tout court.

Il Regno delle Due Sicilie ebbe una formidabile rinascita al punto che nel 1856 alla Conferenza internazionale di Parigi venne assegnato al Regno il premio del terzo paese del mondo per sviluppo industriale, dopo Inghilterra e Francia. Così a maggio del 1991 l’Italia venne dichiarata dalla Business International, filiale del gruppo The Economist, la quarta potenza industriale del mondo dopo USA, Germania e Giappone, avendo superato Francia e Gran Bretagna. Ma poi sappiamo come andò: ci fu il Britannia e zelanti funzionari nostrani si fecero in quattro per accondiscendere alla “mano invisibile”.

Quando ci fu la crisi del 2008, da cui l’Italia non si è ancora ripresa, succedette questo: che alle nostre banche furono rifilati, impacchettati, i titoli tossici della crisi dei subprime, da spalmare ai clienti virtuosi risparmiatori italiani. Non solo, ma è da almeno vent’anni che mentre Gran Bretagna e Germania vietavano i derivati agli enti pubblici, noi continuavamo a prenderli tutti, con opzione, banca vince se tasso cala. E infatti il tasso non ha fatto altro che calare. Tant’è che quando fu insediato il burattino GS Monti, nel 2011, pagò sull’unghia 3.4 miliardi a Morgan Stanley, sui 47 miliardi  potenziali che l’Italia potrebbe pagare entro 2021 (https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/17/derivati-la-storia-della-voragine-che-costa-agli-italiani-47-miliardi-lanno/3321916/). E nonostante ciò nessuno depennò tale banca dalla lista delle banche con il privilegio di comprare per prime i titoli del debito italiano. E nessuno pensò di fare una legge per vietare i derivati agli enti pubblici, l’unico che ci pensò fu Tremonti, che sospese i derivati per un anno, poi puntualmente succedeva qualcosa dietro le quinte, mentre sulla scena il governo Tremonti Berlusconi veniva pesantemente attaccato.

E la lista delle vessazioni e spoliazioni subite dal nostro paese è lunghissima ma nonostante ciò siamo sempre stati i “primi della classe”, per deficit, quasi sempre al di sotto del 3% come prescritto dai Trattati, per saldo della bilancia commerciale, per avanzo primario (cioè senza contare gli interessi) mentre continuiamo ad avere una zavorra nello spread, con le agenzie di rating che soffiano sul fuoco, e una politica della Commissione europea totalmente iniqua che non ha mai permesso una sola fusione di un’azienda di Stato, e che ha sempre bocciato qualsiasi finanziamento anche quando non era aiuto di Stato e anche quando permetteva aiuti di Stato a gogo agli altri paesi. E un meccanismo d’asta del tutto discriminante e antimercato che ci costringe a vendere i titoli con il massimo sconto anche quando la domanda supera l’offerta, e un sistema bancario privato che contrariamente agli altri Stati dell’eurozona non ci consente di finanziare le aziende a prezzi più competitivi.

Si sappia una cosa intanto. Che se già la percentuale del 3% fu adottata per caso, da un funzionario francese, per compiacere ai parametri francesi, la percentuale imposta all’Italia è ancora più assurda perché è decisa ai sensi di trattati che non sono ancora stati inseriti nei Trattati UE (Fiscal Compact) e la cui legittimità è discutibilein quanto è un trattato intergovernativo, non corpo dei trattati ufficiali dell’UE (cfr. https://scenarieconomici.it/liberiamoci-dal-fiscal-compact-e-torneremo-a-crescere-il-ministro-tria-abbia-maggiore-coraggio-di-p-becchi-e-g-palma/)

Ed è ancora più assurda perché l’Italia viene bocciata per tale assurda condizione, che denota un accanimento spietato mentre Francia, Spagna, Portogallo, Belgio e Slovenia, nonostante la cattiva condotta, sono promossi.

Tutto questo perché l’Europa si è basata per decenni sulle ricchezze dell’Italia che ha preso come riserva e contemporaneamente discarica, e vuole continuare a organizzare i flussi di ricchezza che dall’Italia vanno verso i fondi sovrani e i fondi pensione d’Europa, gli uffici e le sedi legali delle multinazionali, verso le case madri altrove delle filiali operative in Italia, verso i conti scritturali delle banche dealer oltralpi.

Proprio adesso che la Deutsche Bank è in cattive acque, e che altre banche come la Commerzbank, o la BNP Paribas, Hypovereinsbank, le Landesbanken, Warburg Bank, Barclays (oltre a JPMorgan, Meryll Lynch, Morgan Stanley, e UBS) sono coinvolte in uno dei maggiori scandali della storia europea, un furto al fisco organizzato di 55 miliardi di euro (cfr. https://www.milanofinanza.it/news/la-mega-truffa-sui-dividendi-tocca-deutsche-bank-e-santander-201810180905037836 ).

Viene fuori la verità dalle parole dell’economista Karsten Wendorff,  della Bundesbank, che ha dichiarato in questi giorni che siccome gli italiani sono più ricchi dei tedeschi, con elevati tassi di risparmio privato, gli italiani devono essere obbligati alla solidarietà con una bella “patrimoniale” che prelevi il 20% dei nostri risparmi e dei nostri asset. Una solidarietà obbligata verso i cugini di oltralpe insomma.

Viva la sincerità almeno!
Ma siccome il governo italiano non è solo, sembra godere dell’appoggio di Putin e di Trump, e cominciano a levarsi timidamente e meno timidamente in Europa, voci di dissenso all’austerity estrema inflitta all’Italia e alle politiche di austerity dell’eurozona in genere, al governo non rimane che tirare dritto fino a quando la Commissione europea e la BCE capitoleranno. Sarà la volta buona che in Europa si lancerà un dibattito serio sul ruolo della BCE come  prestatrice di ultima istanza, e non solo!

Nforcheri 28/10/2018

Riferimenti
Capo economista della Deutsche Bank sta con l’Italia
Blondet, Molti dicono alla Commissione, siete pazzi a sfidare l’Italia?


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