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Euro crisis

#Ancorafalsimiti: la produttività e le solite “colpe” del fattore lavoro.

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Negli ultimi giorni abbiamo sentito, ancora una volta e ripetutamente, sostenere che il nostro problema sarebbe la produttività. La produttività, in prima approssimazione e molto brevemente, è il rapporto tra la quantità di output e di input utilizzati nel processo di produzione; ed il nostro problema starebbe proprio, appunto, nella – diciamo – quantità di produzione in rapporto ai fattori impiegati. Naturalmente, ancora una volta e tanto per cambiare, quello che ci penalizzerebbe sarebbe il fattore lavoro, nel quale saremmo meno produttivi, per es., della solita Germania. Vediamo allora una mappa della produttività nel 2012 per ora lavorata, cioè la quantità di PIL prodotto per ora lavorata – fonte Eurostat – dove il riferimento per l’indicizzazione (EU27=100) è l’Europa dei 27 paesi. La mappa si riferisce al 2012 ma si possono consultare anche lo storico ed i grafici.

Produttività del lavoro per ora lavorata (indice UE27=100)
Mappa SE I
Come è facile notare la produttiva per ora lavorata in Germania è maggiore di quella dell’Italia, mentre la produttività per ora lavorata in Francia è superiore a quella di entrambe. L’Italia ha livelli di produttività per ora lavorata nel “range” di quelli di Spagna, Regno Unito e Finlandia; quindi, è confermata una minore produttività “sull’ora” dei lavoratori italiani rispetto a quelli tedeschi e francesi. Siccome è difficile credere ad una mera e semplicistica spiegazione secondo cui gli italiani sono tutti delle lumache ed i tedeschi tutti “fulmini di guerra”, tanto da determinare un siffatto “spread di produttività”, cerchiamo di allargare la prospettiva per vedere se effettivamente è così oppure c’è dell’altro. Cominciamo prendendo ancora la produttività, ma questa volta per lavoratore occupato, cioè il PIL prodotto per lavoratore occupato – sempre fonte Eurostat – invece che per ora lavorata.

Produttività del lavoro per persona occupata (UE27=100)

Mappa SE IIQuello che si nota invece da questa mappa è che la produttività italiana per persona occupata è inferiore a quella della Francia ma superiore a quella della Germania – la Germania che ha fatto le riforme! Ma come è possibile che lavoratori che in un’ora sono meno produttivi di altri diventino “tutto d’una mappa” più produttivi. Semplice, i lavoratori italiani sono meno produttivi ma lavorano più ore di quelli tedeschi. Se un lavoratore tedesco, per es., in quattro ore produce 5 maglioni sarà più produttivo di un lavoratore italiano (a parità delle altre condizioni) che nello stesso tempo ne produce 4; ma se il lavoratore tedesco lavorerà solo sei ore produrrà 7,5 maglioni, mentre quello italiano lavorando 8 ore (sempre a parità delle altre condizioni) ne produrrà 8. Ecco che il lavoratore italiano con otto maglioni è più produttivo di quello tedesco con 7,5. La conferma si può trovare nel grafico sotto riportato  – dati OCSE – che testimonia come in Germania le ore lavorate sono di molto inferiori a quelle in Italia. Per cui è vero che i tedeschi hanno una migliore produttività per ora lavorata, ma è anche vero che, invece, per lavoratore occupato la produttività nostrana risulta maggiore.

Media delle ore lavorate nel 2012

Mappa SE III

Possiamo pertanto dire che i tedeschi sono più produttivi per ora lavorata, ma per lavoratore occupato no, in quanto il maggiore amount di ore prestate dal lavoratore italiano bilancia il gap di produttività sull’ora lavorata. Quindi anche relativamente alla produttività qualcosa che ci hanno raccontato non torna. Infatti, ancora una volta, sembra che si tenda a focalizzarsi su un problema (produttività del lavoro e dei lavoratori) senza occuparsi di verificare, o proprio per evitare di verificare, se ce ne siano altri. Come già detto i salari reali sono in diminuzione dagli anni ’90, quindi il problema non può essere la quota lavoro proprio perché già in diminuzione, mentre tra i costi strutturali che le imprese devono sopportare, i costi unitari di capitale (con un tasso di profitto che scendeva meno velocemente della produttività del capitale) hanno inciso di più dei costi unitari del lavoro. Inoltre, come detto in altro articolo, sempre su questo blog, negli ultimi anni, nonostante si parli sempre e solo della panacea rappresentata dalle riforme strutturali prendendo ad esempio le ormai ultranote riforme Hatz – si veda anche in caso “Hartz: un (in)successo part-time” – la rigidità nella tutela del lavoratore in Italia è, ormai, al di sotto di quella tedesca e francese (fonte OCSE). Quindi abbiamo avuto una diminuzione dagli anni ’90 dei salari reali mentre la rigidità del mercato del lavoro italiano è, proprio dagli inizi del terzo millennio – come da grafico riportato nell’articolo segnalato e che non si ripete – addirittura inferiore a quella del mercato del lavoro tedesco; ed in più, i lavoratori italiani lavorano per più ore. Nonostante questo non riescono ad essere più produttivi per ora lavorata di quelli tedeschi. A questo punto, ancora, come già segnalato, il problema non può essere nel solo fattore lavoro, ma una parte del problema deve essere anche nel fattore capitale (con tassi di profitto troppo elevati rispetto alla produttività del capitale stesso); e nella organizzazione imprenditoriale intesa come il know-how “fisico ed intellettuale” a disposizione e la capacità di allocare le risorse e di investire dove la produttività totale dei fattori è maggiore (innovando e riconvertendo), oltre che di sfruttare al meglio le attività già a disposizione. E questo non riguarda prettamente il fattore lavoro, bensì la capacità di innovare e di stare su un mercato in concorrenza, che è di solito “retaggio” di chi sta nella stanza dei bottoni; e quindi di competenza del gruppo dirigente e relativo alla sua capacità. Per cui, scaricare ancora una volta verso il basso la questione della “scarsa produttività” sembra uno dei tanti falsi miti che ci sono stati raccontati in questi anni, secondo i quali i problemi sarebbero unicamente determinati da una generale indolenza degli italiani verso il lavoro e dalla volontà di avere, per forza di cose, un posto fisso. Se si guarda più a fondo, invece, gli italiani non sono né così pessimi né così peggiori degli altri in generale, come invece vorrebbero farci credere; bensì, vedendo la produttività e le ore lavorate come riportato, la mancata capacità (sia nel pubblico che nel privato) di innovare avverso settori con una maggiore produttività totale dei fattori e anche di sfruttare al meglio le attività esistenti (sia nel pubblico che nel privato) – praticamente scelte ed investimenti che non competono proprio ai lavoratori – sommata al profitto ad ogni costo e ad una selezione che prescinde dal merito, dalle competenze, dalle capacità in generale e troppo spesso anche dal buon senso, sembrano pesare, sull’economia italiana, molto di più della “presunta” scarsa produttività del fattore lavoro.

Luca Pezzotta di Economia Per I Cittadini


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