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Analisi e studi

Conte e Monti hanno mentito. Ecco la verità sul MES (di P. Becchi e G. Palma)

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Stiamo al gioco. Nell’ultima conferenza-stampa il presidente del consiglio Giuseppe Conte, invece di occuparsi degli italiani chiusi in casa da più di un mese senza un centesimo di aiuto dallo Stato, ha pensato di scagliarsi contro le opposizioni. Solo in un regime autoritario il capo del governo utilizza la Tv pubblica, senza contraddittorio, per attaccare le opposizioni. Conte ha accusato Salvini e Meloni di appartenere ai partiti che facevano parte del governo che nel 2011 firmò il MES, il governo Berlusconi IV.
Bugiardo. Ma non è il solo. Venerdì anche Mario Monti rincara la dose sul “Corsera”.

Ecco la verità su quello che è accaduto in quegli anni.

Primo. È vero che il Meccanismo Europeo di Stabilità è una evoluzione del Fondo-Salva Stati del 2010, ma l’iter del trattato merita alcune precisazioni che Conte e Monti hanno dimenticato di raccontare. Il MES è frutto delle modifiche al Trattato di Lisbona (per precisione all’art. 136 del Tfue) approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo. Tra i voti contrari espressi dall’Europarlamento quelli della Lega (appartenente al gruppo parlamentare “Europa della libertà e della democrazia” – Efd). Matteo Salvini, all’epoca europarlamentare, non partecipò a quella votazione, ma il suo partito votò contro. Popolari, liberali e Socialdemocratici votarono a favore, per noi PdL e Pd. Due giorni dopo, il 25 marzo 2011, la decisione fu ratificata dal Consiglio europeo al quale il governo italiano partecipò con l’allora presidente del consiglio Berlusconi. Una scelta non facile quella di Berlusconi, infatti l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti era propenso all’introduzione degli “eurobond” (che non sono dunque un’invenzione di Conte). Addirittura Tremonti pose gli “eurobond” come condizione all’approvazione del MES, ma poi lo spread spazzò via il governo Berlusconi e degli eurobond non se ne fece più nulla.

Secondo aspetto. Il MES venne firmato in via definitiva il 2 febbraio 2012 dagli allora 17 Paesi dell’eurozona, quando al governo non c’era più Berlusconi ma proprio Mario Monti. La ratifica del trattato da parte del Parlamento italiano avvenne nel mese di luglio 2012 (al governo c’era sempre Mario Monti), col voto contrario della Lega. La Lega non votò né la fiducia al governo Monti né la ratifica del MES. Chi invece votò a favore della ratifica del MES, senza neanche una voce fuori dal coro, fu proprio quel Partito democratico che sostenne il governo Monti e che oggi sostiene l’esecutivo presieduto da Giuseppe Conte. Se dunque il presidente del Consiglio cerca i responsabili del MES, si guardi attorno: li troverà nel PD, partito che fa parte del suo governo e che esprime sia il ministro dell’economia che il commissario europeo agli affari economici.
Nello specifico: alla Camera dei deputati il PD espresse 168 voti a favore della ratifica del MES, nessuno contrario, zero astenuti e 34 assenti. Il PdL ebbe invece al suo interno parecchie voci critiche, infatti, pur trattandosi allora del gruppo parlamentare di maggioranza relativa, espresse soli 83 voti a favore, 2 contrari, 20 astenuti e 91 assenti. La Lega espresse 51 voti contrari, zero a favore, zero astenuti, 7 assenti. Situazione similare al Senato, dove la Lega votò compatta contro la ratifica, a differenza del PD che, anche a Palazzo Madama, votò a favore con tutta la sua pattuglia di senatori.

Terzo aspetto. La lettera della Bce del 5 agosto 2011 che il senatore Monti cita nel suo articolo rappresentò una indebita intromissione della banca centrale europea, allora presieduta ancora da Trichet, nel potere di autodeterminazione del governo italiano, che travolto dall’imbroglio dello spread cercò inutilmente di correre ai ripari. Per poco più di un punto percentuale di Iva un governo espressione della volontà popolare fu costretto a dimettersi per far posto proprio a Monti, che accettò l’incarico dopo essersi fatto nominare senatore a vita in quattro e quattr’otto, senza passare per la tradizionale istruttoria prevista in questi casi.

Ultimo aspetto. Il senatore Monti, sempre nel suo articolo, scrive che alcune posizioni critiche assunte dalle opposizioni “potrebbero mettere in difficoltà il premier Giuseppe Conte in vista del Consiglio europeo del 23 aprile”. Vorremmo ricordare al professore che siamo ancora in democrazia, e che principale compito delle opposizioni è proprio quello di sollevare critiche al governo per poterne migliorare l’azione. Suggerire alle opposizioni di non assumere posizioni critiche nei confronti del governo è tipico dei regimi autoritari. Ed è un regime autoritario quello che consente ad un presidente del consiglio di parlare alla nazione ogni tre giorni a reti unificate, attaccando con veemenza le opposizioni senza diritto di replica. Nessuna reazione, i media hanno subito dirottato l’attenzione sulla ” storia del mes”, di cui non frega niente a nessuno, e così è passato inosservato l’attacco alle regole democratiche.

Salvini ha telefonato a Mattarella ed ha fatto bene. Ma non basta. Le opposizioni dovrebbero ora chiedere ai vertici Rai una conferenza stampa congiunta (Salvini, Meloni e Tajani), da mandare in diretta televisiva alle 20;30, nella quale poter rispondere a Conte. Sarebbe il minimo.

Tornando all’articolo di Monti, forse il senatore a vita scrive perché vorrebbe essere richiamato alla guida del paese – non gli basta, si vede, il danno che il suo governo ha inferto al popolo italiano -, ma Conte sta svolgendo bene il ruolo di un “Monti bis”, il suo ormai è un governo di Monti senza Monti, il quale può pertanto limitarsi a scrivere editoriali privi di significato che un giornale serio non dovrebbe neppure prendere in considerazione. Il professore scrive che l’Italia di oggi non è la Grecia di allora, “che se fosse esplosa avrebbe mandato anche l’euro in frammenti“. A dire il vero stiamo ancora aspettando di vedere come la Grecia abbia rappresentato il più grande successo dell’euro.

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma


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