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Dall’ideologia delle fake news alla repressione del dissenso: la Cina è vicina

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È morto il dottore Li Wenliang; stroncato dal Corona virus. Il che è una vera beffa del destino perché il medico cinese era stato il primo a lanciare l’allarme a fine 2019 ma, come usa dire, il suo grido era caduto nel vuoto. Uno degli aspetti inquietanti della vicenda è proprio il fatto che Wenliang avesse visto giusto. E, ciò nonostante, è stato trattato come se avesse visto sbagliato. Più precisamente, come se avesse veicolato una fake news. E invece aveva ragione. Così tanta ragione da essere ucciso dallo stesso virus che, secondo le autorità, egli aveva inventato.

All’inizio della vicenda, mentre Wenliang provava a denunciare ai quattro venti, il Governo lo accusava di seminare vento per raccogliere tempesta. E, sempre il Governo, propalava la notizia falsa secondo cui la malattia era una “polmonite” qualunque. La chat del povero Li fu oscurata per aver “disturbato gravemente l’ordine sociale”. Ora, in Cina, il vento è cambiato. Proprio adesso che Wenliang è morto, si scopre che il virus scoperto da Wenliang è più vivo che mai. E allora la tremenda macchina repressiva si mette in moto nel senso contrario. L’Alta Corte di Heilongjiang ha previsto fino a quindici anni di carcere per chi diffonde “voci” sull’epidemia allo scopo di sovvertire l’ordine costituito.

Quindi, ricapitolando, in origine abbiamo una notizia vera tacciata come falsa dalle pubbliche autorità. Abbiamo anche un cittadino censurato per aver detto la verità con l’accusa infamante di aver spacciato una menzogna. Poi la stessa notizia, bollata inizialmente come falsa, viene riconosciuta come vera. E l’onesto cittadino perseguitato viene riabilitato giusto in tempo per morire. Alla fine, risuona sinistro, in sottofondo, il tintinnar di manette pronte a scattare intorno ai polsi di chiunque osi diffondere “voci”. Cioè di chiunque ardisca parlare.

È il pugno di ferro di cui solo una dittatura patentata, come quella degli eredi di Mao, può dar prova, direte. Non ne saremmo così sicuri. Il modo kafkiano di trattare, in Cina, il tema della verità dei fatti, del diritto di parola e della informazione libera ci riguarda assai da vicino. Perché  esattamente lo stesso format, criminale e schizofrenico, sperimenteremo a breve, e sulla nostra pelle, nell’Europa “libera”. In effetti, ci siamo già dentro per metà. L’ideologia delle “fake”, infatti, è un’arma letale e funziona non solo al di qua, ma anche aldilà della Grande Muraglia. E le autorità “democratiche” del vecchio continente si accingono ad usarla senza ritegno, e senza pietà.

Dobbiamo capire e ficcarci nella zucca, prima che sia troppo tardi, che la sua funzione non è quella “buona”, e sbandierata, di combattere le notizie false. È, piuttosto, quella “cattiva”, e sottaciuta, di censurare le opinioni fastidiose. Dopo di che, saranno il caso, e le mutevoli circostanze, a decidere se voi avete espresso una voce consona al coro oppure “stonata”. E, di regola, l’unico criterio dirimente non sarà la verità, ma la pericolosità (per il Sistema) di ciò che dite. Chiunque ha testa, intesa come cervello, rischierà in ogni momento la fine del povero Dottor Wenliang: la censura, nel migliore dei casi; il gabbio, o la morte, in tutti gli altri. Ma non per mano di un virus.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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