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CONTRORDINE DEL FMI: LE RIFORME SONO DANNOSE! (di Antonio M. Rinaldi)

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Se non si trattasse di problematiche serie che coinvolgono il futuro e le sorti di interi paesi, ad iniziare dal nostro, ci troveremmo davanti alle classiche comiche finali! Mi riferisco all’ultima marcia indietro del Fondo Monetario Internazionale, che ha candidamente ammesso, grazie al suo dipartimento della ricerca diretto da Olivier Blanchard, che “le riforme strutturali non sono una cura miracolosa“, rincarando poi la dose affermando che “gli esiti sono molto spesso incerti“.

Ma la considerazione più eclatante che scaturisce dalla lettura del World Economic Outlook, rapporto periodico dell’FMI, è nell’affermazione che la deregolamentazione del mercato del lavoro produce effetti esclusivamente negativi sulla produttività (leggasi jobs act).

 

Il tutto con buona pace dei tanti pseudo economisti azzeccagarbugli nostrani che hanno sempre fatto a gara nel dichiararsi convinti neoliberisti per potersi poi accreditare presso una classe politica dirigente incapace anche di capire il funzionamento di un condominio (anche perché per loro era l’unico modo per riuscire ad assicurarsi un piatto sicuro di lenticchie).

Alla luce del dietro front del FMI sugli effetti delle riforme, sarebbe infatti il caso di chiedere ora il parere a questa sottospecie di economisti cosa ne pensano, visto che fino ad ora sono stati capaci solamente di riempirsi la bocca magnificando come le riforme strutturali sarebbero state le uniche a “salvare” l’Italia dal declino.

 

Ma d’altronde non è la prima volta che il FMI “ripudia” i mezzi utilizzati per mettere in pratica (con esiti disastrosi) le folli politiche economiche imposte ai paesi eurodotati in omaggio all’errata convinzione di perseguire ad ogni costo il modello economico tanto caro all’ortodossia tedesca che prevede essenzialmente la stabilità dei prezzi, cioè il contenimento paranoico dell’inflazione, e il rigore dei conti pubblici fino al raggiungimento del pareggio di bilancio, come unico presupposto per la crescita.

 

Il riferimento è anche al “mea culpa” del dicembre 2013, quando fu ammesso pubblicamente dallo stesso FMI, presieduto sempre dalla francese Lagarde, che era stato notevolmente sottostimato l’effetto del moltiplicatore fiscale per determinare l’influenza delle politiche di austerity sul PIL.

Praticamente in un working paper a firma dello stesso Blanchard’’ ha riconosciuto di aver completamente sbagliato, e di tanto, le stime con la conseguenza di aver accelerato in modo esponenziale le contrazione dei PIL dei paesi periferici dell’eurozona, in quanto ha ritenuto che ad ogni punto di aumento della pressione fiscale e/o taglio della spesa pubblica, corrispondesse una contrazione dello 0,5% di PIL.

A posteriori invece si è scoperto che il rapporto corretto indicava che per ogni punto percentuale di “austerity” aggiuntiva corrispondesse un calo medio della crescita intorno all’1,5% con casi specifici, vedasi Grecia, superiori al 2%!

 

Ora ci risiamo e uno dei componenti della Troika prende le distanze da ciò che è stato uno dei cavalli di battaglia della politica economica UE per giustificare lo stato di crisi: cioè non aver effettuato le cosiddette riforme strutturali.

Viene spontaneo chiedersi se, le sempre più pressanti richieste provenienti da organismi internazionali nei confronti dei paesi del Sud Europa nell’effettuare speditamente le riforme strutturali in cambio di flessibilità, siano state nella pratica solo un’ingerenza esclusivamente politica per perorare esclusivamente interessi delle lobby finanziarie e dei grandi agglomerati industriali.

Infatti, ad esempio, che titoli ha nel suo statuto la BCE per indurre alcuni governi dell’eurozona ad indurre a fare in fretta le riforme pena il non supporto tecnico previsto dalle mansioni di una Banca Centrale o la Commissione Europea, composta da non eletti, in virtù di quale potere può condizionare un Parlamento nazionale su scelte del genere?

 

Quanto tempo ancora dovremo aspettare per sentirci dire, magari proprio dallo stesso FMI, che l’euro è stato un errore clamoroso? Saranno poi gli stessi “economisti”, di cui sopra, ad avallare prontamente il contrordine del FMI, questa volta sulla validità della moneta unica, mentre fino ad un minuto prima ne decantavano la bontà, o preferiranno (speriamo) scappare?

 

Antonio M. Rinaldi


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