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Attualità

Crozza, Rizzo, frizzi e lazzi

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Un metro eccellente per misurare il livello di una civiltà, e il grado di maturità delle sue componenti, individuali e collettive, è osservarla da un punto di vista comico e satirico. O, per meglio dire, verificare come e quanto in essa “funzionano” il comico e la satira: se sono liberi, se sono autonomi, se sono realmente coscienti di ciò che intorno ad essi accade e merita di essere volto in riso leggero, o addirittura in greve sarcasmo. In definitiva, se l’uno e l’altra rispondono allo scopo ultimo di ogni ars comica e di ogni vis satirica: far riflettere i cittadini sulle contraddizioni, sulle pecche, e sui “peccati”, dei potenti e del potere innescando un pensiero critico e un’azione pratica (ambedue rivoluzionari) nei confronti di entrambi. Non a caso, è un pessimo segnale quello dei comici che si buttano in politica. In Italia (e in Ucraina) ne sappiamo (e ne sanno) qualcosa. Ma rimaniamo qui da noi.

Uno dei migliori comici nostrani è senz’altro Maurizio Crozza. Il quale non ha solo un talento smisurato come interprete e caratterista e una ineguagliabile capacità mimetica e imitativa, ma ha sempre dimostrato di saper “sparare” i suoi frizzi e i suoi lazzi a trecentosessanta gradi, senza troppi complimenti per la destra o per la sinistra, per l’alto o per il basso. Crozza fa quasi sempre ridere e dimostra di saper coniugare il sesto senso tipico del comico classico con il fiuto di chi mastica da anni la satira politica. Ne escono le imperdibili macchiette che tutti conosciamo: dal governatore del Veneto tratteggiato come un mona a quello della Campania con la partenopea prosopopea intrisa di cazzimma. Dare a Crozza ciò che gli spetta ci consente di sottolineare i (pochissimi) casi in cui Crozza, inaspettatamente, non riesce nel suo intento.

Ci riferiamo allo sketch che non ingrana, alla battuta che non scoppietta, al motto che non attacca. Dove magari qualcuno potrebbe ridere comunque, ma lo fa più per un meccanico riflesso di condiscendenza alla maestria del mattatore, che non per aver colto la sottigliezza del suo scherno. È accaduto qualche sera fa, in uno show del nostro, che egli abbia preso di mira Marco Rizzo e il movimento “Democrazia Sovrana e Popolare” (di cui Rizzo è leader insieme a Francesco Toscano). Bersaglio abbastanza comodo, per una satira “telefonata”: fustigare un (vero) comunista, per il suo essere (o essere stato) tale, equivale oggi a sparare sulla Croce Rossa. Sorvoliamo, quindi, sulla battuta, tirata e stantia, sul fatto che Rizzo somigli a una foto del PCI anni Cinquanta. La parte interessante viene dopo, quando Crozza spernacchia il programma di DSP. La clip dura un paio di minuti e, se vi capita, studiatela perché è un insuperabile esempio del come, del quando e del perché la comicità non funzioni e del come, del quanto e del perché il nostro Paese sia ridotto com’è.

Ebbene, Crozza irride, in primo luogo, il programma di DSP perché sarebbe un patchwork, un misto mare, un pout pourri di “dichiarazioni di intenti” di tradizioni diverse: 1) ispirazione sinistra anni Settanta; 2)  ispirazione Pontida; 3) ispirazione Predappio; 4) cose varie sentite sul taxi. A ben vedere, la risata – nelle intenzioni del comico – non dovrebbe scaturire da un partito con il vestito programmatico di Arlecchino. In fondo, tutti i partiti ce l’hanno e non a caso si sprecano le diciture come lib-lab, centro-sinistra, centro-destra, social-democratici, coalizione semaforo,  eccetera eccetera. La risata dovrebbe piuttosto prorompere perché Rizzo ha assemblato quattro famiglie politiche (agli occhi di Crozza)  “impresentabili”: quella dei (rottamati) veterocomunisti degli anni settanta, quella del leghista dal rutto libero del pratone di Pontida, quella della canaglia fascista nostalgica di manganello ed orbace e, infine, quella del popolaccio bue e incompetente compendiato dall’icastica “figurina” del taxista e dei suoi clienti: tutti populisti, sovranisti e no-vax. Insomma, il peggio del peggio della fauna umana, in base all’approccio antropologico della “Sinistra” contemporanea; di cui Crozza non fa probabilmente parte (pur avendone assorbito per osmosi certi tic) e di cui Rizzo non fa orgogliosamente parte (proprio per essere sfuggito a tal processo osmotico).

Ma fino a qua la cosa può persino divertire (soprattutto un medio-man piddino), al netto dei patetici stereotipi di cui sopra. Dove invece cala il gelo – quantomeno agli occhi di uno spettatore sveglio, consapevole e informato – è quando Crozza “ironizza” sui punti del programma di Rizzo e Toscano. Li riportiamo nell’odine esatto, cercando di interpretare/capire dove stia la cifra sarcastica della scenetta che, in verità, ci sfugge. Cominciamo, dunque;

1) Lotta alla disuguaglianza: perché fa ridere?  Forse per il fatto che la disuguaglianza oramai non solo non viene combattuta, ma neppure più avvertita come un problema; quindi, nella logica neoliberista di cui siamo tutti imbevuti, comici compresi, la famosa risata seppellirà non i nemici della disuguaglianza ma i gonzi che ancora la avversano;

2) No alle privatizzazioni: cosa c’è di ridicolo? È   scritto persino in Costituzione, all’art. 41, che l’iniziativa privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”; ma forse, oggidì, persino la nostra Carta fondamentale si è ridotta a un copione da avanspettacolo e, perciò, chi vuol mettere un limite all’ingordigia dei privati va visto, e additato al pubblico ludibrio, come un pirla da prendere per i fondelli;

3) Fuoriuscita dalla Nato: questa è un’idea, effettivamente, da capottarsi dal ridere: anzi, da far rivoltare nella tomba i milioni di morti, macinati da decine di guerre, che la Nato ha “meritoriamente” seminato in giro per il mondo, da quando esiste, per “esportare la pace e la democrazia”; ergo, più Nato per tutti, secondo i comici contemporanei, è un buon programma politico (del resto condiviso bipartisan da quasi tutto l’arco parlamentare), mentre auspicarne l’uscita è materiale buono per una battuta da cabaret;

4) Fuori dall’euro: in effetti, questa è da tenersi la pancia, anzi da convulsioni proprio: come si fa a essere così scemi da volersene andare da un paradiso dove – a parte la sottomissione del Paese a entità sovranazionali e non elette, a parte la perdita della sovranità monetaria, a parte il masochismo del pareggio di bilancio e l’autolesionismo dei parametri di Maastricht, a parte il crollo del tenore di vita e il peggioramento della qualità della vita, a parte l’aumento della disoccupazione, a parte la de-industrializzazione delle zone più produttive, a parte l’incremento spropositato dei prezzi, a parte la stagnazione dei salari, a parte la privatizzazione della salute, a parte la precarietà permanente dei giovani, a parte il nugolo di regolamenti deficienti promossi da ideologie deliranti (da quella green a quella gender) – tutto il resto funziona alla perfezione?;

5) Lotta ai fenomeni migratori: ah, ah, ah, ah! Par di vederli gli italiani, piegati in due mentre sghignazzano di un obbiettivo così  beota: ma perché mai uno dovrebbe frenare un fenomeno dove  chiunque può arrivare da noi, per qualunque motivo – eventualmente speronando le motovedette della finanza forte di una sicura immunità legale garantita da conseguente impunità giudiziaria –  a fare quel cazzo che gli pare, incrementando la criminalità e il disagio sociale soprattutto nelle aree urbane più povere? Perché mai uno dovrebbe lottare contro un sistema gestito dai banditi stranieri e dalle mafie internazionali e assecondato dai fiumi di denaro da cui sono irrorate le Ong del buon cuore e le Diocesi dei porti aperti? Già, perché mai? Ah, ah, ah, ah!;

6) Valorizzazione della famiglia: questa è veramente strepitosa, ha ragione Crozza. Solo un troglodita con l’anello al naso, e un pupetto in braccio, può pensare di riesumare un concetto come “famiglia” (a per giunta tradizionale, par di capire) come se l’articolo 29 della Costituzione non fosse già stato informalmente abrogato dall’ideologia queer, dalle battaglie di genere, dal culto dell’omosessualità, dagli uteri in affitto, dalle adozioni surrogate. Ridiamoci su e non pensiamoci più;

7) Valorizzazione del made in Italy e difesa della sovranità alimentare: anche qua, roba da “oggi le comiche” nel mondo globale dove i confini vanno abbattuti e i valori disintegrati, in particolare quell’osceno richiamo al concetto di nazionalità e magari pure, già che ci siamo, al marchio di “denominazione di origine controllata”; venghino signori venghino alla sagra internazionale delle vigne divelte, degli agricoltori affamati, dei prodotti contraffatti, dei confetti di insetti e delle cavallette à la coque;

8) Contrasto al capitalismo green e alla mobilità elettrica: a questo stadio, veramente, se uno non scoppia a ridere è un barbone della stazione; come si fa a non apprezzare la bellezza “intelligente” di un progetto dove – spesi centomila euro per rifare la casa come Greta comanda e un’altra sessantina per farsi una Tesla elettrica – te ne puoi andare a spasso, smart & easy, per la “tua” città (a trenta all’ora) sul prato di un campo da golf, respirando l’aria pulita di un centro urbano verde smeraldo sotto un cielo sempre più blu?;

9) Tutela del contante: questa robaccia va senz’altro sbertucciata, come abbiamo fatto a non pensarci prima: è degna di un populista della domenica persuaso che il Sistema ci spii o ci voglia tracciare, o addirittura controllare in ogni movimento, o persino disattivare con un clic; chi può sospettarlo? Solo un bifolco ignaro dei prodigi della tecnologia e del piacere fisico e del senso civico e della superiorità morale insiti nello sfiorare il bancomat con una card (magari eco-compatibile)… Insomma, ci siamo capiti, basta raffigurarsi un fesso del genere, mentre conta gli spiccioli al bar, per farsela nelle mutande a forza di ghignare;

10) Abolizione obblighi vaccinali: occhio: zona complottismo! Quindi, un due tre, il riso vien da sé, avrà pensato Crozza a buon diritto: non si può non sganasciare in faccia a gente ancora impaurita dagli inesistenti  effetti collaterali del vaccino e incapace di intravedere in  un apparente obbligo giuridico una certissima pubblica premura agevolata dallo spirito francescano e disinteressato delle multinazionali di Big Pharma. Solo un ebete può sognarsi di abolire quello che il matto chiama “dovere” e il furbo, invece, “piacere”.

Riassumendo: la colpa di Rizzo – e, dunque, il motivo per cui lo si satireggia – sarebbe di sottoporre agli elettori non un programma come si deve (magari col timbro verde della Von der Leyen e il bollino blu della Lagarde), ma un “menù a la carte”. Quasi che una collezione di idee diverse (per di più invise all’establishment e al mainstream) fosse, di per sé, una cazzata da perculare. Ma come: non volete più essere servi altrui, pretendete di governarvi da soli, e di avere il controllo delle vostre vite, dei vostri soldi e del vostro territorio? Suvvia, dai, ammettetelo che fa ridere…

Tuttavia, stranamente, il nostro non è stato sfiorato da un’altra plausibile domanda (non è colpa sua: gli autori di satira, si sa, adorano il lato comico, ma si intristiscono con quello serio): e se, per caso, tutte o quasi le idee di DSP fossero, in realtà, clamorosamente giuste, nel senso di razionali, di buon senso, popolari e conformi al dettato costituzionale?

A quel punto, ci troveremmo di fronte non a un (ridicolo e risibile) mosaico di estemporanee proposte raccattate qua e là, ma piuttosto a una omogenea, coerente e ragionata agenda di ri-Costituzione della Repubblica italiana. Ma allora si spiega anche perché i due minuti di Crozza su Rizzo non facciano ridere. Fanno, però, riflettere. Il che va a (sia pur inconsapevole) merito del comico.

Quanto al pubblico in sala e alle sue (immaginiamo spontanee) risate, è uno spaccato perfetto della maggioranza schiacciante del popolo italiano; ma anche di un Paese da decenni zimbello, e alla mercé, di forze estranee e “superiori”.

Però, attenti: se saper ridere dei propri difetti è sinonimo di sopraffina intelligenza, ridere di ciò che potrebbe salvarci è indice della più grossolana stupidità.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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