Attualità
Il contro editoriale a Scalfari – La depressione e la deflazione la causa dei Mali europei assieme all’accumulo di ricchezza delle elites: Saggezza o senilità?
Scalfari vi ha abituati all’editoriale domenicale. Ultimamente, oggi, le sue attenzioni si son concentrate su temi economici, argomenti a cui questo sito dedica strutturale attenzione. Abbiamo inaugurato una nuova stagione del patron di una delle principali testate giornalistiche italiane, quella della spiegazione delle radici della depressione europea attuale, la comparazione con quella del 1929 e le assonanze con il periodo italiano attuale anche in relazione all’operato di Renzi.
Bene, l’Eugenio nazionale oggi sembra tracciare il solco del nuovo marxismo. Avete capito bene, marxismo, quello 2.0. E ci sono anche aspetti condivisibili se non per l’innegabile senilità delle conclusioni.
Infatti, riassumendo, è stato oggi correttamente citato nel domenicale – ma senza spiegarlo – il concetto elaborato da Keynes secondo cui il sistema capitalistico ha due principali debolezze, il non controllare né l’accumulo di ricchezza né la disoccupazione. Da qui deriva, sempre secondo Scalfari ed anche per estensione, il controllo del potere delle elites nei vari paesi occidentali con un monopolio degli investimenti ad alto rendimento non sempre coincidenti con il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione (…).
Fin qui tutto abbastanza bene. Poi viene introdotto Schumpeter con la sua distruzione creativa e le cose si complicano. Soprattutto quando si passa a Roosevelt ed al fallimento dei suoi vari new deals [non solo uno! Il presidente USA finì per immaginare di vedere la luce in fondo al tunnel nel 1937 ed assieme agli UK credere in una ripresa allentando la presa nelle politiche economiche shock, solo per realizzare che era un miraggio], dimenticando totalmente di chiarire come la grande depressione negli States sia stata risolta solo con la seconda guerra mondiale, compendiando – come è giusto che sia – la distruzione creativa, i limiti del capitalismo ed il fallimento delle politiche roosveltiane (citando J.K. Galbraith ne ‘Il grande crollo’ ma dimenticando un autore molto più utile ed immediato, A. Fergusson de ‘When money dies’), con la soluzione alla crisi trovata solo in un conflitto epocale (adesso si accorge dei rischi della depressione, dove era quando benediva il Governo Monti, vera ‘pietra angolare’ dell’austerità depressiva?).
Fa pensare che, se ha ragione Scalfari, ancora una volta ci troviamo con un America che, incapace di correggere i propri eccessi, possa cercare una via d’uscita con una guerra, lo fece con le provocazioni al Giappone nel sud est asiatico che portarono a Pearl Harbour, potrebbe fare qualcosa di simile oggi con la Russia dando un senso compiuto ad un atteggiamento altrimenti perfettamente incomprensibile. E non sarebbe casuale il nesso politico tra i due presidenti, entrambi democratici (ossia connotati dal tipico interventismo ideologico).
Scalfari non dà ricette ma semplicemente traccia una via: eliminare le grandi differenze sociali e di accumulo di ricchezza, evitando di dire quello che non si ha il coraggio di spiegare, ossia che dalle depressioni si esce solo con una guerra. E dimenticandosi anche di dire che le elites a cui bisognerebbe togliere un po’ di privilegi e ricchezza sono le stesse che comandano il paese e che normalmente posseggono influenze di stampa, comprendendo anche – ma non solo – il proprietario della stessa testata di cui egli è redattore, Repubblica appunto, il quale in modo molto scaltro ha abbandonato il paese da mo’, vive all’estero da anni.
Scenario molto ardito a concretizzarsi quello scalfariano non c’è dubbio, anche perché a pensare male il rischio odierno è quello di far pagare il conto alla media borghesia preservando i grandi potentati. Molto spesso ci si azzecca…
La senilità. Solo un vecchio che ha perso le speranze può immaginare un futuro in cui si debba cedere sovranità (leggasi, libertà) sull’altare di un sistema europeo chiaramente asimmetrico, in cui gli interessi di coloro che ci hanno traviato in guerra come nessun altro sono gli interessi da preservare; direi che questa visione rischia di rappresentare la speranza di una persona delusa e vicina alla fine dei propri giorni terreni, spiacente Scalfari – lo dico con tutto il rispetto per la sua persona, pur non condividendo gran parte delle argomentazioni proposte -. Parlavo alcuni anni fa con un manager mio amico di una grande banca con forti radici ebraiche, anche lui ebreo, discutendo sul perché in Germania non ci fosse stata una salita dei prezzi degli immobili fino al 2008 come accaduto in Spagna ed Inghilterra ad esempio. La riposta fu che con la Germania era meglio lasciare stare le speculazioni, messaggio per altro reiterato al contrario – se ce ne fosse stato bisogno – da F. Muentefering ex chairman del SPD che assimilò gli speculatori a locuste… (da allora il termine locusta per gli hedge funds è diventato gergale in Germania). Quando si dice essere chiari, il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Questa sarebbe la Germania a cui Scalfari vorrebbe dare le chiavi del Continente cedendo anche la Difesa (leggasi le armi, ndr), per altro dopo aver sperimentato il diritto asimmetrico nella gestione dei deficits etc. dei primi anni dell’euro tra periferici e core Europe (germanofona). Che sia chiaro, chi scrive si dissocia dal luogo comune dei tedeschi antisemiti, lager e che dir si voglia. No, i tedeschi non si può assolutamente dire siano antisemiti, direi anzi il contrario, esistono molte assonanze tra le due stirpi, pragmatici, grande focus ai risultati, con pochi rimorsi. Piuttosto i tedeschi possono essere definiti cinici, non guardano in faccia a nessuno per raggiungere il risultato: gli ebrei di 70 anni or sono potevano essere francesi, russi, americani non importa, dopo le pene patite nell’iperinflazione e nel dominio francese nella Ruhr per i tedeschi la chiave per uscire dal baratro erano i soldi per finanziare la crescita pre bellica e gli ebrei possedevano ad es. circa il 70% di tutte imprese commerciali incluse le banche in Austria. Se le ricchezze necessarie allo scopo le avessero ad esempio detenute i russi oggi probabilmente parleremo di russofobia o di qualcosa di simile. Ossia, i tedeschi sono molto oltre all’antisemitismo in quanto nessuno può sentirsi al riparo dalla loro protervia, direi dal loro pragmatico cinismo a raggiungere il risultato desiderato. E dobbiamo ringraziare l’esempio che ci hanno dato nell’inflessibilità a derogare sull’austerità, o nell’affamare la Grecia nei primi dieci anni di moneta unica per ricordarcelo.
Ripeto, questa sarebbe la Germania – dovrei forse dire l’Europa tedesca – a cui Scalfari vuole dare in mano il futuro delle prossime generazioni. Ricordiamo che il paese di Goethe è un paese formidabile, la storia ci insegna che nessun paese singolo europeo può tenergli testa, forse solo la Russia, più probabilmente tutti i paesi europei se si coalizzassero. Ed i primi anni dell’euro ci hanno fatto capire che non sono affatto cambiati, anzi…. E come se non bastasse giova ricordare come le grandi dinastie industriali tedeschi attuali sono i nipoti ed i pronipoti dei nonni che 70 anni or sono fecero scoppiare la guerra più sanguinosa della storia (Quandt, Piech, Porsche, Siemens, Thyssen, Dassler…)
Ecco perché devo stigmatizzare la senilità di Scalfari, senilità che vuol probabilmente anche dire vana speranza e fiducia temo mal riposta, fondata su una grande delusione su come è evoluta l’Europa sotto la guida delle elites che egli stesso rappresenta. In ogni caso bisognerebbe chiedere alla discendenza scalfariana cosa ne pensa, ritengo potrebbe essere a mal partito nel dover cedere ricchezza, status, potere. O semplicemente i nipoti sono già riparati all’estero, subodorando il caos che il loro nonno sta preconizzando, ben sapendo da insegnamenti del loro nobile ottuagenario – questo si – che l’Italia storicamente anticipa ed estremizza i ‘social megatrends’ del mondo occidentale.
Mitt Dolcino
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