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Politica

COMMENTO ALL’INTERVISTA DI MOSLER

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Premetto che, non avendo pensato di guardare alle edizioni in inglese, francese, tedesco o spagnolo di Wikipedia, per le idee di Mosler mi sono basato fondamentalmente su ciò che mi ha scritto, fra un insulto e l’altro, un molesto lettore. Poiché tuttavia delle sue facoltà di comprensione non ero sicuro, ho scritto nell’articolo: “sono pronto a riconoscere di avere mal inteso le sue teorie”. Dunque chi voleva contestarmi doveva innanzi tutto spiegarmi dove mi sbagliavo. E non l’ha fatto.

Ora “Scenarieconomici” ripubblica un’intervista con Mosler e sono felice di attingere direttamente alla fonte. Afferma Mosler (punto due) che non c’è “disoccupazione nei contesti in cui non esiste la valuta dello Stato e non c’è tassazione da parte dello Stato, e che la disoccupazione è il risultato di precise scelte politiche, e non una volontà divina”. La prima parte della frase è vera. La disoccupazione  è un fenomeno che può aversi soltanto in una società sviluppata. Nel mondo primitivo chi non può lavorare  o muore di fame o è nutrito dai suoi cari. Insomma, sono affari suoi. Del resto, anche oggi chi ha la vecchia nonna immobilizzata a letto la chiama “inferma”, non “disoccupata”. Al massimo, burocraticamente, “persona a carico”.

La disoccupazione è un fenomeno politico a partire dal momento in cui si ha uno Stato sviluppato, dotato di un’accurata burocrazia capace di raccogliere dati statistici, ecc. E un simile Stato, ovviamente non può non avere una valuta, imporre tasse, ecc. Fra l’altro, della disoccupazione ci si occupa da quando essa è considerata un problema politico: e questa qualificazione implica che sia compito dello Stato occuparsene. Ma non è sempre stato così. Per millenni, il fatto di perdere il lavoro è stato un fatto assolutamente privato. Più o meno come la malattia della nonna.

Scrivere poi che “ la disoccupazione è il risultato di precise scelte politiche, e non una volontà divina” è un modo tendenzioso di esprimersi. Infatti sembra che lo Stato decida coscientemente e volontariamente di creare la disoccupazione. Ma è ovvio che Mosler voleva al contrario dire che la disoccupazione si ha perché lo Stato è tanto sciocco da non intervenire come sostiene la MMT.

Mosler comunque prosegue: “l’azione politica del governo è in grado di ridurre i livelli occupazionali e le attività che creano ricchezza, e la rimozione di tali restrizioni può ripristinare tale creazione di ricchezza”. Anche questa frase è tendenziosa. Dire che lo Stato è in grado di far male (“ridurre i livelli occupazionali”) corrisponde quasi a dire che lo faccia volontariamente. Il che sarebbe stato difficile attribuire perfino a un dittatore demente.

L’assunto di Mosler – che lo Stato sia in grado di far aumentare facilmente i livelli occupazionali – va ancora dimostrato. Soprattutto va dimostrato in che senso, se lo Stato fa scavare e ricoprire le famose buche di Keynes, i lavoratori che avranno sudato poi mangeranno col frutto della loro fatica, e non piuttosto con gli alimenti prodotti da coloro che, durante quel tempo, lavoravano nei campi, non a scavar buche. Fuor di metafora: se gli investimenti dello Stato per creare lavoro (utilizzati direttamente o dati a privati ritenuti affidabili) sono produttivi, siano benedetti. Se non lo sono, si incrementa il numero delle persone che consumano senza produrre ricchezza. E nel frattempo, con Keynes, si incrementa la quantità di circolante.

Questo è un concetto fondamentale. Gli investimenti dello Stato  persino con denaro stampato e basta, potrebbero essere utili se fosse certo – ma assolutamente certo, e non è – che saranno produttivi. Infatti contribuirebbero a creare una ricchezza che per così dire “coprirebbe” la moneta introdotta in circolo. Purtroppo, da un lato assolutamente non è certo che gli investimenti dello Stato saranno produttivi – ché anzi l’esperienza va in direzione esattamente contraria – dall’altro è assolutamente certo che si è introdotto denaro in più in circolazione, spesso con sprechi e corruzione.

Mosler sarebbe un genio se trovasse il modo di far sì che gli investimenti dello Stato siano produttivi. Ma questo non può farlo nessuno. O, comunque, fino ad ora non lo ha fatto nessuno. Warren Mosler si è limitato a dichiararli produttivi per rescriptum principis.

Per quanto affermato al punto cinque, basterà dire in primo luogo che la proposta di questi provvedimenti è costantemente rigettata dalle autorità europee. Avranno torto loro, avrà torto Mosler, non sta a chi scrive dirlo. Ma di nessuno si può dire che abbia indubitabilmente ragione. La garanzia ufficiale sul debito sovrano dei vari Stati al massimo sarebbe soltanto la garanzia che, in caso di crisi di fiducia, i titolo saranno rimborsati al valore facciale, senza nessuna garanzia nei confronti dell’inflazione. Che è quello che tiene in piedi il Giappone, per così dire. Ma, in caso di crisi, tra rimborsare cento con potere d’acquisto cento, e rimborsare cento con potere d’acquisto sessanta, c’è una bella differenza. Inoltre: finanziare “un posto di lavoro di transizione per tutti” è tutt’altro che una novità; è il vecchio deficit spending keynesiano.

All’ottavo punto l’economista sostiene che, in presenza di un debito pubblico immane, e aumentato da una generosa politica di deficit spending, il debito sarebbe eventualmente “onorato”. Nessuno ne dubita. Ma in moneta svalutata. Infatti i beni cui la moneta corrisponde non aumenterebbero certo soltanto perché si è aumentato il deficit. E quell’inflazione – a parte gli enormi problemi economici che provocherebbe – sarebbe pagata innanzi tutto dai percettori di reddito fisso, operai, impiegati, pensionati, cioè dalle classi più deboli.

Gianni Pardo


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