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Cosa vuol dire per noi la fine del Quantitative Easing (di Giuseppe PALMA)

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Mario Draghi ha annunciato ieri che il 31 dicembre di quest’anno la Bce metterà fine al programma di acquisto dei Titoli di Stato sul mercato secondario, il cosiddetto Quantitative Easing, il famoso bazooka annunciato da Draghi nel gennaio 2015 e operativo dal marzo di quello stesso anno. Da ottobre a dicembre, cioè l’ultimo trimestre, il programma di acquisto scenderà a 15 miliardi al mese fino al 31 dicembre.

Cosa vuol dire tutto questo? Cercherò di spiegarlo semplicemente:

1) breve premessa: la Bce, per suo stesso statuto, non funge da prestatrice illimitata di ultima istanza, cioè non compra i Titoli di Stato sul mercato primario, quelli battuti mensilmente dal Tesoro. Con la conseguenza che ciascuno Stato dell’eurozona, che avendo perso sovranità monetaria per finanziarsi deve necessariamente collocare/rinnovare mensilmente tutti i propri Titoli sul mercato primario, dovrà alzare i tassi di interesse per rendere maggiormente appetibili i Titoli stessi, scaricandone il relativo peso sulla spesa pubblica. Direttamente, la fine del QE comporterà che la Bce non comprerà più i nostri Titoli di Stato sul mercato secondario, con ripercussioni sullo spread, cioè aumenterà il differenziale tra gli interessi Btp-Bund. Questo significa che, per poter tenere in vita l’euro, gli Stati maggiormente “indebitati” dovranno fare tagli selvaggi alle voci di spesa pubblica più sensibili (pensioni, sanità, sicurezza, giustizia etc…, esattamente come avvenne nel 2011);

2) l’euro si apprezzerà sul dollaro mettendo in difficoltà l’export (l’Italia è il secondo Paese esportatore in Europa). Il programma di QE ha prodotto negli anni passati una svalutazione dell’euro sul dollaro nella misura di circa il 30%, causando un beneficio per le esportazioni di tutti i Paesi dell’eurozona, beneficio riscontrabile in una comparazione globale (Ue-Usa) e non infra-Stati (Italia-Germania). La fine del QE comporterà quindi un nuovo apprezzamento dell’euro sul dollaro, mettendo in serie difficoltà l’intero comparto dell’export. Non potendo più intervenire sulla leva del cambio (l’euro è un accordo di cambi fissi), gli Stati dell’eurozona – per tornare ad essere competitivi – saranno costretti ad intervenire ancora una volta sul lavoro (svalutazione del lavoro), quindi contrazione dei salari e precarizzazione selvaggia del rapporto lavorativo;

3) ci chiederanno i “primogeniti” (espressione che prendo in prestito dall’amico Claudio Borghi), cioè la Germania proporrà ulteriori misure capestro pur di salvare l’euro (spiegandolo con un’altra battuta, ci chiederanno di mettere in vendita pure la Fontana di Trevi). Cosa vuol dire questo? A parte la proposta di creare un Fondo Monetario Europeo (una specie di fondo di salvataggio) che fungerà da struttura di strozzinaggio legalizzato, i tedeschi ci chiederanno di portare avanti un programma di privatizzazione dei nostri asset pubblici (i gioielli nazionali, tanto per capirci), esattamente come hanno fatto con la Grecia. Una svendita della ricchezza nazionale peggiore delle devastazioni barbariche.

Cosa farà il Governo italiano di fronte a questa situazione?

Mi limito a rispondere che l’importanza di avere persone come gli amici Paolo Savona e Luciano Barra Caracciolo al Governo del Paese (invece di Gozi e personaggi similari) è certamente più rassicurante per gli interessi nazionali e – può sembrare un paradosso ma non lo è – della stessa Europa. Perchè essere europeisti NON significa essere Sacerdoti dell’euro e dell’Ue, significa invece creare le condizioni perchè l’Europa prosperi secondo quelli che sono i diritti fondamentali sanciti nelle Costituzioni nazionali degli Stati membri. Chi oggi erge l’attuale costruzione monetaria europea a dogma infallibile non fa affatto il bene dell’Europa, ma irrimediabilmente il suo male.

Avv. Giuseppe PALMA

 

 


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