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Euro crisis

Care PMI italiane, Draghi ha detto che dovete morire! (di Antonio M. Rinaldi)

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La lunga audizione di Mario Draghi presso le Commissioni riunite di Finanze, Bilancio e Politiche dell’UE della Camera, permette di fare alcune considerazioni che coinvolgono specificatamente il nostro Paese e fanno capire meglio quale sia ormai la strada che ha irreversibilmente imboccato l’Europa.

 

E’ inutile soffermarsi più di tanto sulla bontà che il Presidente della BCE ha attribuito agli stimoli monetari messi in atto ultimamente, e in particolare al QE, per cui a suo dire gli effetti positivi già possono evidenziarsi in quanto “il Btp decennale eccedeva il 7% alla fine del 2011 e lo spread a 500 punti base ed è esattamente quello che per 15 anni noi italiani abbiamo pagato prima di entrare nell’euro ed è un elemento utile per chi volesse fare paragoni”. Ma ormai sappiamo bene che il cosiddetto “fenomeno dello spread” ha radici e motivazioni ben diverse, poiché il differenziale fra il rendimento di titoli con stesse caratteristiche nell’ambito dell’area euro, è ormai acclarato dipenda esclusivamente dalla percezione che i mercati danno alla volontà dei rispettivi governi di rispettare o meno le regole e imposizioni provenienti dalla Troika ai fini della sostenibilità dell’euro. Quest’ultima utilizza proprio “l’arma ricattatoria” dello spread nel caso in cui vi siano degli “indisciplinati” che non vogliono o riescono a rispettarle. Fare paragoni pertanto invocando lo spread con quando coesistevano ancora le valute nazionali (ad iniziare dalla nostra lira), è un po’ come mettere in relazione le pere con le mele.

 

Infatti attualmente che valenza ha, seguendo lo stesso ragionamento di Draghi, costatare che i decennali statunitensi hanno uno spread superiore di quelli italiani di 70 punti base e di 20 punti base con quelli inglesi visto che loro si avvalgono rispettivamente del dollaro e della sterlina e noi dell’euro? Devono anche loro procedere speditamente verso riforme strutturali per compensare il gap di spread nei nostri confronti per non parlare di quello con la Germania? Oppure anche la Corea del Sud, che attualmente viaggia a colpi di incrementi del PIL intorno al 2,8/3,3% e con tassi di disoccupazione al 3%, deve correre ai ripari con profonde riforme strutturali visto che i loro decennali hanno un differenziale negativo nei confronti dei Bund tedeschi di ben 200 punti base o è meglio che seguano il loro modello che si avvale di autonome scelte di politica economica e monetaria supportate e possibili solo dalla piena Sovranità?

 

La stessa affermazione di Draghi a giustificazione che il declino italiano non è da imputare all’euro in quanto si era già passati da un +2,5% di PIL dei primi anni novanta al +1,5% nel 1999, anno dell’introduzione dell’euro, per poi registrare ai nostri giorni percentuali nulle, lascia alquanto basiti anche i meno esperti in economia in quanto è strapalesemente arcinoto che il la perdita della capacità produttiva e industriale italiana è iniziata proprio per il rispetto delle convergenze macroeconomiche previste per adottare l’euro! Tutte le volte che la nostra economia è stata condizionata da vincoli esterni ad iniziare dallo SME è andata male, mentre nei sempre minori spazi di autonoma “libertà” è sempre andata meglio! Infatti per poter far parte del “club” dell’euro abbiamo dovuto modificare radicalmente il nostro modello economico verso regole di convergenza sempre più restrittive e penalizzanti per il nostro “Sistema Italia” che hanno progressivamente fatto perdere irreversibilmente la nostra competitività! Quindi è stato proprio l’euro e le sue regole ad aver condannato il destino industriale (e non solo!) dell’Italia e la sortita del Presidente della BCE è stata potuta “sparare” perché evidentemente sapeva di poter contare sulla scarsa “memoria” dei parlamentari presenti.

 

Ma di tutto il discorso di Mario Draghi il passaggio che ha lasciato più perplessi e sconcertati è che abbia candidamente ammesso che “Trincerarci nuovamente nei confini nazionali non risolverebbe nessuno dei problemi che abbiamo di fronte. In Italia vi è un’alta concentrazione di micro-imprese a produttività inferiore alla media, con una regolamentazione che le incentiva a rimanere piccole. La Bce guarda con favore alle iniziative per ridurre il peso delle partite deteriorate delle banche perché ciò libera risorse a beneficio delle imprese. La Bce è favorevole a una Bad Bank”.

 

Con queste affermazioni finalmente è stato ammesso, senza fraintendimenti od equivoci, che il sistema industriale italiano, da sempre composto per il 90% dalle PMI, DEVE MORIRE, perché nel modello euro è prevista la sopravvivenza e il supporto delle istituzioni comunitarie solamente ai grandi agglomerati e alle multinazionali non essendoci spazi per le piccole realtà. Ha di fatto confermato che il disegno che ha portato alla condivisione di una moneta unica, oltre a contemplare la volontà di neutralizzare la formidabile forza e capacità del tessuto industriale italiano, era concepito affinché la competitività passasse dalla svalutazione interna, cioè dalla riduzione dei salari, non realizzabile se non con il potere contrattuale che solo le grandi imprese possono avere in quanto si avvalgono da molto tempo di insediamenti produttivi in qualsiasi parte del pianeta per effetto della globalizzazione senza regole.

 

Il nostro modello di PMI era l’unico capace per le sue innate caratteristiche di poter infastidire la Germania e la Francia e che per la totale incapacità delle nostre classi dirigenti che si sono alternate nelle fasi di definizione degli accordi europei, non hanno saputo preventivamente intuire che la nostra industria sarebbe stata l’agnello sacrificale da immolare sull’altare di Maastricht. Il prezzo da pagare dal nostro Paese perché richiesto da chi ha scritto, deciso e imposto le regole affinché si realizzasse il famoso “barattofra l’abbandono al marco e il nullaosta per la riunificazione.

 

Lo dica chiaramente il Presidente della BCE che il modello industriale italiano, che ci ha consentito di scalare i vertici delle classifiche dei paesi più industrializzati del mondo, è destinato a soccombere e con esso la stessa identità dell’Italia che sempre meno si riconosce da ciò che proviene da Bruxelles, Francoforte e Berlino. Lo dica apertamente che le Bad Bank sono gradite alla BCE perché prevedono solo ed esclusivamente l’ausilio ai crediti deteriorati dei grandi “debitori” delle banche lasciando fuori dalla porta la piccola impresa, gli artigiani, i commercianti, i semplici cittadini, con la beffa poi che si richiede il contributo attivo della garanzia dello Stato, cioè della collettività considerata a tutti gli effetti i veri ed unici prestatori di ultima istanza per mezzo della fiscalità in questo “folle” euro sempre più a difesa di pochi e a danno di molti!

 

Morta la PMI, muore l’Italia.

 

Antonio Maria Rinaldi


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