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Barnard, MMT e fondamentali d’economia mancanti

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Pubblichiamo questo articolo di Gianola da The Fielder

 

Barnard

Il 15 gennaio scorso, m’è capitato d’incappare, durante lo zapping serale, nel programma La gabbia, diretto da Gianluigi Paragone, dove, seguendo la «lezione d’economia» di Paolo Barnard, ho avuto un sobbalzo. Nelle sue apparizioni televisive, infatti, Barnard si lascia andare a estemporanee miniconferenze economiche in cui spiega perché si sia sviluppata la crisi mondiale e come si possa uscirne seguendo i dettami d’una teoria economica che, per lui e per i seguaci, ha assunto quasi le caratteristiche d’una religione: la «teoria monetaria moderna» (Modern Monetary Theory, MMT).

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L’assunto da cui è partito il ragionamento di Barnard è che il settore privato non produce ricchezza, la quale è un’emanazione diretta dello Stato mediante l’emissione di moneta. Già: ci si scordi ogni appunto preso all’università sulla capacità produttiva, sulla composizione del PIL d’una nazione, sulle teorie dello sviluppo industriale — l’unica fonte di ricchezza è lo Stato mediante la moneta. Quest’idea è stata schematizzata in uno scarabocchio s’una lavagna, nel quale s’illustra l’assioma fondante della MMT: la ricchezza è creata dallo Stato in quanto monopolista della creazione ed emissione della moneta; esso la immette nel sistema economico e ne crea il valore mediante la tassazione, che servirebbe non a finanziare la spesa pubblica, bensí a creare la domanda di moneta.

Confusi? Sicuramente l’ipotesi fondante non è delle piú chiare; diciamo che l’idea alla base è che la moneta crei la propria domanda, indipendentemente dalla quantità emessa, perché l’autorità pubblica, mediante la tassazione, la rende scarsa. È evidente che i fondatori della MMT hanno voluto negare la facoltà del settore privato di creare valore, e legato tutta la produzione di ricchezza all’azione dello Stato. Barnard stesso lo spiega in un passaggio del suo Il piú grande crimine:

[…] se il governo in questione spende acquistando piú di quanto incassa, cioè se versa piú denaro al netto fra i cittadini di quanto gliene tolga con le tasse (se spende a deficit), questo arricchisce la società. Che cos’avete appena letto? Avete letto proprio che il governo a moneta sovrana che spende a deficit, cioè che spende a debito, crea ricchezza nella comunità. Ecco dimostrato che il debito cosiddetto pubblico non è affatto il debito dei cittadini — anzi, il contrario. Si può, infatti, affermare ch’esso è ciò che noi cittadini intaschiamo, non ciò che noi cittadini dobbiamo a qualcuno.

> Sovranità monetaria ed equivoci

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Per qualsiasi persona di buonsenso, questo sarebbe uno sproloquio. Infatti, la moneta è una «merce-numerario» che serve a stabilire il valore di beni e servizi e a facilitare le transazioni. Perciò, in un mercato dove il valore della moneta non è legato a valori reali (come nel caso del sistema aureo), bensí alla capacità di produzione di ricchezza d’un sistema economico, qualora la politica monetaria fosse troppo espansiva, s’avrebbe un rincaro generale dei prezzi (creando inflazione); e, in caso contrario, s’avrebbe una contrazione dei prezzi.

Ma la MMT ignora questo principio — formalizzato nella teoria quantitativa della moneta di Fisher — e considera la creazione di ricchezza come una mera questione contabile a livello finanziario. Gli autori MMT, nel loro manuale, scrivono: «Un nostro asset finanziario corrisponde a una passività finanziaria per qualcun altro. È un principio fondamentale della contabilità che a ogni attivo finanziario corrisponda un’uguale passività che lo eguaglia» — un principio ovvio per chiunque abbia studiato un minimo di contabilità. Infine, essi giungono ad affermare che «la ricchezza finanziaria netta d’una famiglia è uguale alla somma di tutti i suoi asset finanziari meno la somma dei suoi debiti. Se questo numero è positivo, allora essa ha una ricchezza finanziaria netta positiva».

Qui sta il nocciolo del problema. Barnard e gli «MMTers» sostengono che la ricchezza nasce da un principio finanziario, negano che il settore privato possa generarla, e ipotizzano (o, meglio, arrogantemente affermano) che la ricchezza sia una funzione diretta dell’emissione di moneta — e, quindi, che lo Stato possa emettere tutta la moneta voluta, la quale, regolata per via del mezzo fiscale, creerà ricchezza nel Paese (pari alla differenza tra la moneta emessa e quella richiesta fiscalmente). Il punto debole di tutta quest’impostazione va ricercato in due punti fondamentali che la MMT non accetta o, semplicemente, non considera: la teoria del valore e il fatto che anche il settore privato possa «emettere» moneta.

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Ricordiamo tutti il «paradosso dell’acqua e dei diamanti»? Laddove l’acqua (bene indispensabile) è abbondante, i diamanti (bene voluttuario) possono essere scambiati a prezzi esorbitanti; ma laddove l’acqua non c’è, come nel deserto, un litro d’acqua ha un valore inestimabile, mentre il diamante può venire tranquillamente ignorato. Qualora la moneta venisse emessa senza limiti, è evidente ch’essa giungerebbe a non avere piú alcun valore, indipendentemente dall’esosità del fisco. E la storia lo mostra chiaramente: che cos’è stata l’esperienza dello Zimbabwe, se non l’applicazione dei princípi della MMT da parte del presidente Robert Mugabe, il quale portò il Paese sull’orlo del collasso con un tasso d’(iper)inflazione ben superiore al 1000% annuo?

La moneta circolante, inoltre, può essere creata anche per mezzo del settore creditizio. Lo Stato, al massimo, può controllare l’ammontare d’M2, l’aggregato monetario composto dalla moneta a corso legale emessa sulla base dei titoli che lo Stato deposita presso la banca centrale per la creazione di moneta, i depositi bancari e i mezzi liquidi di pagamento che sono funzione diretta dell’emissione di moneta. Ma M3 è influenzato anche dal moltiplicatore del credito — che in parte dipende anche dallo Stato tramite l’emissione dei suoi titoli di debito, ma per il resto è gestito dal settore creditizio privato mediante la concessione di credito nelle sue varie forme. In un certo senso, l’emissione di moneta non è totalmente di monopolio statale, e il settore privato può contribuire all’operazione agendo sulla leva del credito.

Solo questo basterebbe a inficiare le ipotesi fondanti della MMT; ma ciò che Barnard e i sostenitori di questa teoria non vogliono capire è che lo Stato non è un «creatore» di ricchezza, bensí un suo «consumatore». La ricchezza viene creata dal settore privato, dagl’investimenti produttivi, e circola mediante i consumi e la spesa nei servizi. Tuttalpiú, lo Stato può essere regolatore e ridistributore di ricchezza mediante la propria azione previdenziale e assistenziale, e attore nella creazione della stessa qualora operi investimenti infrastrutturali; ma di certo non è l’origine della ricchezza. Anzi, l’esperienza degli ultimi anni, cosí in Italia come in tutt’Europa, è quella d’uno Stato distruttore, prima causa d’impoverimento delle popolazioni e d’inefficienza allocativa dei mercati.

 

PS: se Barnard o Mosler volessero replicare e spiegare cosa e’ la MMT, Scenarieconomici.it e’ a disposizione

 


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