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La BCE scopre che il problema è la finanza privata, non quella pubblica

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Post da Voci dall’estero, blog cui consigliamo la lettura

 

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La BCE scopre che il problema è la finanza privata, non quella pubblica

Riportiamo qui l’articolo già pubblicato a giugno 2013 sulla significativa relazione di Vítor Constâncio, completamente ignorata dai nostri media,  in cui il vice presidente della BCE ammette a chiare lettere come all’origine della crisi dell’eurozona vi siano le incaute esposizioni del settore finanziario privato favorite dalla moneta unica,  e non  l’eccessivo debito pubblico e la corruzione, sui quali invece TV e giornali continuano imperterriti a bombardarci. 

La crisi europea e il ruolo del sistema finanziario

Discorso di Vítor Constâncio, Vicepresidente della BCE, alla conferenza presso la Bank of Greece su “La crisi dell’eurozona”
Atene, 23 Maggio 2013

Introduzione

Vorrei iniziare ringraziando la Bank of Greece per avermi invitato a questa importante conferenza alla presenza di molti prestigiosi ricercatori.

Ci sono, naturalmente, molti racconti e interpretazioni sulla maniera in cui la crisi si è manifestata nell’eurozona. Per alcuni, questa è soprattutto una storia di politiche fiscali inadeguate e debito pubblico eccessivo; per altri, è principalmente una storia di perdita di competitività, causata da costi del lavoro incontrollati; e per alcuni altri è essenzialmente una classica crisi da bilancia dei pagamenti in un regime di tassi di cambio “perfettamente fissi”. Negli anni più recenti, si è diffuso anche il punto di vista di una crisi bancaria, combinata con una crisi dei debiti sovrani che ha creato una storia di eccesso dei due debiti.

Naturalmente, c’è un po’ di verità in tutte queste ricostruzioni, come c’è da aspettarsi data la complessità e l’interdipendenza dei fattori di una grande crisi internazionale.

Ma, più che cercare di discutere una interpretazione globale della crisi dell’eurozona, preferisco esplorare due prospettive:

  • primo, quali sono state le cause e i fattori scatenanti alla radice della crisi?

  • secondo, che ruolo ha giocato la crisi finanziaria internazionale, cominciata negli USA, nell’innescare la crisi europea?

La prima domanda è importante per identificare le possibili carenze nella progettazione dell’unione monetaria che hanno bisogno di essere corrette per evitare crisi future. La mia opinione è che il principale fattore scatenante è da ricercarsi nel settore finanziario, in particolare in quelle banche che hanno fatto da intermediarie nell’immenso flusso di capitali verso i paesi periferici, che ha creato squilibri divenuti insostenibili a seguito del “sudden stop” (arresto improvviso, ndt) causato dalla crisi internazionale e dalla brusca revisione delle valutazioni del rischio che questa ha causato.

La seconda domanda è utile per comprendere se la costruzione dell’unione monetaria sarebbe stata sufficiente ad assicurare una graduale correzione delle vulnerabilità e evitare una crisi, nel caso in cui lo shock internazionale non fosse avvenuto. Si potrebbe ipotizzare che, senza influenze esterne, l’eurozona avrebbe potuto superare gradualmente le sue debolezze con un processo di riequilibrio interno. Non potremo mai essere certi di questo. Fortunatamente, questa domanda è meno significativa della prima.

Le cause alla radice della crisi

La spiegazione più diffusa

Cominciamo con la prima prospettiva sulle cause. La spiegazione più vecchia  della crisi, progressivamente corretta dagli accademici ma sempre popolare tra alcuni segmenti dell’opinione pubblica, dice più o meno questo: “Non c’era niente di intrinsecamente sbagliato nel progetto dell’Unione monetaria europea, e la crisi sarebbe scaturita essenzialmente dal fatto che diversi paesi periferici non avrebbero rispettato quel progetto – in particolare le regole fiscali e il Patto di stabilità e di crescita – il che avrebbe generato una crisi di debito pubblico.”  Questa è la spiegazione secondo la quale  “il problema è essenzialmente fiscale”, che può essere facilmente connessa ad altre due : l’indisciplina fiscale ha portato ad un surriscaldamento dell’economia, l’aumento di salari e prezzi ha implicato una perdita di competitività, e questo ha portato alla crisi da bilancia dei pagamenti.

Nonostante questa spiegazione abbia una sua coerenza interna, essa non è corretta, specialmente per quel che riguarda il fattore scatenante della crisi.

Anzitutto, non c’è una forte correlazione tra il rispetto del Patto di stabilità e crescita di un membro dell’eurozona prima della crisi e il relativo spread richiesto dai mercati finanziari oggi. Per esempio, Germania e Francia non hanno rispettato tale Patto nel 2003-2004; mentre Spagna e Irlanda lo hanno rispettato più o meno pienamente fino al 2007.

In secondo luogo, nei paesi il cui debito pubblico è oggi sotto attacco, durante i primi anni della moneta unica non c’è stato alcun aumento non c’è stato alcun incremento uniforme del livello complessivo del debito pubblico.

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Infatti, in certi paesi il debito pubblico è diminuito, e in alcuni  è diminuito in maniera sostanziale. Per esempio, tra il 1999 e il 2007, il debito pubblico spagnolo è passato dal 62,4% del PIL al 36,3% del PIL. In Irlanda, nello stesso periodo, è diminuito dal 47% al 25% del PIL. Per quanto a livelli relativamente alti, il debito pubblico è diminuito anche in Italia (dal 113% al 103,3% del PIL) ed è aumentato solo di poco in Grecia. Comunque, negli ultimi due casi, il livello era già in effetti molto superiore al 60% fissato dal Patto di stabilità e di crescita.

Riconsiderando il settore bancario

Penso quindi che, per avere una spiegazione più accurata delle cause della crisi, dobbiamo guardare non solo alle politiche fiscali: gli squilibri si sono originati per lo più nella crescente spesa del settore privato, finanziata dal settore bancario dei paesi debitori e creditori.

Come mostra la slide 1, contrariamente al  livello del debito pubblico complessivo, quello del debito privato è aumentato nei primi 7 anni dell’euro del 27%. L’aumento è stato particolarmente pronunciato in Grecia (217%), Irlanda (101%), Spagna (75,2%), e Portogallo (49%), tutti paesi che sono stati fortemente sotto pressione durante la recente crisi. La rapida crescita del debito pubblico, viceversa, è iniziata solo dopo la crisi finanziaria. Nel corso di 4 anni, i livelli del debito pubblico sono aumentati di 5 volte in Irlanda e di 3 volte in Spagna.

Da questa prospettiva, il rapido incremento dei livelli di debito pubblico deriva dal collasso delle entrate fiscali e dalle spese sociali, che sono aumentate durante la recessione, quando sono stati attivati gli stabilizzatori automatici  (es: cassa integrazione, ndt). Le pericolose ripercussioni dal sistema bancario al debito pubblico, che sono emerse dopo l’inizio della crisi finanziaria, hanno ulteriormente indebolito i conti pubblici.

Da dove venivano i finanziamenti che hanno fatto esplodere il debito privato? Un aspetto particolare del processo di integrazione finanziaria europea dopo l’introduzione dell’euro è stato un deciso incremento delle attività bancarie tra paesi. L’esposizione delle banche dei paesi del centro verso i paesi della periferia è più che quintuplicata tra l’introduzione dell’euro e l’inizio della crisi finanziaria.

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L’esplosione di questi afflussi di capitale si è distribuita in maniera disomogenea tra i paesi periferici, ma li ha influenzati tutti, e controllarne gli effetti è risultato estremamente difficile.

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Ho esperienza di prima mano delle difficoltà incontrate dai paesi periferici. Le regole europee sulla libera circolazione dei capitali, l’obiettivo di creare un terreno di competizione comune per i diversi settori bancari, e la fiducia nell’efficienza dei mercati finanziari, che si supponeva fossero in grado di autoregolarsi, tutto questo ha concorso a rendere molto difficile l’implementazione di qualsiasi forma di controllo.  Per di più, nessuno aveva previsto che un arresto improvviso [dei finanzimenti esteri], fenomeno tipico delle economie emergenti, potesse verificarsi nell’eurozona.

Di conseguenza, l’afflusso di capitali relativamente a buon mercato si è trasformato in una gigantesca bolla del credito nei paesi che oggi sono sotto pressione. Come sappiamo, il ricorso al credito non è stato perfettamente ottimizzato da agenti privati razionali. Dal lato della domanda, in un contesto di bassi tassi di interesse, i consumatori e le imprese, nell’aspettativa di una futura crescita, hanno anticipato i consumi e gli investimenti, da buoni   ottimizzatori intertemporali. Dal lato dell’offerta, le banche europee e i mercati finanziari, nel gestire il rischio di credito,  non si sono comportati secondo la teoria. E’ stato questo a condurre al surriscaldamento delle economie, alla pressione su salari e prezzi,  alle perdite di competitività e agli elevati deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.

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La relazione di Constancio continua richiamando alle convenzionali politiche dell’eurozona:  disciplina  fiscale, opportunità di un’unione bancaria e le solite “riforme strutturali” per ridurre gli squilibri tra paesi.   E nel finale, si propone per il futuro una revisione dei modelli sui quali  si basano le loro previsioni… 

 


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