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Contro “Di Martedì”. L’uscita dall’euro: i debiti ed i mutui

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Neolira

Ieri, a “Di Martedì” è stato mandato un servizio sulle conseguenze del’uscita dall’euro per l’Italia, con tante simpatiche animazioni e l’intervista-consulenza del Prof. Marcello Minenna, docente di Finanza Matematica in diverse università italiane ed estere, compresa la prestigiosa Bocconi di Milano (quella di Monti, per capirci…), e attualmente responsabile dell’Ufficio Analisi Quantitative della CONSOB.

Il professore, tra le altre cose che ci si riserva di esaminare magari in un altro articolo, ha testualmente affermato, parlando di cosa accadrebbe ai mutui accesi dai privati: “Se il mutuo è in euro rimarrebbe in una valuta forte, quindi i nostri debiti privati aumenterebbero“. Ora, sentire un esperto di finanza dire che i propri mutui dovranno essere ripagati in euro – specie collegato al fatto che la neolira o come si chiamerebbe la nuova valuta si svaluterebbe verso l’euro e quindi l’onere aumenterebbe – immagino avrà giustamente preoccupato e spaventato molta gente.

Peccato che sia totalmente falso.

Nel nostro ordinamento vige una serie di disposizioni, all’interno del Codice Civile, conosciute genericamente sotto il nome di Lex monetae.

Riporto i primi due articoli del capo VII sezione I:

Art. 1277.
Debito di somma di danaro.
I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.
Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.
Art. 1278.
Debito di somma di monete non aventi corso legale.
Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.

Questi sono i primi due articoli che trattano dei debiti pecuniari. Cosa ci dicono? Una cosa semplice: il primo che solo la moneta avente corso legale è idonea ad estinguere i debiti; conseguenza è che se una moneta non ha più corso legale al tempo del pagamento questo va fatto obbligatoriamente nella nuova valuta, l’unica che ha effetto solutorio. Il secondo che se il debito è in una valuta che all’interno dello Stato non ha corso legale, il debitore ha la facoltà (e non l’obbligo) di pagare con moneta a corso legale, con il cambio valutato al momento del pagamento. E’ evidente che la differenza è data dal fatto che la moneta descritta in questo articolo ha corso legale, ma non all’interno dello Stato, ovvero si tratta di moneta estera; la norma quindi indica il criterio, che è il pagamento facoltativo (facoltà lasciata al debitore) con moneta nazionale, ragguagliata al valore di cambio al momento del pagamento.

Riporto anche una massima giurisprudenziale molto interessante:

In tutti i casi in cui l’obbligazione (in moneta estera) non sia indicata con la clausola “effettivo” o altra equipollente, né risulti che le parti abbiano avuto riguardo ad una specie monetaria avente valore intrinseco, la norma dà facoltà di pagare in moneta legale al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento, con conseguente impossibilità per il creditore di ottenere la rivalutazione del credito per la differenza tra il cambio all’epoca della stipulazione e quello all’epoca della soluzione (C. 6887/1986).

Cosa dice la Cassazione mi sembra chiaro: quando ho un debito in valuta estera io debitore ho, come abbiamo visto, la possibilità di pagare in valuta nazionale e, cosa più importante, al valore di tale valuta al momento del pagamento, escludendo una eventuale rivalutazione. Naturalmente il problema, come nel caso concreto esaminato dalla Corte, sorge se la valuta nazionale nel frattempo si apprezza, ma cosa succede se, come accadrebbe in caso di uscita dell’Italia dall’euro, si svalutasse? In base all’art. 1278 c.c. si dovrebbe pagare con moneta ragguagliata al cambio esistente al momento del pagamento, ma, e questo è fondamentale, nulla vieta che una disposizione di legge deroghi a tale principio e fissi il cambio al momento dell’adozione della nuova valuta; anzi, in caso di uscita dall’euro, un provvedimento di deroga sarebbe doveroso ed indispensabile per non portare al tracollo l’economia del Paese.

Con una deroga la situazione sarebbe sotto controllo. Facciamo un esempio:

Mettiamo che l’Italia esca dall’euro e adotti come valuta nazionale la neolira e mettiamo che, come sarebbe auspicabile il cambio venga fissato 1/1, ovvero un euro è uguale ad una neolira. Ora supponiamo che Franco abbia un debito con Mario di 100 euro: cosa accade? Semplicemente che Franco ripagherà, se vuole, il proprio debito a Mario con la nuova valuta avente corso legale allo stesso valore nominale, quindi restituirà 100 neolire. Cosa accade se nel frattempo la neolira si è svalutata del 30% sull’euro? Assolutamente nulla, il debito è di valuta e Franco pagherà a Mario solo e soltanto 100 neolire (svalutate) senza che quest’ultimo possa contestarne il minor valore e senza poter pretendere la rivalutazione del credito. Mario ci perde? No, a meno che intenda acquistare qualcosa in euro all’estero; nel mercato interno, poiché tutti i valori dei beni e dei rapporti sarebbero ragguagliati con lo stesso criterio, la proporzione rimarrebbe uguale ed il potere di acquisto non cambierebbe, salvo una leggera possibile perdita sui beni importati successivamente all’uscita che potrebbero aumentare di prezzo.

Cosa diversa sarebbe se il debito fosse, come si dice, “di valore”, ovvero non è dovuta una somma nominale, ma il valore del debito: l’esempio classico è il risarcimento danni; qui ciò che è dovuto non è un importo, ma il valore di un danno subito, quindi questo valore deve rimanere integro, per cui, oltre agli interessi, il danneggiato avrà diritto alla rivalutazione monetaria della somma determinata come risarcimento.

E se il nostro Franco invece che con Mario ha un debito con Hans o con Alain, i quali sono cittadini stranieri e vogliono essere pagati in euro? Spiacenti, la facoltà del debitore rimane intatta e quindi Franco pagherà le sue 100 neolire ad Hans o Alain, senza che questi possano obbiettare nulla!

Avendo chiaro come funziona la Lex monetae possiamo ora capire cosa succederebbe ai mutui accesi con la propria banca: che questa sia italiana o straniera il mutuo si ridenominerà automaticamente nella nuova valuta, perché i mutui sono comunque sotto diritto nazionale, per cui, sia il residuo da versare, che le singole rate saranno pagabili in neolire, senza che la banca possa obiettare o rifiutare il pagamento, e, cosa ancora più importante, non vi sarà alcun aumento dell’importo, poiché i mutui, come tutte le obbligazioni pecunuarie, sono debiti di valuta e come tali, non si rivalutano. Con l’auspicato e ragionevole cambio 1/1 non ci si accorgerà nemmeno della differenza, se non nel nome della valuta di pagamento. Chiunque affermi il contrario ignora le basi del nostro diritto.

Chiarito questo vediamo l’unico caso particolare: debito con un soggetto estero da pagare in euro e con contratto regolato da diritto estero: in questo caso l’obbligazione in euro rimarrebbe tale, perché regolata da una legge diversa, per cui non si potrebbe applicare la Lex monetae che è una legge statale, ed il debito diventerebbe più oneroso secondo il tasso di svalutazione esistente al momento del pagamento. Ma, se ci pensiamo bene, chi è che conclude contratti con l’estero sotto legge estera? Le società che hanno assets e filiali all’estero, ovvero quelle che hanno anche vendite e ricavi dall’estero. Queste società compenseranno con i maggior ricavi delle vendite dei beni prodotti all’estero fatte in Italia (importazioni) quello che perdono dai contratti esteri, senza contare che gli assets esteri si rivaluterebbero rispetto alla valuta nazionale. Non è comunque un discorso che interessa i singoli privati e neanche le piccole-medie imprese esportatrici.

Stupisce quindi che il Prof. Minenna ignori quello che anche uno studente del primo anno di Giurisprudenza conosce: evidentemente studiare la matematica applicata alla finanza fa un po’ perdere di vista il quadro generale…


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