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Difesa

Italia fuori dal Trattato di non proliferazione nucleare? L’analisi proibita che scuote la difesa Europea

Un’analisi sconvolgente dell’ipotesi più temuta: la costruzione di un ordigno nucleare tattico italiano. Come 16 kg di plutonio avrebbero ridisegnato gli equilibri d’Europa? Un’immersione nel progetto mai realizzato che potrebbe avere delle ricadute inattese industriali ed economici, oltre che una quasi necessità nel mondo attuale.

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In un mondo scosso da conflitti alle porte dell’Europa e da un crescente riarmo globale, le vecchie certezze della sicurezza internazionale vacillano. Emerge così un ragionamento tanto radicale quanto strategicamente coerente: l’Italia dovrebbe considerare l’uscita, almeno temporanea, dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) per dotarsi di un proprio deterrente atomico?

Una mossa estrema, che trasformerebbe il Paese da “ospite” di testate altrui a potenza nucleare sovrana, seppur limitata, vincolata, fortunatamente, dalla Costituzione, e con semplici velleità difensive.

Eppure questa non è una provocazione fine a se stessa, ma l’esito di una fredda analisi geopolitica. Esaminiamo i pilastri di questa tesi controversa.

Paesi che aderiscono al Trattao di Non proliferazione: in Blu quelli con armi nucleari, in verde quelli senza armi nucleari, in rosso i non adernti. India Pakistan, Sud Sudan, Corea del Nord e Siraele non aderiscono all’accordo. La Corea del Nord ne è uscito.

  1. L’Ombrello Incerto della NATO e la Dipendenza Tecnologica

Il fondamento della sicurezza italiana riposa sull’Articolo 5 del Trattato NATO: un attacco contro un membro è un attacco contro tutti. Tuttavia, la natura della risposta non è automatica. In uno scenario di crisi estrema, la decisione di attivare l’ombrello nucleare statunitense a protezione dell’Europa resta una prerogativa esclusiva del Presidente degli Stati Uniti, soggetta a calcoli politici che potrebbero non coincidere con gli interessi vitali di Roma. La dottrina della “risposta flessibile” lascia ampi e pericolosi margini di ambiguità.

Siamo sicuri di essere garantiti dal trattato NATO?

A questa incertezza politica si aggiunge un vincolo tecnologico e industriale. Nell’ambito del programma NATO di Nuclear Sharing, l’Italia ospita testate nucleari tattiche americane B61 nelle basi di Aviano e Ghedi. Il loro impiego è previsto su vettori aerei certificati dagli Stati Uniti. Attualmente, la transizione è dagli ormai datati Tornado ai nuovi caccia F-35 di produzione americana. Notiamo che solo un modello di F-35, quello “A” ha questa certificazione. Questo obbliga chiunque ad acquistare aerei costosi di progettazione americana. Il Regno Unito, che diposneva di F-35 B, ha dovuto comprere 12 caccia Lockheed per poter dispiegare il dterrente nucleare costituito dalle bombe B61.

F-35 sgancia simulacro di B-61

Qui sorge il paradosso strategico: l’Italia, insieme a Regno Unito e Giappone, sta investendo decine di miliardi di euro nel Global Combat Air Programme (GCAP) per sviluppare un caccia di sesta generazione che garantisca sovranità tecnologica e industriale. Tuttavia, senza un cambio di paradigma, questo costosissimo aereo rischia di nascere “monco”: incapace di assolvere al compito supremo della deterrenza nucleare, poiché il vettore non sarebbe, per definizione, certificato dagli USA per trasportare testate americane. L’Italia si troverebbe quindi costretta a mantenere una flotta di caccia USA solo per questo scopo, vanificando in parte l’investimento e l’obiettivo di autonomia del GCAP. Un programma di difesa sovrano ha pieno senso solo se può integrare un deterrente sovrano.

Tra l’altro il Regno Unito, che fa parte del consorzio, ha lo stesso problema, per cui il programma potrebbe essere sviluppato in comune riducendone i costi, con la differenza che il Regno Unito non dovrebbe denunciare il TNP.

  1. Minaccia a Sud: Quando il Vicino Sviluppa Missili Balistici

Il quadro strategico del Mediterraneo si sta rapidamente deteriorando. L’Iran, che non aderisce ai principali trattati di controllo missilistico, sta perfezionando il suo programma di missili balistici a raggio intermedio (IRBM). Vettori come il Sejjil (operativo) e il Khorramshahr hanno una gittata stimata di 2.000 km, sufficiente a raggiungere e colpire qualsiasi punto del territorio italiano.

Sebbene l’Iran non possegga ancora una testata nucleare operativa, la direzione intrapresa è chiara. La sua crescente capacità balistica, unita a un programma nucleare che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) osserva con crescente preoccupazione per la sua mancanza di trasparenza e per l’accumulo di uranio arricchito al 60% , rappresenta una minaccia diretta e futura. A questo si aggiunge l’instabilità cronica del Nord Africa e del Medio Oriente, con la possibilità, per ora remota ma non impossibile, che altri attori regionali come l’Egitto o la Turchia possano in futuro perseguire opzioni nucleari per controbilanciare le potenze vicine.

In questo contesto, affidarsi unicamente a scudi antimissile e alla deterrenza NATO potrebbe non essere più sufficiente. L’articolo 11 della Costituzione Italiana, che “ripudia la guerra”, non è un ostacolo, ma la cornice dottrinale: un arsenale nucleare italiano sarebbe concepibile solo a scopo di pura dissuasione, per assicurare che nessun avversario possa mai considerare un attacco di massa contro il Paese. La certezza di una rappresaglia, non il suo impiego, è il cuore della deterrenza.

  1. Un Arsenale “Possibile”: Costi e Fattibilità di un’Opzione Sovrana

Sviluppare un arsenale nucleare è un’impresa immensa, ma non impossibile per una potenza del G7. L’ipotesi non è quella di replicare gli sterminati arsenali della Guerra Fredda, ma di creare una forza minima, credibile e tattica.

  • Le Testate: L’obiettivo sarebbe un numero limitato di testate (tra 30 e 50) a bassa potenza, basate su Plutonio-239 (Pu239). Lo sviluppo moderno si affiderebbe massicciamente a simulazioni computerizzate, evitando la necessità di test nucleari reali che scatenerebbero la condanna internazionale (l’Italia ha firmato ma non ratificato il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari, CTBT).
  • Il Materiale Fissile: Il passo più critico è la produzione di Pu239. Ciò non richiederebbe la costruzione di un reattore di potenza da miliardi di euro come un EPR, ma di un reattore di ricerca avanzato, con capacità produttive specifiche. Un progetto di questo tipo, con un costo stimabile in centinaia di milioni di euro, avrebbe anche un importantissimo uso duale, come la produzione di isotopi per la medicina nucleare, settore in cui l’Italia è già all’avanguardia ma dipendente dall’estero.  Il costo dipenderebbe dalle dimensioni, ma potremmo valutarlo fra i 250 e i 300 milioni di euro, per una struttura che poi avrebbe comunque usi di ricerca e di produzione duale.
  • I Vettori: Per evitare i costi proibitivi dei sottomarini nucleari lanciamissili (SSBN) di Francia e Regno Unito, la soluzione più efficiente sarebbe lo sviluppo di IRBM a combustibile solido. Questi missili possono essere tenuti in silos fortificati o su piattaforme mobili terrestri, garantendo un’elevata sopravvivenza a un primo attacco. Un tale programma militare creerebbe inoltre un’immediata e potentissima sinergia con il programma spaziale nazionale, fornendo la tecnologia per sviluppare lanciatori satellitari sovrani e competitivi, superando la dipendenza da vettori come Vega, sviluppati in un contesto europeo. Dati gli obblighi di bilancio, perché non utilizzarli per sviluppare un’industria nazionale?

Il missile ALFA italiano, prodotto negli anni settanta per portare la bomba nuclear italiana

Conclusioni: Il Prezzo Drammatico della Sovranità

L’uscita dal TNP e lo sviluppo di un deterrente nucleare nazionale comporterebbero costi politici e diplomatici  L’Italianotevoli. L’uscita dal TNP passerebbe sotto la lente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma  l’Italia non è la Corea del Nord, e il processo di uscita temporanea potrebbe essere presentato con l’accettazione e il controllo della’AIEA nella fase di sviluppo, con controllo sul materiale fissile ottenuto e quindi sul numero di testate costruite.  Una situazione del genere dovrebbe essere gestita con gli alleati, soprattutto gli USA, presentandola come un alleggerimento del loro impegno in  Europa, e con il Regno Unito, che perfino potrebbe approfittarne. Certo, la Germania ci rimarrebbe male, ma sopravviveremmo alla delusione.

Tuttavia, il ragionamento strategico che la sottende espone una verità scomoda: l’attuale architettura di difesa italiana, per quanto costosa, è priva dell’elemento ultimo che garantisce la sovranità in un mondo di potenze nucleari. Senza la chiave della bomba, ogni altro investimento militare, incluso il GCAP, rischia di essere un accessorio di lusso, dipendente in ultima istanza dalla volontà politica di un alleato lontano. A cosa serve portare la spesa militare al 3,5%, quasi il doppio dell’attuale, dovendo comunque dipendere dal deterrente nucleare a stelle e strisce? Senza contare, come abbiamo detto, le potenziali ricadute positive nel settore civile e della ricerca.

Questa non è una proposta da attuare domani, ma un’analisi che deve essere portata sul tavolo. Ignorare la logica spietata della deterrenza nucleare nell’attuale disordine globale sarebbe un lusso che l’Italia, forse, non può più permettersi. La domanda non è se Roma voglia la bomba, ma se il futuro le lascerà altra scelta per garantire la propria sopravvivenza.


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