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Attento, Matteo! Pd, 5Stelle e Renzi stanno già preparando le contromosse sulla legge elettorale e sul tuo referendum (di Paolo Becchi e Giuseppe Palma)

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Articolo di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 17 ottobre 2019 (versione integrale; su Libero è stata invece pubblicata la versione ridotta):

Premettiamo una cosa. Forse ci sbagliamo, ma crediamo che gli italiani ne abbiano le scatole piene di parlare di sistemi elettorali. Non ci lasciano andare a votare, ma possiamo scannarci liberamente e all’infinito sul modo di votare. Sarebbe stato meglio, a nostro avviso, non stare a questo gioco, ma Salvini ha deciso diversamente e l’idea avanzata, in apparenza, è buona. Se 5 consigli regionali chiedono, a maggioranza assoluta, il referendum abrogativo sulla legge elettorale, tutti i cittadini italiani sono chiamati ad esprimersi in una consultazione referendaria ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione.

L’idea referendaria, in generale, non è nuova, ci aveva già provato Mariotto Segni nel 1993 con la proposta di referendum abrogativo della parte proporzionale (semplifichiamo) della legge elettorale per il Senato. L’esito fu plebiscitario per l’abrogazione, spalancando la porta al sistema dell’uninominale secco, ma il Parlamento – pur approvando una legge elettorale maggioritaria coi 3/4 dei seggi assegnati col sistema dei collegi uninominali a turno unico – ripescò il proporzionale per il restante 25% dei seggi (il famoso “paracadute” per i trombati) disattendendo l’esito del referendum. Una legge che comunque ha funzionato molto bene perché, in tutti e tre i casi in cui si è votato con essa (1994, 1996 e 2001), la notte delle elezioni si sapeva già chi aveva vinto, con maggioranze parlamentari abbastanza stabili. Autore Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica, tant’è che quel sistema prese il nome di Mattarellum.

Ora la situazione è certamente diversa, ma non troppo. Il nuovo governo nasce con l’obiettivo di evitare il ritorno alle urne, e le forze politiche della nuova maggioranza parlano già di approvare una nuova legge elettorale di tipo proporzionale per cercare di ingabbiare il leader leghista, relegandolo all’opposizione anche se risultasse il primo partito. Una porcata. Salvini è dunque corso ai ripari proponendo ai Consigli regionali di centrodestra, che attualmente sono una decina, di chiedere il referendum abrogativo sulla parte proporzionale del Rosatellum. Ci spieghiamo meglio.

L’attuale legge elettorale attribuisce circa 1/3 dei seggi col sistema dei collegi uninominali a turno unico (vince chi prende un voto in più secondo il principio first-past-the-post, all’inglese) e circa 2/3 col sistema proporzionale senza preferenze, con listini bloccati brevi e coi nomi dei candidati indicati sulla scheda elettorale. Si tratta di un sistema a forte componente proporzionale, ma l’assenza del voto disgiunto e la possibilità di formare coalizioni tra liste rappresentano una discreta correzione maggioritaria. Sufficiente per spedire Salvini al governo. Per questo Renzi e Grillo la vogliono sostituire con il  proporzionale.

Ed ecco che interviene la proposta della Lega: un referendum abrogativo che tolga la parte proporzionale dal Rosatellum e lo trasformi in un sistema puramente maggioritario, all’inglese, con 618 collegi uninominali alla Camera e 309 al Senato. Vince in ciascun collegio chi prende un solo voto in più degli altri, quindi una coalizione Salvini-Meloni si aggiudicherebbe la stragrande maggioranza dei seggi in Parlamento. Trattandosi di referendum abrogativo, per la sua validità occorre che si rechino alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Un quorum molto alto che spiega la recente apertura di Salvini a Berlusconi. Tutto il centrodestra al 50% di votanti ci arriva sicuro.

Il problema è un altro. Il referendum abrogativo, qualora fosse raggiunto il quorum e vincessero i sì all’abrogazione, produce effetti giuridici immediati con la diretta caducazione delle norme di cui al quesito referendario. Ciò presenta una grana di natura schiettamente giuridica: Ia giurisprudenza costituzionale è orientata  da tempo ad ammettere solo quesiti referendari che, nel caso producessero la conseguenza abrogativa delle norme di cui al quesito, sortiscano l’effetto di una legge – seppur parzialmente abrogata – immediatamente applicabile senza la necessità di un intervento parlamentare nel ridisegnare collegi o circoscrizioni. Nel caso in questione, il quesito riguarderebbe l’abrogazione dell’intera parte proporzionale prevista dal Rosatellum, con la conseguente necessità per il Parlamento di rimetterci le mani nel caso il referendum passasse, quantomeno per ridisegnare i collegi uninominali visto che oggi sono solo poco più di 1/3.  Roberto Calderoli, autore di una legge elettorale (il Porcellum) dichiarata incostituzionale, dice che formulerà un quesito molto lungo e dettagliato di tre pagine  tale  da rendere non necessario un successivo intervento parlamentare che ridisegni i collegi. Non conosciamo il quesito, ma il dubbio resta: oggi, a Rosatellum vigente, il territorio nazionale è suddiviso in 232 collegi uninominali per l’elezione della Camera e 116 per l’elezione del Senato. È difficile che un referendum abrogativo della parte proporzionale (collegi plurinominali) possa attraverso il quesito proposto agli elettori  ridisegnare  618 e 309 collegi uninominali. Fatto sta che, solo per questo problema, il quesito potrebbe essere dichiarato inammissibile dalla Corte. Sia chiaro, la giurisprudenza può sempre mutare (non è legge, è solo un orientamento), ma è molto difficile che i giudici della Consulta (o quelli degli uffici della Cassazione che hanno un potere di controllo  formale sul quesito) decidano di fare un piacere a Salvini. Tranne qualcuno, li ha tutti contro.
Ammettiamo comunque che il quesito superi il vaglio di ammissibilità. Pd e 5Stelle ricorrerebbero a tre contromosse:

  1. La prima. Entro la data del referendum (cioè prima che questo si tenga), Renzi potrebbe spingere per l’approvazione da parte del Parlamento di una legge elettorale proporzionale, in modo tale che il referendum abrogativo sarebbe inutile perché su una legge (il Rosatellum) che non c’è più. E’ già accaduto nel 2017 con alcune norme del Jobs Act, quando il Pd abrogò i voucher prima che gli italiani fossero chiamati a votare per abrogarli, in modo da rendere inutile il referendum indetto su iniziativa della Cgil, che in effetti non si tenne più. Era già stata addirittura fissata la data al 28 maggio 2017,  ma il mutamento normativo rese non fattibile il quesito referendario. Una cosa che il Pd, allo scopo di vanificare il referendum di Salvini, potrebbe fare anche questa volta.
  2. La seconda. Ammettiamo che Pd e 5Stelle non si muovano prima e il referendum passi. La maggioranza parlamentare giallo-rossa potrebbe fregarsene del voto popolare (come ha dimostrato di fare recentemente) e approvare ugualmente una legge elettorale proporzionale. Questo indipendentemente dal fatto se passi o meno la riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. Il Parlamento può sempre fare ciò che vuole, anche in direzione contraria alla volontà popolare. Purtroppo, ma è così. Di esempi ce ne sono tanti.
  3. Terza contromossa, quella più sottile. L’alleanza di governo Pd-5Stelle non nasce su un progetto, ma contro una persona, contro Salvini. Questo nuovo centrosinistra, che attualmente rappresenta la maggioranza parlamentare così detta giallo-rossa, potrebbe addirittura rispettare l’eventuale esito abrogativo del referendum e approvare una nuova legge elettorale come da indicazione popolare, quindi maggioritaria. Ma a doppio turno, similare a quella francese. In questo modo, al secondo turno, 5Stelle e Pd (unitamente al nuovo partito di Renzi che nascerà tra poco) sosterrebbero insieme i candidati dell’uno e dell’altro in tutti i collegi uninominali in cui si vota al secondo turno, in modo da far perdere i candidati di Salvini.

Insomma, il referendum abrogativo – sempre che il quesito superi le forche caudine dell’ammissibilità – può trasformarsi certo in un plebiscito popolare a favore del leader della Lega, che in questo modo metterebbe sotto forte pressione il governo Conte bis, ma la nuova maggioranza potrebbe utilizzare il risultato per dar vita ad una nuova legge elettorale, sì, maggioritaria, ma col doppio turno alla francese. Una bella fregatura: Salvini farebbe la fine di Le Pen.

di Paolo BECCHI e Giuseppe PALMA

 


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