Attualità
Cina e Russia si prendono gas e petrolio iracheno
La Cina ha continuato a portare a casa il vantaggio geopolitico concessole in Iraq dopo la fine ufficiale della “missione” degli Stati Uniti nel Paese il 9 dicembre 2021, con la conclusione di tre enormi accordi, tutti incentrati sul settore petrolifero.
La “finalizzazione” della scorsa settimana dell’accordo di 25 anni per la China Petroleum & Chemical Corporation (Sinopec) per acquisire una quota del 49% nel giacimento di Mansuriya, con il resto detenuto dalla Midland Oil Company statale irachena, ha seguito l’annuncio iniziale di un accordo generale dell’aprile 2021 che ha sorpreso molti, dato l’interesse di lunga data della Russia per i progetti di sviluppo del gas in quella regione dell’Iraq. In realtà questa scelta non è da vede come una contrapposizione fra Mosca e Pechino, ma come una divisione del bottino petrolifero. La divisione viene fatta con un criterio semplice: se il paese chiede un aiuto militare, allora le concessioni vanno alla Russia, se non ne ha bisogno, vanno alla Cina.
Estremamente vicino al confine iraniano, e appena a nord di Baghdad, il giacimento di gas di Mansuriya ha una stima di 120 miliardi di mq di gas di riserve, rendendolo di per sé un prezioso deposito di gas. Il suo significato più ampio per la Russia – e, per estensione, per la Cina – è duplice. In primo luogo, l’Iraq aveva sempre cercato di offrire insieme i tre campi di Mansuriya, Akkas e Siba come un unico pacchetto di sviluppo. Questi tre siti formano un triangolo asimmetrico attraverso il sud dell’Iraq, che si estende da Mansuriya vicino al confine orientale con l’Iran, fino a Siba a sud (estremamente vicino al principale snodo di esportazione iracheno di Bassora), e poi fino ad ovest fino ad Akkas (estremamente vicino al confine con la Siria).
Questo triangolo avrebbe dovuto essere collegato a una via di transito che correva da Bassora alla Siria, e in gran parte scompariva nella desolata provincia irachena di Anbar, un luogo così violento e imprevedibile da essere persino evitato, ove possibile, per il pericolo dell’ISIS. Questa rotta è quella che le forze armate statunitensi chiamavano “la spina dorsale” dello Stato Islamico, dove l’Eufrate scorre verso ovest in Siria e verso est nel Golfo Persico, estremamente vicino al confine con l’Iran. Ora questo è diventato un punto nevralgico per i russi in Siria, e per la “Belt and road” cinese.
Questo è esattamente il motivo per cui, a settembre 2019, è stato firmato un contratto preliminare tra la russa Stroytransgaz e il ministero del Petrolio iracheno per sviluppare il Block 17, finora praticamente sconosciuto, poiché il Block si trova proprio nel mezzo di questa “spina dorsale” islamista. “Lungo la spina dorsale che va da est a ovest ci sono le città storiche ultranazionaliste e ultra-anti-occidentali di Falluja, Ramadi, Hit e Haditha, e poi siamo in Siria, e un breve salto ai porti di Banias e Tartus che sono di vitale importanza per i russi e la stazione di ascolto vicino a Latakia”, ha affermato una fonte iraniana. “La presenza russa, o cinese se gestita con la Russia, consentirebbe anche la costruzione del sistema di oleodotti e gasdotti Iran-Iraq-Siria, e la libera circolazione dei prodotti degli idrocarburi – o altro – sia a sud che al mercati dell’Asia o della costa orientale dell’Africa o dell’ovest del Mediterraneo e oltre”.
Quindi quello che era impossibile per gli USA, troppo odiati, diventa quasi facile per il consorzio informale russo cinese. La politica disastrosa del duo Bush Obama ha causato troppa ostilità ed ora taglia fuori l’Occidente da una delle zone petrolifere più rilevanti al mondo. Noi stiamo a guardare
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