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Corsa contro il tempo (e contro Pechino): la US Navy a caccia dei propri relitti nel Mar Cinese Meridionale con mezzi enormi
Due aerei della USS Nimitz sono sul fondo del Mar Cinese Meridionale. La US Navy ha inviato la nave Salvor per recuperarli, ma Pechino osserva. In ballo ci sono i segreti del Super Hornet e dell’elicottero Seahawk: chi arriverà prima?

A quasi un mese di distanza dal doppio incidente che ha coinvolto un elicottero MH-60R Seahawk e un caccia F/A-18F Super Hornet della USS Nimitz, la Marina degli Stati Uniti ha rotto gli indugi. Le operazioni di recupero sono ufficialmente in corso nel Mar Cinese Meridionale, in uno scenario che assomiglia più a un thriller geopolitico che a una semplice operazione di salvataggio. Anche perché la minaccia dello spionaggio cinese è dietro l’angolo.
Il doppio crash, avvenuto il 26 ottobre scorso in un arco temporale di appena trenta minuti, resta avvolto nel mistero. Sebbene l’ex Presidente Donald Trump abbia suggerito con la consueta coloritura che la causa potesse essere del “carburante cattivo” (bad gas), le cause ufficiali restano non chiarite. Ciò che è chiaro, invecere, è l’urgenza strategica di recuperare l’hardware prima che qualcun altro – leggi: la Cina – decida di dare un’occhiata troppo da vicino.
La missione della USNS Salvor
La 7a Flotta ha confermato che la USNS Salvor (T-ARS 52), una nave della classe Safeguard gestita dal Military Sealift Command, è operativa sul sito. Si tratta di un mezzo robusto, capace di sollevare fino a 300 tonnellate: un “muscolo” più che sufficiente per tirare a secco le carcasse dei due velivoli.
Secondo i dati di tracciamento navale più recenti, la Salvor è stata localizzata a est dell’isola filippina di Palawan, in rotta verso l’area delle operazioni. La Marina USA mantiene un comprensibile riserbo sulla posizione esatta e sulle tempistiche, ma la mobilitazione suggerisce che la fase di verifica del sito è ormai superata e si è passati all’azione.
La posta in gioco: Tecnologia e Intelligence
Perché tanta fretta? Semplice: il Mar Cinese Meridionale non è il Golfo del Messico. È un territorio conteso, militarizzato e, soprattutto, il “cortile di casa” di Pechino. Le acque, peraltro, non sono proibitive in termini di profondità, il che rende il recupero tecnicamente fattibile anche per attori non statunitensi.
Ecco cosa rischia di finire nelle mani del programma cinese di Foreign Materiel Exploitation (FME):
- F/A-18F Super Hornet: Pechino non ha mai messo le mani su un relitto di questo caccia. Analizzarne la cellula e i sistemi sopravvissuti potrebbe fornire dati cruciali per affinare i loro jet imbarcati J-15T e, soprattutto, capire come sconfiggere i velivoli americani tatticamente.
- MH-60R Seahawk: Questo elicottero è un concentrato di tecnologia per la guerra antisommergibile (ASW).1 Dato che la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) sta cercando urgentemente di modernizzare le proprie capacità in questo settore, il recupero di sensori o sistemi intatti sarebbe un regalo inaspettato.
Il vantaggio di casa di Pechino
Come sottolineato da Carl Schuster, ex direttore delle operazioni del Joint Intelligence Center del comando del Pacifico, la geografia favorisce nettamente la Cina. “Se la Cina ne fa una gara, gode del vantaggio di giocare in casa”, ha notato l’analista. Pechino dispone di una massiccia presenza di asset nell’area e potrebbe, se lo volesse, ostacolare le operazioni americane o tentare un recupero parallelo.
La posizione diplomatica cinese è, come da copione, ambigua e assertiva. Il Ministero degli Esteri di Pechino ha ironicamente offerto “aiuto umanitario”, non mancando però di sottolineare che l’incidente è figlio delle “esercitazioni militari USA” e che la presenza americana è la “radice dei problemi di sicurezza” nella regione.
Non è la prima volta che viene effettuato un recupero di questo genere, così estremo: nel 2022 gli USA recuperarono un F-35 da oltre 3.700 metri di profondità. Ma oggi, con la competizione strategica ai massimi storici, questa operazione di salvataggio è molto più di una questione di “ferro vecchio”: è una partita a scacchi sul fondale marino. L’operazione è talmente importante che gli USA hanno spostato la moderna portaerei George Washington nel Mar Cinese Meridionale, per dare un occhio alle operazioni di recupero e distrarre la Cina da quanto sta accadendo.
Domande e risposte
Perché è così urgente recuperare questi relitti, non sono ormai distrutti?
L’urgenza non è data dal valore del velivolo in sé, ma dalla tecnologia che contiene. Anche un relitto parzialmente distrutto può rivelare segreti industriali e militari preziosi. Radar, sistemi di guerra elettronica, codici di comunicazione e materiali compositi sono “oro” per l’intelligence avversaria. Se la Cina mettesse le mani su questi componenti, potrebbe accelerare il proprio sviluppo tecnologico (reverse engineering) e sviluppare tattiche specifiche per neutralizzare i vantaggi americani in un ipotetico conflitto.
Cosa si intende per teoria del “carburante cattivo” citata nel testo?
Dopo l’incidente, l’ex Presidente Donald Trump ha suggerito che i crash potessero essere causati da “bad gas”, ovvero carburante contaminato o di scarsa qualità. Sebbene non ci siano ancora conferme ufficiali dalla Marina USA, l’ipotesi non è tecnicamente impossibile: il carburante avio contaminato può causare lo spegnimento dei motori. Tuttavia, il fatto che due velivoli diversi (un jet e un elicottero) siano caduti a 30 minuti di distanza rende la coincidenza sospetta e alimenta le speculazioni, in attesa dei report ufficiali.
La Cina può legalmente interferire con il recupero?
La questione legale è complessa. I relitti sono proprietà sovrana degli Stati Uniti (sovereign immune vessels), quindi toccarli senza permesso sarebbe un atto ostile. Tuttavia, gli incidenti sono avvenuti nel Mar Cinese Meridionale, un’area che Pechino rivendica quasi interamente come proprie acque territoriali, rifiutando le sentenze internazionali contrarie. La Cina potrebbe usare la scusa della “sicurezza ambientale” o della giurisdizione territoriale per inviare le proprie navi, ostacolare la USNS Salvor o, nel peggiore dei casi, tentare un recupero clandestino prima dell’arrivo degli americani.









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