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Burocrazia UE colpisce ancora: Exxon blocca 100 milioni di investimenti “verdi”

Il paradosso verde dell’Europa: norme troppo rigide spingono Exxon a bloccare 100 milioni di investimenti nel riciclo della plastica, un segnale che l’industria sta fuggendo dal continente e lo lascia senza economia circolare e senza lavoro

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Exxon Mobil Corp., il colosso energetico statunitense, ha deciso di premere il tasto “pausa” su investimenti per circa 100 milioni di euro destinati al riciclo chimico della plastica in Europa. I progetti, previsti nei poli strategici di Anversa e Rotterdam, sono stati congelati a tempo indeterminato. Il motivo? Un eccesso di regole e burocrazia da parte dell’Unione Europea.

La notizia arriva direttamente da Jack Williams, Senior Vice President di Exxon, che in un’intervista ha espresso tutta la sua frustrazione. “Trovo la cosa un po’ ironica, dato che l’UE sta assumendo un ruolo di leadership nella decarbonizzazione, e noi abbiamo un’intera divisione aziendale creata proprio per questo, eppure non riusciamo a trovare investimenti competitivi da fare in Europa”, ha dichiarato Williams. In pratica, un gigante dell’energia pronto a investire in tecnologie per l’economia circolare viene fermato proprio dalle normative pensate per promuoverla.

Senza una modifica delle regole comunitarie, i progetti per riciclare 80.000 tonnellate di rifiuti plastici all’anno rimarranno nel cassetto.

Il pomo della discordia: direttive troppo rigide

Il malcontento industriale verso le normative di Bruxelles non è una novità. Lo stesso Mario Draghi, nel suo recente rapporto sulla competitività, ha sottolineato come l’UE non riesca a “tenere il passo” con un ordine globale in rapido cambiamento. Ma cosa ha fermato Exxon nello specifico?

  1. Riciclo Meccanico vs. Chimico: L’UE tende a favorire il riciclo meccanico tradizionale, considerandolo meno inquinante ed energeticamente più efficiente. Tuttavia, questo approccio, secondo Exxon, non è in grado di trattare molti tipi di plastica complessa, che finiscono inevitabilmente in discarica o negli inceneritori. Il riciclo chimico, invece, permetterebbe di recuperare questi materiali.
  2. La Direttiva CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive): Questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La direttiva, pensata per ripulire le catene di approvvigionamento e imporre piani di transizione climatica, viene vista da Williams come un ostacolo insormontabile.

Il problema principale della CSDDD risiede nell’obbligo per le aziende di rendicontare e impegnarsi a ridurre le emissioni di “Scope 3”. Ma cosa sono? Si tratta delle emissioni indirette che un’azienda non controlla direttamente, come quelle prodotte dai suoi fornitori o dall’uso dei suoi prodotti da parte dei clienti finali. Però attenzione, qui parliamo di rifiuti plastici, i cui fornitori, i produttori e raccoglitori di plastica, non lavorano net zero, senza contare che spesso si tratta di prodotti importati.

Secondo il top manager di Exxon, imporre obiettivi su queste emissioni è semplicemente irrealizzabile allo stato attuale della tecnologia e delle politiche di supporto. “Le tecnologie non sono ancora disponibili per raggiungere l’obiettivo ‘net zero’ sulle emissioni di Scope 3 in molti settori industriali”, ha spiegato Williams. La conclusione è lapidaria: “L’unica scelta è ridurre o cessare le operazioni”.

Un segnale d’allarme per l’Europa

La presa di posizione pubblica di Exxon  rappresenta un forte segnale della totale inadeguatezza delle normative europee, scritte sulla carta, ma impossibili da applicare al mondo reale. Arriva in un momento in cui l’UE è già alle prese con alti costi energetici e una crescente concorrenza globale, specialmente da parte degli USA, dove Exxon sta invece portando avanti diversi progetti simili di riciclo chimico.

Questa non è una mossa isolata. Negli ultimi anni, Exxon ha già mostrato un progressivo disimpegno dal continente:

  • Ha messo in vendita la sua quota di controllo nella raffineria di Gravenchon in Francia.
  • Ha venduto un’altra raffineria francese e chiuso alcuni impianti petrolchimici nel 2024.
  • Sta cercando di cedere la sua partecipazione nel più grande complesso di raffinazione petrolifera della Germania.

Mentre la Commissione Europea, per bocca della commissaria all’ambiente Jessika Roswall, afferma di lavorare a un “quadro chiaro e basato sulla scienza”, il rischio è che l’approccio rigido e burocratico di Bruxelles finisca per spingere via proprio i capitali e le tecnologie necessarie per realizzare quella transizione verde tanto sbandierata. Un autogol in piena regola. Ogni giorno che passa appare sempre più evidente come la UE sia il maggiore freno per l’economia europea, con le proprie legislazioni burocratiche, inutile ed eccessivamente complicate, che blocca perfino i suoi obiettivi “Ambientali”. Nonostante questo i Paesi appaiono impotenti e narcotizzati da questo malgoverno.

Domande e Risposte

1) Qual è il problema principale che ha spinto Exxon a bloccare i suoi investimenti in Europa?

Il problema principale è un quadro normativo europeo percepito come eccessivamente restrittivo e controproducente. In particolare, Exxon contesta due aspetti: la preferenza dell’UE per il riciclo meccanico della plastica rispetto a quello chimico, che secondo l’azienda è più efficace per i rifiuti complessi, e la direttiva CSDDD. Quest’ultima impone alle aziende piani di transizione climatica che includono la riduzione delle emissioni indirette (Scope 3), un obiettivo che Exxon ritiene tecnologicamente irraggiungibile oggi, costringendo di fatto le imprese a ridurre le proprie attività per conformarsi.

2) Perché questa notizia è importante al di là del singolo caso di Exxon?

Questa notizia è un importante campanello d’allarme per la competitività industriale dell’Europa. Dimostra come le ambizioni ambientali dell’UE, se non bilanciate da un approccio pragmatico, rischino di generare un effetto contrario: la fuga di capitali e investimenti verso regioni con regole più favorevoli, come gli Stati Uniti. Il caso Exxon non è isolato, ma si inserisce in un contesto di crescente malcontento industriale per la burocrazia e gli alti costi operativi nel continente, minando la capacità dell’Europa di attrarre le tecnologie necessarie per la sua stessa transizione energetica.

3) Quali potrebbero essere le ricadute di direttive come la CSDDD sull’economia europea?

Le ricadute potrebbero essere significative e negative. A breve termine, direttive percepite come irrealistiche possono scoraggiare nuovi investimenti e persino causare il disinvestimento da parte di aziende multinazionali, come sta dimostrando Exxon. A lungo termine, ciò potrebbe portare a una deindustrializzazione in settori strategici, con conseguente perdita di posti di lavoro e di know-how tecnologico. Si crea un paradosso in cui, nel tentativo di diventare leader mondiale della sostenibilità, l’Europa rischia di indebolire la propria base industriale, diventando più dipendente da importazioni prodotte in paesi con standard ambientali inferiori.

E tu cosa ne pensi?

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