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CHI E’ IL VERO COLPEVOLE DELLA CRISI ILVA? LEGGETE E SCOPRITELO…

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Lo stabilimento ILVA di Taranto è un enorme rebus economico, ambientale e sociale. La crisi aziendale suscitata dagli indiani ha portato in evidenza questo contrasto, che sembra nascere dalla questione dello “Scudo Penale” unito alla crisi mondiale  del settore dell’acciaio. Però questo è solo l’ultimo capitolo di una storia lunga, di cui può essere interessante ripercorrere alcuni passaggi precedenti. Quando l’acciaieria fu tolta all’ILVA, in modo giusto o scorretto lo deciderà la magistratura, furono espressi dei piani aziendali .

Quando l’ILVA fu tolta ai Riva vi fu una figura di congiunzione nel passaggio fra la vecchia e la nuova gestione, il noto manager e risanatore aziendale Enrico Bondi. Il noto personaggio del’economia fu nominato Amministratore Delegato dalla Riva nell’aprile 2013, poco prima il sequestro dell’impianto e di fondi per 8,1 miliardi complessivi, per poi essere scelto come commissario da parte del governo Letta. Bondi lavorò quindi alla predisposizione dell’ultimo vero piano aziendale per l’acciaieria come società autonoma economicamente ed ambientalmente gestibile, e punto tutto sull’applicazione delle nuove tecnologie.

Il suo piano di ristrutturazione prevedeva una riforma  profonda del ciclo produttivo, con l’abbandono completo, o quasi, del’utilizzo del carbone. La tecnologia la spiega bene questo articolo de l’Espresso, in cui il professore milanese di siderurgia Mapelli lo descrive in modo semplice : si tratta di  un procedimento chimico, il minerale di ferro viene esposto all’azione di monossido di carbonio e di idrogeno. Si ottiene così un prodotto con una più elevata concentrazione di ferro metallico, che può essere caricato nell’altoforno con un minore impiego di coke (il combustibile derivato dal carbone, ndr), oppure utilizzato nei forni elettrici al posto del rottame». Si tratta di una tecnologia che permette, volendolo, di eliminare completamente il carbone e di procedere con altre tecnologie.

Bondi è laureato in chimica, quindi in grado di cogliere gli aspetti tecnici del processo in modo attento. Si tratta di un procedimento che richiede la disponibilità di una grande quantità di gas naturale in quel momento di non immediata disponibilità, ma ora il problema non si pone, dato che la TAP arriva proprio in Puglia. Bondi lavorava su un  piano che permettesse il ritorno in utile, con un impianto efficiente al 2020 con un costo complessivo di circa 4,3 miliardi di euro, ed aveva il vantaggio di conservare la produzione in modo efficiente ed ambientalmente accettabile. Il piano era molto complesso,  una vera e propria scommessa che poteva essere vincente o perdente, e che si basava anche su un sostegno del sistema bancario e su fondi che dovevano essere recuperati dall’ILVA. Una situazione molto complessa, ma in quel momento l’unica percorribile.

Poi, ci fu il cambiamento.

La fine del governo Letta ed il subentro di Matteo Renzi portò ad un completo cambio di rotta. Enrico Bondi viene dimissionato ed il 6 giugno 2014 gli subentra Pietro Gnudi, ex IRI, che mette a parte il piano di Bondi per la decarbonizzazione e si dedica subito alla ricerca di un partner a cui vendere l’azienda, proseguendo nel frattempo con un piano aziendale che andava avanti con la produzione di acciaio su via ordinaria, pur nel rispetto dei limiti ambientali. Il piano ha condotto alla copertura dei depositi minerali ed alla cessione ad Arcelor Mittal, ma ci ha anche condotto alla chiusura dell’impianto. Il piano industriale Gnudi era già un piano industriale perdente in prospettiva perchè tollerabile solo in una situazione di mercato dell’acciaio in crescita, cosa che già nel 2016 sembrava improbabile, data la concorrenza cinese, e che ora sembra impossibile, stretti fra crisi del settore auto e concorrenza dell’acciaio turco che, non esportando più negli USA, ci invade a prezzi assurdi, nonostante le quote.

Il piano Bondi era rischioso ed in quel momento costoso, ma puntava al futuro. La critica riguardo l’utilizzo del Gas Naturale si è rivelata miope per almeno tre motivi:

  • la disponibilità già all’epoca di contratti take or pay a costi di fornitura molto bassi;
  • l’andamento dei prezzi mondiali del gas naturale, in forte ribasso;
  • la realizzazione della TAP e presto anche del nuovo gasdotto sud mediterraneo, che renderanno la Puglia un hub europeo nella fornitura di gas naturale

Bondi fu sacrificato perchè:

  • lo stato voleva risparmiare un po’ di liquidità;
  • era in contrasto con la famiglia Riva che lo vedeva come un  traditore.

Appare però evidente che la situazione  attuale è figlia della scelta del governo Renzi, di dismettere lui ed il suo piano a favore di un piano molto più semplice , ma che dopo soli 4 anno rivela la sua completa, totale fallacia. Renzi volle l’uovo subito, qualche investimento in meno, e rinunciò alla gallina di un settore siderurgico moderno, ed ambientalmente tollerabile. Ora si straccia le vesti perchè l’ILVA rischia di chiudere, anzi quasi sicuramente chiuderà a fine settimana, ma il responsabile è, soprattutto, lui.

 


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