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Chi è Matteo Renzi?

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Chi è Matteo Renzi? Per rispondere non basta sapere che è il sindaco di Firenze e che nel Pd si candida a tutto. Bisognerebbe sapere che cosa pensa, che programmi ha, dove condurrebbe il Pd e l’Italia, se gliene affidassero la guida. Ma è esattamente ciò che non sappiamo. Fino ad oggi di questo politico abbiamo visto soltanto lo stile: quello di un grande comunicatore. Di uno che sa parlare con semplicità ed efficacia, lontano dal politichese, e che riesce a snocciolare migliaia di parole suggestive senza dire in sostanza niente di niente. Questa l’impressione, sia se uno l’ha ascoltato nel breve flash di un telegiornale, sia se ha avuto la pazienza di starlo a sentire per ore.

Da questo non si può dedurre che non abbia idee, che è insignificante, che è fatuo. Sarebbe un errore. Un errore che ha commesso D’Alema quando lo ha paragonato a Virna Lisi: “Con quella bocca può dire ciò che vuole”. Proprio lui dovrebbe sapere meglio di altri che la bocca conta eccome. Se è stato lungi dal fare la carriera che avrebbe potuto fare è perché, pur se gli altri e perfino gli avversari gli hanno sempre manifestato stima intellettuale, la sua capacità di essere “antipatico” e di farsi dei nemici ha prevalso su tutto. Tanto che è rimasto un ottimate pugliese.

Renzi potrebbe essere uno sciocchino e potrebbe essere un genio. Se fosse un genio potrebbe aver capito che in politica prima si conquista il comando e poi lo si usa a modo proprio. Anche diversamente da come si era promesso. O addirittura come non lo si è neppure promesso, cioè facendo una campagna elettorale del tutto vacua, insignificante, elusiva. Fatta di colori e non di forme. Abbiamo un esempio preclaro, in materia: Barack H.Obama è un Presidente che in vita sua ha solo proclamato ovvietà con la sua voce rauca, per il resto rimettendosi a chi ne sapeva più di lui. Questo quando è andata bene. Infatti è andata male quando ha voluto agire da sé, seguendo le sue utopie infantili, come nel caso delle aperture agli arabi  e delle minacce alla Siria per le armi chimiche.

Renzi ha capito che i personaggi del Pd sono supremamente antipatici e che questo, nell’era della televisione, è un errore imperdonabile. E dire che la strada giusta tutti l’hanno avuta sotto gli occhi, per anni: il  capo del Pdl è un quasi ottantenne senza un capello bianco e un brillante intrattenitore che ha costantemente sorriso. Il Pd invece ha avuto il farfugliante e sdentato Prodi, il calvo e vagamente rurale Bersani, l’accigliato e inconsistente Franceschini, il velenoso D’Alema e la grigia Bindi. Dunque il giovane sindaco ha capito che doveva adottare tutt’altra formula. Doveva approfittare del suo bell’aspetto. Doveva essere cordiale, sorridere sempre, non mostrarsi mai supponente e presentarsi come una sorta di underdog, un povero ragazzo che, novello Davide contro Golia, vuole affrontare con il suo ingenuo entusiasmo il Moloch del partito. Eccellente narrazione, direbbe il caricaturale professor Vendola.

In tutto questo dov’è il programma? Domanda sbagliata. Innanzi tutto si può divenire Presidente degli Stati Uniti senza un programma, semplicemente promettendo che “andrà meglio”. In secondo luogo e soprattutto, quanto più il programma è rivoluzionario, tanto più bisogna tenerlo nascosto. Renzi potrebbe essere un fuoco di paglia ma potrebbe essere un Gorbaciov che arriva alla massima carica per poi svelare che vuole distruggere il mondo che l’ha portato fin lì. Non lo sappiamo.

Questo modo di conquistare il potere è concettualmente semplice, il difficile è attuarlo. Renzi fino ad ora c’è riuscito. Intanto, rendendosi simpatico, ha fatto pensare a tutti che potrebbe vincere. E ciò ha cambiato lo scenario. Un anno fa i colleghi di partito lo disprezzavano e lo trattavano addirittura da berlusconiano, ora tengono d’occhio i sondaggi e il loro tono è completamente cambiato. La prospettiva di un suo successo li ha automaticamente trasformati in alleati: sperano infatti di condividere una parte del bottino. Quanto agli ideali, al programma vero e a quello di facciata, sono cose secondarie. Nel Pd come in qualunque altro partito la cadrega viene prima.

La conclusione è semplice: non sappiamo chi sia Matteo Renzi. Ma i suoi compagni di cordata – se hanno a cuore l’Italia – farebbero bene a saperlo. Almeno loro.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

29 ottobre 2013


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