Economia
Arabia Saudita: le entrate non petrolifere toccano il 50% del PIL
Per la prima volta l’Arabia Saudita appare in grado di rendersi parzialmente indipendente dal petrolio e dal gas, grazie ai grandi investimenti in diversi settori, dall’alimentare alle energie green. La sfida sarà mantenere la reddditività
L’Arabia Saudita, uno dei grandi produttori petroliferi mondiali e leader dell’OPEC, è sempre stata nota per la dipendenza della propria economia dall’export eptrolifero e dai suoi prezzi, ma, finalmente, sembra che il paese inzii a distaccarsi dal proprio passato. Sembra che il programma “Vision 2030” saudita stia già dando i suoi frutti e Riyadh potrebbe non sentire il peso di questi tagli come molti temevano.
Il Ministero dell’Economia e della Pianificazione dell’Arabia Saudita ha rivelato che le entrate non petrolifere raggiungeranno il 50% del Prodotto Interno Lordo (PIL) del Regno nel 2023, il livello più alto di sempre.
L’economia non petrolifera del Paese è stata valutata a 1,7 trilioni di Riyal sauditi (circa 453 miliardi di dollari USA) a prezzi costanti, grazie alla crescita costante delle esportazioni, degli investimenti e della spesa dei consumatori. L’anno scorso, gli investimenti del settore privato del Regno sono cresciuti di un entusiasmante 57 percento, raggiungendo il record di 959 miliardi di Riyal sauditi (254 miliardi di dollari), mentre le esportazioni di arte e intrattenimento e di servizi reali sono cresciute a tre cifre, rispettivamente del 106 percento e del 319 percento, riflettendo la trasformazione del Regno in una destinazione globale per il turismo e l’intrattenimento.
Nel frattempo, il settore alimentare ha registrato una crescita del 77 percento; i servizi di trasporto e magazzinaggio sono cresciuti del 29 percento, la salute e l’istruzione hanno registrato una crescita del 10,8 percento, il commercio, i ristoranti e gli hotel del 7 percento, mentre i trasporti e le comunicazioni sono aumentati del 3,7 percento.
I settori meno brillanti sono quelli che maggiormente dipendono dal turismo, forse la scommessa meno riuscita per il governo saudita.
La diversificazione sta dando i suoi frutti
Tre anni fa, il Principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman ha presentato la Saudi Vision 2030, l’ambiziosa tabella di marcia del Regno per la diversificazione economica, l’impegno globale e il miglioramento della qualità della vita. L’obiettivo principale della visione è quello di diversificare l’economia dell’Arabia Saudita e creare opportunità di lavoro dinamiche per i suoi cittadini attraverso la privatizzazione di beni di proprietà dello Stato, compresa l’IPO parziale di Saudi Aramco; sbloccare industrie sottosviluppate come l’energia rinnovabile, l’industria manifatturiera e il turismo e modernizzare il curriculum e gli standard delle istituzioni educative saudite, dall’infanzia all’istruzione superiore.
Nel piano economico, l’Arabia Saudita ha fissato l’obiettivo di sviluppare ~60 GW di capacità di energia rinnovabile entro il 2030, multipli rispetto all’attuale capacità installata del Paese, pari a soli 2,8 GW e paragonabile a ~80 GW di centrali elettriche a gas o petrolio. Con le sue brezze costanti del Mar Rosso e le distese bruciate dal sole, l’Arabia Saudita è davvero un terreno privilegiato per la generazione di energia rinnovabile. Nel frattempo, Saudi Aramco ha annunciato l’intenzione di spendere 110 miliardi di dollari nei prossimi due anni per sviluppare il giacimento di gas di Jafurah, che si stima contenga 200 mila miliardi di piedi cubi di gas. Il gas sarà poi convertito in un carburante molto più pulito: Idrogeno blu.
Il Governo saudita sta anche costruendo un impianto di idrogeno verde da 5 miliardi di dollari, che alimenterà la megalopoli prevista di Neom. Denominato Helios Green Fuels, l’impianto di idrogeno utilizzerà l’energia solare ed eolica per generare 4GW di energia pulita che sarà utilizzata per generare idrogeno verde.
Nel 2022 Aramco ha effettuato la prima spedizione di ammoniaca blu al mondo, dall’Arabia Saudita al Giappone. Il Giappone è alla ricerca di fornitori affidabili di idrogeno, con l’Arabia Saudita e l’Australia nella sua lista ristretta.
Ma non è solo l’Arabia Saudita che sta avendo successo con la sua diversificazione economica. L’anno scorso, la Banca Mondiale ha pubblicato il World Bank Gulf Economic Update (GEU) che afferma che gli sforzi di diversificazione nella regione del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) stanno dando i loro frutti.
“La regione ha mostrato notevoli miglioramenti nella performance dei settori non petroliferi, nonostante la flessione della produzione di petrolio durante la maggior parte del 2023. La diversificazione e lo sviluppo dei settori non petroliferi hanno un impatto positivo sulla creazione di opportunità di lavoro in tutti i settori e le regioni geografiche del CCG”, ha dichiarato Khaled Alhmoud, Economista Senior della Banca Mondiale.
La Banca Mondiale stima che il PIL del CCG sia cresciuto dell’1% nel 2023, con una performance più debole dovuta principalmente alla riduzione delle attività del settore petrolifero – che hanno subito una contrazione del 3,9% – per riflettere i successivi tagli alla produzione dell’OPEC+ e il rallentamento dell’economia globale. Fortunatamente, la regione vedrà l’attività economica riprendersi per crescere al 3,6% e al 3,7% rispettivamente nel 2024 e nel 2025. Secondo la Banca Mondiale, la riduzione delle attività del settore petrolifero del CCG sarà compensata dai settori non petroliferi, che dovrebbero crescere del 3,9% nel 2023 e del 3,4% nel medio termine, grazie alla politica fiscale accomodante, agli investimenti fissi strategici e al consumo privato sostenuto.
Ovviaamente questa diversificazione è possibile perché alla base ci sono enormi risorse petrolifere, senza le quali gli enormi investimenti nelle energie alternative non sarebbero stati possibili. Nello stesso tempo però la vera prova avverrà con il tempo: quanti di questi investimenti manterranno la loro redditività anche in un ambiente futuro molto più competitivo sulle energie verdi.
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