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CHI È IL COLPEVOLE PER ANDREAS LUBITZ

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Se muore qualcuno, è naturale che si cerchi un colpevole. La spinta è tanto forte che, quando proprio non si trova nessuno, si parla del destino, della fatalità, perfino del malocchio (biblicamente: “maledizione”). Fino a fare dei discorsi assurdi: “Se soltanto mi avesse ascoltato, e avesse deciso di non andarci…!” Poi ci sono quei rappresentanti della sensibilità sociale che sono i magistrati i quali i colpevoli li cercano sul serio. Si chiedono se per caso, conoscendo a memoria l’intero scibile della medicina, e senza essere turbato dalla ressa, il medico del pronto soccorso non avrebbe potuto salvare il ragazzo; se il direttore dei lavori poteva assaggiare il cemento, per vedere se c’era troppa sabbia. Infatti nessun professionista, magistrati a parte, ha il diritto di sbagliare.
E se ciò si verifica quando la vittima è soltanto una, figurarsi quando sono 149, e tutte perfettamente innocenti, come è avvenuto nel caso del copilota che ha fatto schiantare sulle Alpi l’aereo della Germanwings. In assenza di un guasto meccanico, l’opinione pubblica ha immediatamente trovato un colpevole in chi non ha capito che quel giovane Andreas Lubitz era pericoloso e bisognava tenerlo lontano dalla cabina del jet. Domani, c’è da starne certi, qualche magistrato incolperà gli psicologi e gli psichiatri.
In questi casi viene in mente il modo in cui Montaigne difese Raymond de Sebonde, il quale sosteneva che fede, filosofia e natura non erano inconciliabili. Il poverino rischiò di essere irriso e il grande Michel non sostenne che i suoi argomenti erano validi, dimostrò soltanto che quelli degli oppositori non valevano molto di più. Analogamente qui non si tratta di dimostrare che il giovane era malato di mente e che gli psichiatri se ne sarebbero dovuti accorgere; e neppure che era sano di mente, dichiarando del tutto imprevedibile ciò che ha fatto. Più semplicemente si deve riconoscere che l’errore sta a monte.
Chiunque abbia mai visitato una istituzione in cui sono ricoverati dei veri malati di mente ne esce sconvolto. Lì si misura la distanza di questi sfortunati dall’amico che poco prima avevamo incautamente definito “un cretino”: il pover’uomo è più vicino al genio che a quei rottami umani. Ma nella realtà quotidiana la maggior parte degli psichiatri non si occupa di conclamati malati di mente ma di persone che, in confronto, soffrono di mali minori e opinabili. Manie, complessi, ossessioni, depressioni, comunque si voglia chiamare il male di vivere. In questa fascia della popolazione la diagnosi confina spesso con la statistica e la prognosi con la divinazione. Né più tranquillizzanti sono le perizie giudiziarie. A volte sono dichiarati incapaci di intendere e di volere degli assassini che prima e dopo il delitto tutti considerano “normali”, e che considerano normali sé stessi. Erano veramente incapaci di intendere e di volere, al momento del fatto? I magistrati si scaricano di ogni rimorso affidando la responsabilità agli psichiatri, ma è più volte avvenuto che un colpevole, dichiarato “non pericoloso” dai competenti, sia poi uscito di galera e abbia di nuovo ammazzato qualcuno.
Gli psichiatri sono colpevoli? No, non lo sono. Ne sanno più dell’uomo della strada, indubbiamente, ma aspettarsi da loro una vera certezza è stupido. La loro scienza non è ancora a questo punto. Se un Andreas Lubitz, che anni fa aveva avuto una depressione, oggi uccide, è inutile dire che gli psichiatri hanno sbagliato. Sbaglia chi dice che tre per tre fa dieci, perché questo è facile: ma chi può entrare nella testa di uno che era depresso, sei anni fa? Diversamente bisognerebbe escludere dal consorzio civile e da ogni lavoro, anche quello di conducente di un autobus, chi anni fa ha commesso l’imprudenza di dire ad uno psichiatra di non avere più voglia di vivere. Un’imprudenza che molti non commetterebbero più.
La conclusione non è un semplice “volemose ben”. È naturale che ci si chieda che cosa si può fare per tutelarsi contro le immani tragedie che può provocare la follia. Ma non si può pretendere che da una visita psichiatrica discenda una verità intangibile e sicura, tanto da poter condannare come incompetente un professionista. Egli ha soltanto fatto il possibile, in buona fede, esattamente come il magistrato che si convincesse, anche lui in buon fede, della colpevolezza di un innocente. Ma già, ciò non è mai avvenuto. È anche per questo che è stata considerata scandalosa la proposta di qualcuno di sottoporre a visite psichiatriche periodiche anche i magistrati.
Gianni Pardo, [email protected]
27 marzo 2015


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