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Bus Soli

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Il bus incendiato da un cittadino italiano di origine senegalese ha riproposto con prepotenza il tema della cittadinanza italiana e di come, e quando, concederla. E subito ha scatenato le reazioni isteriche e risentite dei grandi giornaloni. L’argomento (a favore dello ius soli) più ebete e più gettonato – forse più gettonato proprio perché più ebete – è stato il seguente: se date la cittadinanza onoraria a Rami, il ragazzino egiziano cui si deve l’allerta alle forze dell’ordine (e quindi la salvezza dell’intera scolaresca), allora perché non la meritano, parimenti, tutti i coetanei di Rami sparsi sul territorio nazionale? La risposta più logica e meno gettonata – forse meno gettonata proprio perché più logica – sarebbe: non la meritano tutti perché quella eventualmente data a Rami sarebbe “onoraria”, cioè eccezionale. Ma le autorevolissime penne dell’intellighenzia progressista, non si danno per vinte e contrattaccano: già che ci siamo, e vi siete resi conto di come i bambini stranieri siano buoni, bravi e intelligenti quanto (se non più di) quelli italiani, allora approvate lo ius soli una volta per tutte e facciamola finita. Della serie: la razionalità, questa sconosciuta.
 
Lo ius soli, infatti, concettualmente prevede la concessione della cittadinanza a tutti coloro che, per caso, accidente, fortuna, sfortuna, o calcolo dei propri genitori stranieri, nascono in territorio italiano. Diciamo che – nell’ideale classifica delle idee più stupide degli ultimi anni – questa, date le contingenze della storia e della cronaca, merita il gradino più alto del podio: uno spettacolare incentivo alla immigrazione incontrollata in un periodo in cui l’immigrazione incontrollata costituisce un’emergenza nazionale. Che poi uno si chiede: ma il tema non è già stato disciplinato? Certo che sì; attraverso una legge equilibratissima del 1992 che consente ai minori ininterrottamente residenti in Italia dalla nascita di acquistare la cittadinanza al compimento della maggiore età. E cioè nel primo momento utile per poter esercitare le uniche prerogative (quelle politiche, di elettorato attivo e passivo) che distinguono un cittadino da un non cittadino. Se lo si vuole, beninteso: l’acquisto della cittadinanza è subordinato anche all’accettazione del beneficiario che può, in teoria, declinare l’invito.
 
Ora, i ragazzini di altre nazionalità sono forse discriminati nel lasso di tempo necessario a maturare tale diritto? In nulla e per nulla. Hanno gli stessi identici diritti (studio, sanità eccetera) dei loro coetanei italiani. E sono degni dello stesso rispetto. O forse, i cultori dello ius soli pensano che un bimbo italiano vale più di uno bengalese o keniota? Ma allora facciano outing e confessino il loro razzismo. Perché la verità, in materia, è una sola: la cittadinanza, per uno straniero, non può mai essere un regalo automatico legato al ‘dove’ egli nasce, ma deve, semmai, essere sempre l’epilogo di un percorso connesso al ‘come’ e al ‘quando’ egli si è integrato nel paese di cui desidera il passaporto. Se la riteniamo un bene prezioso, è più che giusto concederla con equilibrata e lungimirante parsimonia. Lo ius soli, invece, la svende. Ed è per questo preciso motivo che tale riforma viene fieramente rivendicata come prioritaria da un partito italiano che si sente prima europeo e poi, forse, ma molto sottovoce, italiano e da un ceto nostrano di intellettuali che si sente prima intellettuale e poi, forse, ma molto sottovoce, nostrano.
 
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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