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CONSIDERAZIONI SULLA LETTERA DI CAMERON A TUSK (di Paolo Savona)

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La lettera inviata dal Premier inglese David Cameron al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è stata accolta e poi archiviata dalla cronaca con troppa facilità, perché presenta contenuti importanti per un chiarimento all’interno dell’Unione Europea.

Nello stesso Regno Unito il dibattito su questa lettera è stato tutto sommato fiacco: chi l’ha considerata una richiesta talmente modesta (ma forse volevano dire ovvia) – che potrà anche essere accolta dall’ Ue senza sussulti – e chi, invece, l’ha interpretata come una richiesta, che mette in chiaro molte cose e che potrebbe portare a una rottura dell’Unione, se non venisse accolta.

A ben guardare la lettera, vada come vada, non riguarda il futuro dell’Europa, ma il presente, perché chiarisce cosa sia l’attuale Ue – ormai in tutta evidenza – di cui però non si vuole prendere nota, mantenendo nascosta la verità nel fondo della coscienza europea. Cameron in effetti la fa emergere con chiarezza: l’UE è un mercato comune tra 28 paesi, al cui interno ve ne sono 18 che hanno deciso di fare qualcosa a cui gli inglesi hanno detto fin dall’inizio di non volere aderire, vale a dire delegare la sovranità monetaria a una istituzione sovranazionale. Se questi paesi poi avessero intenzione di prendere decisioni che toccano anche chi sta fuori dell’eurosistema (penso che il riferimento sia alla gestione coordinata della politica fiscale), non pensino minimamente di imporre agli altri queste nuove regole.

Tale posizione mette in chiaro che l’unificazione politica non si può fare – anche a volere ipotizzare con uno sforzo di volontà che Germania e Francia lo vogliano – e, quindi, il presupposto della sopravvivenza dell’euro viene a mancare; perché, se si muovesse un passo in quella direzione, l’ UE si spaccherebbe.

Questo sembra un dato non da poco, implicito nei contenuti della lettera in questione. Semmai ce ne fosse bisogno per ribadire il no degli inglesi all’unificazione politica dell’Europa e delle sue politiche, l’escamotage inventato da Bruxelles e Francoforte, ha anche ribadito la posizione degli inglesi sul punto caldo della sovranità: quello che la difesa dei confini dello Stato e, quindi, della libera circolazione delle persone, è un diritto che il Regno Unito intende gestire autonomamente.

Anche su questo punto nulla di nuovo, essendo l’Europa come il premier inglese la descrive, ossia alcuni si sentono uniti e altri divisi; e  – quindi – di ciò va preso atto e va trovato il meccanismo per tenerla insieme, dato che è proprio tale meccanismo che manca o, meglio, per chi sta nell’euro, consiste solo nella paura del dopo, la quale funge da collante.

Un altro punto è l’affermazione fatta da Cameron,  il quale – salendo in cattedra – ha detto che gli inglesi si impegneranno a infilare nel DNA europeo il principio della libera concorrenza; il che, da un lato, suona come una critica alla politica commerciale dell’Unione; ma, dall’altro, ignora che il Regno Unito non muove obiezioni al protezionismo agropastorale. Evidentemente i DNA sono due e gli inglesi intendono operare solo su uno.

Ciò detto, è comprensibile che Cameron abbia aggiunto nel discorso a Chatam House – che ha preceduto di poco l’invio della lettera – che il suo cuore e la sua mente sono fermamente impegnati a difendere l’Unione Europea, perché quello che descrive è lo stato dell’Unione e, come esponente dei Conservatori, la sua posizione è più che coerente. Una volta che gli altri paesi europei lo avranno compreso, potranno anche archiviare la lettera, ma non ignorare che essa fotografa molto bene la realtà e, quindi, merita una risposta non banale, nè compromissoria (risposta, la cui ricerca probabilmente è già in atto a Bruxelles e nelle capitali dei paesi-membri).

 

Paolo Savona


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