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Concludere con stile e utilita’ i lavori della Commissione banche di Giorgio La Malfa e Paolo Savona

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In un precedente articolo scritto all’inizio dei lavori della Commissione parlamentare sulle banche, avevamo sostenuto che essa avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione sulla ricerca delle cause che avevano prodotto la crisi o che avevano impedito o ritardato interventi efficaci per limitare i danni ai risparmiatori e all’economia nazionale prima che la crisi precipitasse. L’accertamento delle responsabilità per l’accaduto – dicevamo – è materia su cui va rispettata la competenza della Magistratura senza confusione di ruoli con le attività delle Assemblee legislative.

In realtà nella Commissione le cose sono andate in tutt’altra direzione: nella gran parte dei rappresentanti politici nella Commissione sembra abbia prevalso la speranza che dai lavori emergessero elementi utilizzabili nell’imminente campagna elettorale. Forse era inevitabile vista la coincidenza di tempi fra i lavori della Commissione e la fine della legislatura. Ma dalle audizioni in realtà sono emersi almeno tre aspetti importanti in vista di una regolamentazione futura della materia. Il nostro augurio è che nella relazione conclusiva la Commissione si concentri su di essi.
È emerso chiaramente, in primo luogo, che normative e regolamenti esistenti non distinguono con precisione i rispettivi ambiti di competenza dei due grandi organi di controllo – Banca d’Italia e Consob – e non stabiliscono i modi in cui essi devono collaborare nella tutela del risparmio quando le loro competenze si sovrappongono.

In secondo luogo è evidente che non sono precisamente regolamentati gli obblighi per gli enti di controllo in materia di trasmissione al pubblico delle informazioni che essi acquisiscono nell’ambito delle proprie attività istituzionali.

In terzo luogo, infine, vi è una sovrapposizione fra la normativa europea e le normative nazionali che complica le cose. Il fatto che la normativa europea sia entrata in vigore mentre si manifestavano situazioni bancarie difficili per effetto della lunga crisi iniziata nel 2008 ha creato problemi e confusione ulteriori.
Gli effetti di questo insieme di problemi ricadono sull’organo di vigilanza, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, che si è trovato stretto fra una normativa ormai inadeguata e in via di evoluzione e una pressione politica della Presidenza del Consiglio che la gravità della crisi ha portato ad accentuare. Ci sembra dunque che vi sia materia sufficiente per indurre la Commissione a fornire un orientamento e delle linee di intervento legislativo e regolamentare da affidare al prossimo Parlamento ed al Governo sul modo di regolamentare il processo decisionale riguardante le crisi bancarie e finanziarie. È quanto ha chiesto, tra l’altro, il Presidente della Consob nella sua audizione. Se la relazione finale della Commissione affronterà questi temi, la sua istituzione si sarà dimostrata opportuna. E questo potrebbe anche rivelarsi utile anche nella definizione della materia in corso a Bruxelles.
Il primo problema – la circolazione delle informazioni fra Banca d’Italia e Consob – è antico. La tradizione della Banca d’Italia è che le informazioni raccolte nel corso delle ispezioni bancarie sono di sua esclusiva competenza. Essa non ne informa pienamente la Consob e neanche il Fondo Interbancario di tutela dei depositi, nonostante sia esso a pagare i costi e avrebbe eticamente diritto a conoscere i rischi che corre; anche perché le sue associate quotate in borsa devono accumulare fondi riserva adeguati per non incorrere in reati di falso in bilancio.

Questa situazione risale al vecchio assetto della Vigilanza che dava alla Banca Centrale il mandato di evitare il più possibile che notizie di situazioni bancarie difficili alimentassero fughe dai depositi e crisi finanziarie. Per cui si preferiva che la Banca, constatate le difficoltà di un operatore bancario, individuasse di fatto anche il “cavaliere bianco” chiamato a intervenire prima che la crisi si manifestasse in modo troppo aperto. Esisteva anche, in coerenza con questo sistema, la possibilità di un intervento del Tesoro, attraverso il cosiddetto decreto Sindona, per fare affluire dei fondi all’operatore chiamato ad intervenire nel salvataggio.

Tutto questo avveniva e per certi aspetti era opportuno che avvenisse senza troppa pubblicità, anche per evitare che qualcuno si avvantaggiasse impropriamente delle informazioni, come invece sembra sia avvenuto a proposito delle decisioni del governo sulle banche popolari. In ogni caso, bisogna prendere atto che questa procedura è stata superata dalla recente normativa europea che prevede solo meccanismi di risoluzione delle crisi bancarie che partono dalla constatazione e dalla piena informazione sulle crisi ed escludono i salvataggi bancari fatti alla vecchia maniera.

Il caso della Banca Etruria si è aggravato, rispetto al combinato effetto della cattiva gestione dei suoi amministratori e della crisi economica, perché il cambiamento delle discipline sui salvataggi bancari e sugli aiuti di stato è avvenuto mentre l’Istituto boccheggiava. Sarebbe bene che la Banca d’Italia, invece di difendere gelosamente tutte le proprie informazioni, si renda conto che dal tempo di Baffi e di Sarcinelli sono più i guai che le derivano da questa materia, che non le possibilità di svolgere meglio.

Il secondo problema riguarda le procedure da seguire una volta appurata la crisi di una banca. Nel mondo, quello non governato dagli uomini, ma da regole che invocavamo nel nostro precedente articolo, le soluzioni delle crisi sono decise da consessi collegiali dove confluiscono i diversi poteri; gli organi di controllo sono presenti, non sempre però con diritto di voto per evitare conflitti di interesse. Gli interessi strettamente politici sarebbero legittimati a esprimersi in quella sede, conciliandosi con gli altri. Il caso Banca Etruria è l’espressione più chiara di che cosa accade quando manca una sede istituzionale dove far confluire le diverse istanze che, perciò, prendono rivoli entro o fuori i limiti della decenza politica e giuridica.
Infine il problema delle informazioni sullo stato delle crisi. Questo è uno degli aspetti più delicati del problema che il Governatore Visco ha toccato, anche se non affrontato per esteso nella sua audizione. È lecito che la Banca d’Italia o la Consob, una volta entrate in possesso di notizie sulla precarietà delle banche e della società finanziarie nascondano questo fatto al depositante o al risparmiatore? La risposta implicita che viene da queste istituzioni è che vi è una giustificazione per la reticenza perché, se dovessero comunicare al mercato anche i primi segni di una situazione difficile, esse di fatto indurrebbero fughe di depositi o vendite precipitose di titoli che potrebbero causare crisi ‘sistemiche’. Si ritiene che il valore della stabilità monetaria e finanziaria debba fare premio sulla tutela del risparmio nelle varie forme, che la Costituzione prevede invece esplicitamente e senza sottoporla a una graduatoria discriminante.

Il Presidente Vegas ha parlato del fatto che occorre dare più spazio alla trasparenza rispetto alla stabilità. In realtà su questo punto l’Europa non riesce a conciliare le due istanze, come dimostra la vicenda del bail-in. In effetti, bisognerebbe dire con chiarezza– anzi sarebbe stato necessario dirlo al momento opportuno, quando venne proposto – che un’impostazione di mercato tipo quella che in America portò al fallimento di Merryl Linch richiede in maniera assoluta che vi sia una Banca centrale che sia a tutti gli effetti un prestatore di ultima istanza, un compito che finora non è stato attribuito alla BCE e che molti paesi europei non intendono conferirle.

La nostra tesi è che se si sceglie di condividere con il mercato tutte le informazioni anche le più negative, allora bisogna che vi sia una rapidità assoluta di interventi. I mesi trascorsi a cercare soluzione per le 4 popolari, le due venete, il Monte dei Paschi hanno aggravato di molto la crisi italiana. Va osservato che le vicende del passato che hanno riguardato la Banca d’Italia hanno indotto a stabilire che, se le autorità di controllo entrano in possesso di notizie criminis, devono avvertire la Magistratura, notoriamente un centro dove l’informazione non è poi così ‘blindata’. Se un rilievo politico noi dobbiamo muovere al Governo e alle autorità monetarie italiane è che pur dicendo ciascuna di esse che avevano delle riserve sulla nuova disciplina europea, di fatto la si è accettata, tanto che se ne sono pagate e se ne pagano le conseguenze.

In sostanza, la Commissione parlamentare dovrebbe concludere i suoi lavori indicando:
– le linee di una normativa che consenta di ottenere una collaborazione più stretta ed efficiente tra organi di vigilanza;
– la necessità di istituire un organo collegiale per la soluzione delle crisi bancarie e finanziarie;
– il diritto all’informazione piena da parte dei depositanti e dei risparmiatori in attività finanziarie accompagnato dall’attribuzione delle funzioni di lender of last resort alla BCE.
– Un fermo richiamo alle autorità nazionali che trattano con l’Europa a definire tempestivamente le posizioni italiane ed a valutare in modo più sistematico l’impatto delle normative europee sull’Italia.
Se la Commissione riuscirà a dare un contributo su questi aspetti, la sua istituzione troverà una giustificazione che va oltre le polemiche di questi giorni.

Giorgio La Malfa e Paolo Savona, Il Sole24 Ore, 28 dicembre 2017


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