Attualità
Altro che scandalo nell’Italia populista: l’abito fa il politico! di Massimiliano Lenzi.
Uno, nessuno e centomila. Sarà il fascino della divisa ma nel cambiarsi d’abito di Matteo Salvini, leader della Lega, vicepremier del Governo Conte e Ministro dell’Interno, c’è qualcosa di più di una banale questione di abbigliamento.
Lasciamo perdere le critiche e le ideologie, così formali ed a volte persino bigotte nelle loro obiezioni, critiche che da sinistra hanno sollevato in più d’uno per il guardaroba di Salvini, ed andiamo al sodo. L’abito da pompiere (o se preferite vigile del fuoco), da poliziotto, le vesti della Protezione Civile, quelle della Marina Militare, insomma Salvini appena può, in ogni occasione pubblica fa di tutto per vestirsi popolare, con gli indumenti dei mestieri e delle attività che hanno paghe basse (quando non sono addirittura volontariato) e per evitare la giacca, la camicia, la cravatta d’ordinanza da Ministro.
Quello che non hanno capito i suoi critici e neppure chi lo biasima dai propri ruoli, siano sindacalisti o avversari politici, è che nell’era della casta mandata a quel Paese, del populismo, del Governo giallo-verde, mettersi il vestito elegante della Cresima equivale a perdere voti. Perché l’abito fa il monaco e pure qualcosa di più, altro che storie. C’è nell’abbigliamento di ordinanza dei politici in Parlamento, vestiti eleganti, doppiopetto, camice inamidate e stirate, cravatte di seta, quella freddezza del Potere che il popolo nella vecchia Europa sembra non digerire più. Prendete l’ultima rivolta popolare nata in Francia, quella dei gilet gialli.
Ma perché i gilet gialli? Perché sono l’abbigliamento di chi lavora con umiltà, di chi ha un guasto alla macchina e deve cambiare la gomma facendosi vedere con un gilet addosso, giallo od arancione, per non essere travolto mentre la sostituisce. Perché il gilet è l’indumento di chi sgobba e guadagna poco. Un look operaio. Quello che a sinistra, in Italia, non stanno capendo è che nel cambiarsi d’abito di Salvini c’è un messaggio politico: io sto con i mestieri del popolo, della sicurezza, dell’ordine, pagati scarsamente ma così indispensabili in una società giusta, che non voglia deragliare. In fondo il suo essere Fregoli incarna quello che l’eskimo rappresentava nella seconda metà degli anni Sessanta, ai tempi delle rivolte studentesche.
La semantica degli abiti, incarnata nei cambi di scena del leader della Lega, la nostra nuova Wanda Osiris popolare. Francesco Guccini, nel secolo scorso, sul significato di quell’eskimo sessantottino ci scrisse una canzone potente e poetica: “Portavo allora un eskimo innocente / dettato solo dalla povertà / non era la rivolta permanente / diciamo che non c’era e tanto fa. Portavo una coscienza immacolata / che tu tendevi a uccidere, però inutilmente ti ci sei provata / con foto di famiglia o paltò… E quanto son cambiato da allora / e l’eskimo che conoscevi tu, lo porta addosso mio fratello ancora / e tu lo porteresti e non puoi più / bisogna saper scegliere in tempo / non arrivarci per contrarietà: tu giri adesso con le tette al vento / io ci giravo già vent’anni fa!”.
Saper scegliere in tempo, perché in politica arrivare prima degli altri nel capire i mutamenti sociali ed i bisogni della gente conta. Eccome. Sarà per questo che Salvini la giacca e la cravatta la indossa in poche occasioni (l’ha fatto martedì, alla cena dove erano anche la Boschi ed altri renziani) per segnare ciò che non gli importa. Perché come ripeteva Coco Chanel, “una moda che non raggiunge le strade non è moda”.
Massimiliano Lenzi, Il Tempo 17.1.19
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