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Covid e vaccini: correlazione positiva, o nessuna correlazione, fra numero di casi covid e percentuale vaccinati

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I vaccini sono attualmente la principale strategia di mitigazione per combattere il COVID-19 in tutto il mondo, o almeno così viene presentata. Spesso si afferma che la diffusione dei contagi sia legata alle persone non vaccinate o a aree con basso tasso di vaccinazione. Eppure i dati sono contraddittori: Israele, che è stato acclamato per i suoi rapidi ed alti tassi di vaccinazione, ha visto anche una sostanziale ripresa dei casi di COVID-19. Quindi è vero o meno che più alto è il tasso di vaccinazione, minori sono i contagi. 

Vediamo un articolo comparso sulla rivista scientifica del National cCnter for Microbiological Information che viene proprio a studiare la correlazione fra la percentuale della popolazione vaccinata e il numero di casi di Covid-19.

Possiamo già dirvi che lo studio è stato ampio, ed ha coinvolto 2947 contee USA e 68 stati, e i risultati sono stati sorprendenti:

A livello USA, non sembra esserci alcuna relazione distinguibile tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di COVID-19 negli ultimi 7 giorni. A livello invece di stati nazionali la cosa è leggermente diversa.  In effetti, la linea di interpolazione suggerisce un’associazione marginalmente positiva per cui i paesi con una percentuale più elevata di popolazione completamente vaccinata abbiano un numero di casi COVID-19 più elevati per 1 milione di persone. In particolare, Israele con oltre il 60% della popolazione completamente vaccinata ha avuto i casi di COVID-19 più alti per 1 milione di persone negli ultimi 7 giorni. La mancanza di un’associazione significativa tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di COVID-19 è ulteriormente esemplificata, ad esempio, dal confronto tra Islanda e Portogallo. Entrambi i paesi hanno oltre il 75% della loro popolazione completamente vaccinata e hanno più casi di COVID-19 per 1 milione di persone rispetto a paesi come il Vietnam e il Sudafrica che hanno circa il 10% della loro popolazione.

Quindi l’alto tasso di vaccinazione non esclude un alto numero di infezioni. Lo scritto termina dicendo quanto segue:

Affidarsi solo alla vaccinazione come strategia primaria per mitigare il COVID-19 e le sue conseguenze avverse deve essere riesaminato, soprattutto considerando la variante Delta (B.1.617.2) e la probabilità di varianti future. Potrebbe essere necessario mettere in atto altri interventi farmacologici e non farmacologici insieme all’aumento dei tassi di vaccinazione. Tale correzione di rotta, in particolare per quanto riguarda la narrativa politica, diventa fondamentale con le prove scientifiche emergenti sull’efficacia dei vaccini nel mondo reale.

In sintesi, anche se si dovrebbero compiere sforzi per incoraggiare le popolazioni a vaccinarsi, lo si dovrebbe fare con umiltà e rispetto. Stigmatizzare le popolazioni può fare più male che bene. È importante sottolineare che altri sforzi di prevenzione non farmacologici (ad esempio, l’importanza dell’igiene della salute pubblica di base per quanto riguarda il mantenimento della distanza di sicurezza o il lavaggio delle mani, la promozione di forme di test più frequenti e meno costose) devono essere rinnovati al fine di raggiungere l’equilibrio tra imparare a vivere con COVID-19 allo stesso modo continuiamo a vivere 100 anni dopo con varie alterazioni stagionali del virus dell’influenza del 1918.

Non credo che ci sia molto da aggiungere. Bisogna ripensare un po’ tutta la comunicazione e il modo di affrontare il covid-19. Soprattutto bisogna avere umiltà e mente aperta, il famoso “Grano salis”. quanto ce ne è in Italia?

 

 


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