Economia
Terremoto nell’industria: ArcelorMittal rifiuta i fondi e blocca l’acciaio verde. “Meglio non produrlo”.
n una mossa shock, il colosso dell’acciaio ArcelorMittal rinuncia a 1,3 miliardi di fondi pubblici. Il motivo? Produrre acciaio verde è insostenibile. Una decisione che mette a rischio gli obiettivi climatici e il futuro industriale dell’Europa.

Immaginate un colosso dell’acciaio come ArcelorMittal, uno dei più grandi al mondo, che decide di fare un passo indietro su un progetto ambizioso: produrre acciaio “verde” usando idrogeno al posto del carbone, un passo cruciale per ridurre le emissioni di CO2. Eppure, è proprio quello che è successo. L’azienda ha detto no a 1,3 miliardi di euro di fondi pubblici per trasformare i suoi stabilimenti di Brema ed Eisenhüttenstadt, in Germania, in hub per la produzione di acciaio climaticamente neutro. Meglio non produrre acciaio, che prodrre acciaio verde è il cuore del concetto. Una notizia, riportata dal Handelsblatt, che ha fatto rumore e che solleva domande sul futuro dell’industria siderurgica europea e sugli obiettivi verdi dell’Unione Europea. Ma perché questa decisione? E cosa significa per l’Europa?
Reiner Blaschek, il capo di ArcelorMittal Europa Flachstahl, non ha usato giri di parole: il progetto di acciaio verde non è sostenibile. Non si tratta di mancanza di volontà, ma di una valutazione realistica. Produrre acciaio con idrogeno verde, ovvero generato con energie rinnovabili, è una sfida tecnologica ed economica enorme. Servono quantità enormi di idrogeno, che oggi non è disponibile in quantità sufficienti né a prezzi ragionevoli. I fondi pubblici, per quanto generosi, arrivano con vincoli rigidi: bisogna passare all’idrogeno in tempi brevi, ma nessuno può garantire che questo sarà possibile. È come costruire un’auto senza sapere se ci sarà abbastanza benzina per farla viaggiare.
A questo si aggiunge il problema dell’energia. In Germania, i prezzi dell’elettricità sono ancora troppo alti rispetto a quelli di paesi come Stati Uniti o Cina, e questo gap si è allargato negli ultimi anni. Per un’industria energivora come quella dell’acciaio, questo è un ostacolo enorme. Blaschek ha anche puntato il dito contro le incertezze globali: le politiche protezionistiche degli Stati Uniti, con dazi che limitano le esportazioni europee, e l’arrivo di acciaio a basso costo da altri mercati stanno mettendo sotto pressione i produttori europei. Infine, c’è la questione dei “contratti di protezione climatica” del governo tedesco, pensati per sostenere la transizione ecologica, ma definiti da Blaschek “inapplicabili nella pratica”. In altre parole, il contesto economico e politico non rende il progetto fattibile, almeno per ora.
Questo non significa che ArcelorMittal chiuderà i suoi stabilimenti. L’azienda ha scelto una strada alternativa: concentrarsi sui forni ad arco elettrico, che fondono rottami di acciaio, una tecnologia più semplice e già disponibile rispetto alla produzione di acciaio primario con idrogeno. È una soluzione più economica, ma meno rivoluzionaria, che permette di ridurre le emissioni senza però raggiungere i livelli di decarbonizzazione promessi dall’idrogeno. L’azienda assicura di voler continuare a lavorare per la sostenibilità, ma senza sacrificare la competitività. Come ha detto Blaschek, “una decarbonizzazione a ogni costo porta fuori strada”.
E qui arriva la parte più interessante: cosa significa tutto questo per l’Europa? La rinuncia di ArcelorMittal è un duro colpo per la strategia europea sull’idrogeno, che vedeva l’industria dell’acciaio come un pilastro fondamentale. L’azienda doveva essere uno dei principali “clienti chiave” per l’idrogeno verde, aiutando a giustificare la costruzione di una rete di distribuzione, il cosiddetto “Wasserstoff-Kernnetz”. Senza un grande consumatore come ArcelorMittal, questo progetto rischia di vacillare, costringendo a ripensare l’intera infrastruttura. Altri produttori, come ThyssenKrupp, Salzgitter e Saarstahl, stanno ancora portando avanti progetti simili, sostenuti da circa 7 miliardi di euro di fondi pubblici. Ma anche loro devono affrontare gli stessi ostacoli: la scarsità di idrogeno verde e i costi energetici elevati. La decisione di ArcelorMittal potrebbe quindi essere un segnale preoccupante, che spinge a chiedersi se altri seguiranno il suo esempio.
L’industria siderurgica è cruciale per l’Europa, non solo per l’economia, ma anche per gli obiettivi climatici. Questo settore produce circa il 30% delle emissioni di CO2 dell’industria tedesca e il 6% delle emissioni totali del paese. Senza una transizione verso l’acciaio verde, raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 diventa più difficile. Ma c’è di più: la competitività dell’Europa è a rischio. Con i costi energetici alle stelle e le pressioni dei mercati globali, l’industria siderurgica europea potrebbe perdere terreno rispetto a concorrenti in Asia o Nord America, mettendo a rischio posti di lavoro e la capacità di mantenere una base industriale strategica.
Inoltre la scelta di Arcelor, se seguita dagli altri produttori, toglierebbe la capacità di produrre accaio primario alla UE, rendendola dipendende dalla produzione di rottami di altri paesi. Un indebolimento strategico che è figlio diretto delle politiche climatiche fatte sulla carta e senza considerarne le vere conseguenze.
In conclusione, la scelta di ArcelorMittal ci mette davanti a una realtà scomoda: la transizione ecologica non è solo una questione di buone intenzioni, ma richiede infrastrutture, costi competitivi e politiche ben calibrate. L’Europa deve affrontare con urgenza il problema dell’idrogeno verde e dei prezzi dell’energia, altrimenti il sogno di un’acciaieria sostenibile rischia di rimanere solo sulla carta. E questo non sarebbe solo un fallimento ambientale, ma anche un duro colpo per l’economia e la leadership industriale del continente.
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