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Claim pubblicitari: tra promessa e verità

Il claim pubblicitario è il cuore pulsante della comunicazione di marketing: una frase breve, incisiva e memorabile, studiata per evidenziare un beneficio specifico, un’unica qualità del prodotto o per imprimere nella mente del consumatore il valore del brand.
A differenza del payoff, che è permanente e definisce l’identità complessiva dell’azienda (“Just Do It” di Nike), il claim è generalmente temporaneo e legato a una singola campagna promozionale (“Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lucano!”). Tuttavia, il confine tra l’affermazione persuasiva e l’inganno è sottile, ed è per questo che il claim è strettamente regolamentato dalla legge.
Tipologie e funzioni del claim
Un claim efficace deve essere pertinente, chiaro e orientato al beneficio. Sebbene esistano molte sfumature, i claim si possono categorizzare in base alla loro funzione. I claim di beneficio (o funzionali) evidenziano un vantaggio diretto e pratico del prodotto, come l’indicazione di un antiacido che “agisce in 10 secondi”.
I claim pubblicitari di performance sottolineano le prestazioni, spesso attraverso dati misurabili, ad esempio un’auto che vanta “Da 0 a 100 km/h in 4 secondi”. Quelli di differenziazione mirano a distinguere il prodotto dalla concorrenza, enfatizzando una caratteristica unica, come un caffè che si definisce “con il 30% di chicchi in più”.
Infine, i claim comparativi mettono il prodotto a confronto con i concorrenti o con una versione precedente, ma sono soggetti a regole molto rigorose per garantire l’equità del confronto. Esiste poi l'”Hyperbole” o Puffery, un’esaltazione esagerata e soggettiva (come “il miglior caffè del mondo”), che è tollerata purché il consumatore medio sia in grado di riconoscerne la natura non letterale e puramente elogiativa.
La regolamentazione: il Codice del Consumo e l’AGCM
In Italia, la pubblicità e i suoi claim sono regolati principalmente dal Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005) e dal Codice di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), il cui rispetto è vigilato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Il principio fondamentale è la veridicità: qualsiasi affermazione oggettiva fatta in un claim deve essere supportata da prove scientifiche o test validi che il professionista deve poter fornire su richiesta. Le pratiche commerciali sono considerate scorrette se risultano ingannevoli, ovvero se inducono in errore il consumatore medio, anche attraverso omissioni, su aspetti essenziali del prodotto come caratteristiche, prezzo o rischi. L’uso di claim troppo generici e privi di un’adeguata dimostrazione rientra in questa categoria.
Le pratiche sono scorrette anche se aggressive, se limitano cioè la libertà di scelta del consumatore attraverso molestie, coercizione o indebito condizionamento. Un esempio di violazione è la pubblicità occulta o subliminale, sempre vietata, e la denigrazione dei prodotti altrui.
L’emergenza del “Green Claim” e il Greenwashing
Con la crescente sensibilità ambientale, i claim sulla sostenibilità (Green Claim) sono diventati centrali, ma anche ad alto rischio di inganno. Il fenomeno del Greenwashing si verifica quando un’azienda utilizza affermazioni ambientali vaghe, generiche o non provate per creare un’immagine “verde” che non corrisponde alla reale sostenibilità del prodotto o dell’attività.
Affinché un Green Claim sia lecito, deve essere anzitutto specifico e inequivocabile, evitando termini generici come “ecologico” o “amico dell’ambiente” senza specificare il beneficio concreto, ad esempio “imballaggio riciclabile al 90%”. Deve poi essere veritiero e rappresentativo, basato su dati scientificamente verificabili e non deve omettere gli impatti negativi rilevanti del ciclo di vita del prodotto.
Infine, deve essere significativo, non esaltando un obbligo di legge come fosse un tratto distintivo, ad esempio dichiarare “senza CFC” quando il loro uso è già vietato per legge. La regolamentazione, in particolare a livello europeo (come la proposta di Direttiva sui Green Claims), si sta muovendo per imporre standard di prova più rigorosi e l’uso di certificazioni chiare per contrastare attivamente il greenwashing e tutelare la fiducia dei consumatori.

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