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Crollo settore meccanico in Germania: ordini -19%. Ma per gli istituti “green” è solo una transizione

Petrolio: l’eccesso di offerta attuale è un’illusione. Un grande produttore USA avverte che il mercato rischia un deficit di offerta “molto prima del previsto”, già nel 2025-2026, a causa del crollo degli investimenti.

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Sembra quasi difficile riuscire ancora a stupire i lettori con i dati economici, vista la continua discesa della Germania. Eppure, un crollo del 19% negli ordini di macchinari a settembre, riportato dall’associazione di categoria VDMA, riesce a colpire nel segno. Un dato pesante, anche per gli standard tedeschi attuali.

L’associazione ha fornito una spiegazione, citando l’assenza degli ordini di impianti su larga scala che avevano caratterizzato lo stesso mese dell’anno scorso. Questo, tuttavia, non cambia la diagnosi di fondo.

Johannes Gernandt, capo economista del VDMA, prevede un ulteriore calo della produzione del 5% quest’anno. Ciò significa che l’ingegneria meccanica tedesca, uno dei pilastri dell’economia, ha perso oltre il 15% della sua produzione dal picco del 2018. Un declino senza precedenti che trova scarsa eco nella copertura mediatica. Se si guarda alla produzione industriale complessiva, il calo sfiora il 20%.

Il silenzio assordante dell’industria

Ciò che colpisce del dibattito pubblico tedesco è la mancanza di valutazioni oneste sullo stato reale dell’economia, provenienti dall’economia stessa. Solo Christian Kullmann, CEO del colosso chimico Evonik, ha osato puntare il dito sulla piaga, denunciando la crisi come un risultato diretto della politica climatica in stile Bruxelles.

Di fronte a questo collasso, viene da chiedersi: dove sono le parole dure e schiette sulla politica, sui costi energetici esplosivi e sulla morsa soffocante della burocrazia?

È difficile evitare una conclusione scomoda: l’intervento statale ha trasformato ampie parti dell’economia in strutture dipendenti, alimentate dalla stampante dei sussidi. Viene da chiedersi quanti modelli di business crollerebbero se Bruxelles e Berlino staccassero la spina alle sovvenzioni dall’oggi al domani. Questo ha distorto il dibattito pubblico, privandolo del suo vantaggio critico.

Voci fuori dal coro

Ora parla un altro peso massimo, sebbene non più in carica: l’ex CEO di VW, Matthias Müller. E Müller usa parole chiare, quasi disperate, di fronte al collasso industriale incombente. Avverte di un “massacro occupazionale” nell’industria automobilistica.

Müller non vede a rischio solo i produttori di auto, ma l’intera catena del valore. Incolpa gli “Eurocrati” per aver bandito i motori a combustione e bloccato una transizione morbida verso l’e-mobilità. La realtà gli dà ragione: in Bosch e ZF Friedrichshafen, decine di migliaia di posti di lavoro stanno già scomparendo.

Müller condanna una politica guidata dall’ideologia che manda i prezzi dell’energia a livelli assurdi e soffoca l’industria con la follia burocratica. Parla di un “decennio perduto”, ma ormai si potrebbe parlare di fine di un’epoca.

La narrazione della “transizione”

Eppure, il dibattito muore lì. Nel frattempo, quasi a sfidare la realtà, spiccano le previsioni di crescita del Ministero dell’Economia, guidato da Katharina Reiche (CDU). Il suo ministero prevede seriamente una crescita dello 0,2% quest’anno e dell’1,3% entro il 2026. Dati i licenziamenti di massa e la domanda in caduta, suona quasi ironico: cosa crescerà nel 2026, quando le aziende saranno chiuse?

Quando le critiche alle politiche di Berlino o Bruxelles rischiano di prendere piede, istituti come il DIW (Istituto tedesco per la ricerca economica) sono pronti a neutralizzarle. Il suo presidente, Marcel Fratzscher, fornisce regolarmente copertura ideologica.

Quando la critica tocca la “eco-economia” artificiale, entra in scena Claudia Kemfert, l’economista climatica” del DIW. In un editoriale per Focus, ha minimizzato la crisi industriale, dipingendola come una transizione verso un futuro industriale verde che, a suo dire, genera già il 9% del PIL.

Questa visione della “Greentech” — un’industria alimentata da sussidi, contribuenti e denaro facile della BCE — presenta l’illusione di un nuovo modello economico. Ma cosa dovrebbe sostituire l’ingegneria automobilistica e meccanica?

  • Pompe di calore sovvenzionate;
  • Schemi di riciclaggio;
  • Fragili tecnologie di stoccaggio per una rete elettrica instabile.

Quella che Kemfert e Fratzscher vendono assomiglia molto a un’economia voodoo, uno sfondo pseudo-scientifico per salvaguardare la politica eco-socialista, ignorando i mercati globali, la domanda reale e i costi energetici.

Il crollo arriva ai Comuni

La realtà, però, ha colpito le fondamenta dello Stato: i tesorieri locali. Il crollo sta ora distruggendo le finanze municipali, con le entrate delle imposte sulle imprese in frantumi e forte aumento degli oneri sociali. In una lettera al Cancelliere, 13 sindaci di capoluoghi statali hanno chiesto aiuti di emergenza per prevenire il collasso fiscale.

Resta da vedere se nuovi debiti tramite fondi speciali saranno usati ancora una volta per intonacare i sintomi, o se il muro del silenzio si romperà e si nominerà la radice della crisi: il Green Deal. Una trasformazione verde che, avvolta in retorica ambientale, sta segando le fondamenta economiche del Paese.

Fabbrica d’auto tedesca

Domande e risposte

Perché l’industria tedesca è in una crisi così profonda? La crisi deriva da una tempesta perfetta: costi energetici altissimi, una burocrazia soffocante e un crollo della domanda globale. L’associazione VDMA ha riportato un calo degli ordini di macchinari del 19% a settembre. A questo si aggiunge la critica, mossa da figure come l’ex CEO di VW, che le politiche del “Green Deal” stiano penalizzando l’industria tradizionale (es. automotive) a favore di settori “green” meno produttivi e dipendenti dai sussidi.

Tutti gli economisti sono d’accordo su questa diagnosi “catastrofica”? No. L’articolo evidenzia una netta spaccatura. Da un lato, l’industria e figure come Matthias Müller parlano di “massacro occupazionale” e “decennio perduto”. Dall’altro, istituti come il DIW, tramite economisti come Claudia Kemfert, sostengono che non si tratti di un crollo, ma di una “transizione”. Secondo loro, l’economia si sta semplicemente spostando verso la “Green Tech” (pompe di calore, riciclo), che affermano generi già il 9% del PIL tedesco.

Quali sono le conseguenze concrete di questo declino industriale? Le conseguenze principali sono due. La prima è occupazionale: aziende chiave come Bosch e ZF stanno già tagliando decine di migliaia di posti di lavoro. La seconda è fiscale: il crollo della produzione industriale riduce drasticamente il gettito delle imposte sulle imprese. Questo sta mandando in crisi le finanze dei Comuni tedeschi, che ora non riescono a coprire le spese e hanno chiesto aiuti di emergenza al governo federale.

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