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Analisi e studi

Beni culturali: la riforma Bonisoli è incostituzionale (di P. Becchi e G. Palma su Libero)

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Articolo a firma di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero di oggi, 21 luglio 2019:

L’Italia è il Paese della cultura. Sul nostro territorio, nonostante le continue razzie dei secoli scorsi, vi sono ancora circa il 40% delle opere d’arte di tutto il mondo. Un primato ineguagliabile. Non siamo solo il Paese wo die Zitronen blühen, siamo anche il Paese dell’arte e della bellezza.

Detto questo, il settore dei “beni culturali” è gestito – direbbe Sgarbi – da capre. Ieri come oggi. Prima le nomine degli stranieri nel 2015 a direttori dei principali musei italiani (governo Renzi, ministro Franceschini), oggi una riforma dell’intero comparto “beni culturali” targata Bonisoli (dal nome del ministro 5Stelle che l’ha voluta) che mira al centralismo più totale.
Vediamone alcuni punti salienti.

La riforma prevede in primis l’istituzione di un’ “unica stazione appaltante“, cioè una direzione centrale “contratti e concessioni” che toglie ai musei regionali e alle soprintendenze archivistiche le competenze in materia di appalti, contratti e concessioni per somme di una certa entità. Poi c’è l’abolizione dei consigli di amministrazione locali, cioè dei musei autonomi, trasferendo la competenza sui bilanci agli uffici centrali ministeriali. Dulcis in fundo l’esproprio dell’autonomia museale. Musei come ad esempio la “Galleria dell’Accademia di Firenze” e il “Museo nazionale etrusco di Villa Giulia” perderanno la loro autonomia gestionale.

Si tratta di misure che mirano ad una forte centralizzazione statale del settore “beni culturali”. Di seguito alcune osservazioni di tipo giuridico e di merito.

Vediamo l’aspetto giuridico.
Il provvedimento, adottato in diverse fasi il mese scorso dal Consiglio dei ministri, assume le vesti del Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri). Nulla quaestio sul punto, anche perché la riforma Bonisoli – da un punto di vista giuiridico – non fa altro che modificare la precedente riforma Franceschini del 2014, adottata anch’essa con Dpcm. Fonti giuridiche dello stesso livello gerarchico, quindi si applica il principio generale della successione delle norme giuridiche nel tempo (“lex posterior derogat priori“). Il problema è invece più grave ed è di tipo costituzionale.
L’art. 117 della Costituzione, dopo la revisione costituzionale del 2001, delinea le materie in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva e quelle in cui ha competenza concorrente con le Regioni. Per queste ultime lo Stato si limita a definire i principi generali (leggi-quadro), lasciando che a legiferare sui contenuti siano le Regioni.Tra le materie concorrenti spicca proprio la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali“.
Aver centralizzato il settore è, dunque, incostituzionale. Trattandosi di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, e non di una legge, la Corte costituzionale non vi potrà mettere becco, ma le Regioni – rivendicando l’applicazione dell’art. 117 della Costituzione – potranno impugnare il Dpcm dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, Tar o Consiglio di Stato a seconda della competenza e dei gradi di giudizio. Questo Dpcm, che è un atto amministrativo del governo, esautora sostanzialmente la competenza e la funzione legislativa concorrente delle Regioni in materia di “beni culturali”. Non è una questione giuridica di poco conto e sorprende che Regioni come la Lombardia e o il Veneto non abbiano ancora reagito allo scippo.

Nel merito.
Avere un’unica stazione appaltante che diriga centralmente contratti e concessioni limiterà le iniziative culturali di enti ed associazioni libere e indipendenti. Facciamo un esempio estremo. Con un sistema fortemente centralizzato su appalti e contrattualistica, una piccola associazione di Sansepolcro (Arezzo) dovrà sborsare cifre esorbitanti se vorrà far tornare per qualche giorno in esposizione nella terra natia di Piero della Francesca la “Madonna di Senigallia“, dipinto che si trova ad Urbino nella “Galleria Nazionale delle Marche”. Oggi è sufficiente che il sindaco di San Sepolcro e/o il Presidente della Regione Toscana si accordi col direttore della galleria di Urbino, anche gratis, seppur con tutte le cautele del caso. Con questa riforma, anche il Comune e la Regione che diedero i natali a Piero della Francesca dovranno in teoria pagare belle cifre per riavere in esposizione per qualche settimana un dipinto dell’artista. Altro aspetto devastante è l’abolizione dei Cda locali. Ogni impegno di spesa passerà agli uffici centrali del ministero. E con la ghigliottina del pareggio di bilancio in Costituzione, ai musei “periferici” non arriverà più nulla.

Insomma, da un lato il Presidente del Consiglio Conte cerca di bloccare l’autonomia voluta dai cittadini di Lombardia e Veneto, con tanto di referendum, dall’altro il ministro Bonisoli centralizza senza rispettare il ruolo delle Regioni il settore “beni culturali”, con un provvedimento che presenta profili di incostituzionalità e che tra l’altro non è neppure previsto dal “contratto di governo”.

Articolo a firma di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero di oggi, 21 luglio 2019.

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Europa, quo vadis? La sfida sovranista alle elezioni europee“, di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, prefazione di Antonio Maria Rinaldi, Paesi edizioni, 2019: https://www.amazon.it/Europa-vadis-sovranista-elezioni-europee/dp/8885939104/ref=mp_s_a_1_6?keywords=Giuseppe+Palma&qid=1563090338&s=gateway&sr=8-6

 

 


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