Germania

Berlino, capitale straniera della Germania: nelle scuole il tedesco è sconosciuto al 90% dei bambini

A Berlino il tedesco è una lingua straniera per quasi metà degli alunni. In alcune scuole la quota sfiora il 100%: un’emergenza educativa che svela la crisi del modello di integrazione tedesco e minaccia il futuro della Germania.

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Berlino non è più, nei fatti, una città tedesca, o almeno non lo è più in ampie parti del suo tessuto sociale e, soprattutto, formativo.

Un dato, più di ogni altro, fotografa una trasformazione sociale profonda e forse irreversibile: come nota BZ in ben 26 scuole della capitale tedesca, oltre il 90% degli alunni non  ha una “madrelingua non tedesca” (NDH, nicht deutsche Herkunftssprache). Non si tratta di un’iperbole, ma di una statistica cruda che svela come il sistema scolastico berlinese si trovi di fronte a una sfida epocale: insegnare a una popolazione studentesca che, a casa, il tedesco non lo parla quasi mai.

I numeri di una trasformazione silenziosa

L’amministrazione scolastica ha cercato di minimizzare, rifiutandosi di commentare i dati richiesti dal politico dell’AfD Tommy Tabor, ma le cifre sono ostinate. Negli ultimi cinque anni, la percentuale di alunni “nDH” è in costante e significativa crescita in ogni ordine e grado:

  • Scuole elementari: passata dal 45% al 48,4%.
  • Scuole secondarie: aumentata dal 42,6% al 45,5%.
  • Licei (Gymnasien): cresciuta dal 28% al 30,3%.

Quasi un bambino su due alle elementari, dunque, inizia il suo percorso formativo senza una solida base nella lingua del paese in cui vive. Il problema assume contorni drammatici in quartieri come Mitte, Neukölln e Kreuzberg. I casi limite sono emblematici di un sistema al collasso:

  • Alla scuola elementare Jens Nydahl, 301 alunni su 303 non parlano tedesco a casa (una quota del 99,3%). Ci sono scuole in Turchia con percentuali di madrelingua tedesca migliori.
  • Alla Sonnen-Schule di Neukölln, la percentuale è del 98,2% (322 su 328 bambini).

Dalla lingua all’economia: le conseguenze sul campo

Questa situazione non è un astratto problema sociologico, ma un macigno che pesa sul futuro della capitale e dell’intera Germania. Quando mancano i “modelli linguistici” di riferimento, perché quasi nessun compagno di classe parla correntemente il tedesco, l’apprendimento diventa un’impresa titanica. L’aneddoto, quasi surreale, di insegnanti costretti a spiegare a bambini di prima elementare il significato della parola “Kreis” (cerchio) come se stessero insegnando una lingua straniera, la dice lunga.

Le conseguenze sono già misurabili. Il recente “Education Monitor” classifica gli studenti berlinesi tra i peggiori in Germania per le competenze di base in tedesco e matematica. Non a caso, la città registra anche un tasso di abbandono scolastico (7,8%) superiore alla media nazionale. Stiamo parlando della futura forza lavoro, del futuro tessuto produttivo e sociale di una delle principali economie europee.

La politica balbetta, la scuola improvvisa

Di fronte a questa emergenza, la politica, come spesso accade, appare inadeguata. Da un lato, c’è il rifiuto dell’amministrazione di commentare. Dall’altro, il ricordo del tentativo del precedente Senato rosso-verde-rosso di eliminare del tutto la designazione “nDH” dalle statistiche scolastiche, bollandola come “stigmatizzante”. Un classico esempio di come si cerchi di risolvere un problema semplicemente smettendo di misurarlo. Un parere del servizio scientifico della Camera dei Rappresentanti, però, ha bloccato questo tentativo, riaffermando il diritto all’accesso ai dati.

Mentre la politica discute, le scuole tentano soluzioni pragmatiche, quasi artigianali. A Neukölln, ad esempio, gli alunni vengono divisi in piccoli gruppi di apprendimento per imparare parole di base come “fienile” o “tetto”. Si arriva a contattare nonni, zii o amici di famiglia di lingua tedesca per chiedere loro di leggere un libro al bambino. Come ha affermato l’ex senatrice all’istruzione Astrid-Sabine Busse, “le scuole possono fare molto, ma non possono fare magie”. Senza la collaborazione delle famiglie, ogni sforzo rischia di essere vano.

La questione di Berlino è un monito per molte capitali europee. La gestione, o la mancata gestione, dei flussi migratori e dell’integrazione presenta un conto salatissimo al sistema formativo. Un conto che, se non saldato, rischia di tradursi in decenni di problemi sociali e di debolezza economica.

Scuola tedesca a Berlino,

Domande e Risposte

1) Qual è il problema fondamentale evidenziato dalla situazione delle scuole di Berlino? Il problema centrale è il crollo del tedesco come lingua veicolare comune all’interno del sistema scolastico. Con quasi la metà degli alunni delle elementari che non parla tedesco a casa, e con picchi vicini al 100% in alcune scuole, l’insegnamento tradizionale diventa quasi impossibile. Questo crea una frattura educativa e sociale, minando alla base la capacità della scuola di essere un motore di integrazione e di fornire le competenze minime necessarie per accedere al mercato del lavoro e partecipare pienamente alla vita civica del Paese.

2) Perché questa notizia è importante anche al di fuori della Germania? La situazione di Berlino è un caso di studio e un campanello d’allarme per tutte le grandi aree metropolitane europee che affrontano dinamiche demografiche simili. Mostra come politiche di integrazione inefficaci o assenti possano portare alla creazione di società parallele già a partire dall’infanzia. Le difficoltà del sistema scolastico berlinese anticipano le sfide che altre città, come Parigi, Bruxelles o Milano, potrebbero affrontare su larga scala, con impatti diretti sulla coesione sociale, sulla competitività economica e sulla stabilità politica a lungo termine.

3) Quali sono le possibili ricadute economiche e sociali a lungo termine? Le ricadute sono potenzialmente devastanti. A livello sociale, si rischia la cristallizzazione di comunità isolate, con scarsa mobilità sociale e un senso di appartenenza allo Stato quasi nullo. A livello economico, una forza lavoro con scarse competenze linguistiche e matematiche è meno produttiva e meno flessibile. Questo può portare a un aumento della disoccupazione strutturale, a una maggiore dipendenza dai sussidi statali e a una riduzione della capacità innovativa del Paese. In sintesi, si sta formando una generazione che rischia di essere un costo, anziché una risorsa, per l’economia tedesca.

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