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Banche: necessità dell’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza. (di Marco Saba)

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Nel caso della Grecia, i primi che sono andati in banca hanno potuto ritirare. Poi la BCE con la complicità attiva della banca centrale greca, ha tagliato la liquidità alle banche (distribuzione di banconote), che quindi hanno esaurito il denaro molto presto, e le ha costrette a chiudere lasciando la massa dei clienti all’asciutto.

Se ne desume che il fallimento di una banca deriva da decisioni arbitrarie prese proprio dall’organo che ne dovrebbe rilevare l’insolvenza secondo requisiti tecnico-contabili oggettivamente riscontrabili (la vigilanza).

L’insolvenza delle banche, quindi, non è causata da scarsità oggettiva di mezzi monetari determinata da “cattiva gestione”, quanto piuttosto dal fatto che la contabilità bancaria non tiene conto della creazione di denaro (ad. es. nella contabilità dei flussi di cassa, dove non si rileva la creazione di mezzi monetari) e dal fatto che questo potere di creazione monetaria può essere revocato o ostacolato – tramite l’esclusione dai circuiti di compensazione interbancari o la mancata consegna di banconote – dalla banca centrale arbitariamente e per motivi politici.

In sostanza, ai “crediti verso clientela” dello Stato Patrimoniale non corrisponde l’evidenza della creazione dei mezzi monetari atti a generarli. Allo stesso modo si può evidenziare che i “debiti verso clientela” non hanno alcun rapporto coi “crediti verso clientela”, trattandosi di depositi (saldi attivi dei coni correnti) che possono in tutto o in parte essere stati orginariamente creati da altra banca. Eliminando i depositi (voce passiva), la banca non subirebbe un danno – in questa contabilità assurda e fantastica che seguono le banche – ma bensì rappresenterebbe un miglioramento dello stato attivo !

Il corollario è che un Tribunale responsabile, di fronte alla segnalazione d’insolvenza della vigilanza della banca centrale (i piromani-pompieri), dovrebbe automaticamente provvedere d’ufficio all’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza della banca, verificando l’omissione dai flussi di cassa di tutta l’attività di creazione monetaria effettivamente condotta durante l’esercizio. Scoprirebbe così, il Tribunale, che il vero profitto della banca (o meglio, del suo management…) si trova sottraendo dalla massa di denaro creato durante l’esercizio, i puri costi di gestione che sono dell’ordine dell1% fino a 3% direttamente proporzionali alla dimensione della banca. (Le più grandi costano di più)

Concludendo, le banche non possono fallire poiché sono fabbriche di denaro dal nulla che però non contabilizzano per sottrarsi alle responsabilità fiscali (enorme danno all’erario) e sociali (esercitano politiche arbitrarie senza essere sottoposte a scrutinio democratico e condizionano la sicurezza dello Stato tramite il meccanismo del debito pubblico).

Marco Saba, presidente di IASSEM (Istituto di Alti Studi per la Sovranità Economica e Monetaria)


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