Economia
Altro che a favore dei ricchi, la manovra favorisce la progressività, ecco perchè la sinistra sbaglia ancora

La tesi secondo cui questa legge favorirebbe i ricchi ha avuto un notevole riscontro su una parte della stampa ed è stata ripresa dai leader dell’opposizione. Sono così circolate come spesso accade interpretazioni alquanto fantasiose delle audizioni della Banca d’Italia, dell’Istat e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Si tratta del solito tentativo di certa sinistra di usare e strumentalizzare, estrapolando da relazioni e dati di istituti terzi, solo alcun parti dei documenti, ingannando ( o almeno cercando di farlo) una parte dell’opinioen pubblica.
La Banca d’Italia ha affermato, infatti, che la riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35 al 33% darebbe un beneficio ai contribuenti con reddito superiore ai 28 mila euro, come era nelle intenzioni del governo, e “in misura crescente fino a 440 euro annui per i redditi pari o superiori a 50 mila euro”. Ed ecco che questo fa scattare il melting pot di Cgil e sinistra che accusano ancora una volta la destra di favorire i ricchi, a tutto danno di poveri e ceto medio. “Il 2% di 50 mila è più alto del 2% di 28 mila! Insomma, si vuole un sistema fiscale che pesi di più sui redditi alti; è ovvio che, quando si riduce un’aliquota, si sgrava di più (in valore assoluto, non in percentuale) chi dichiara di più.” scrive Giampaolo Galli, economista della Boccini ed ex deputato del Pd ( quindi certo non un esponente assimilabile alla maggioranza di governo).
Per l’Istat, con la riduzione dell’Irpef, “oltre l’85% delle risorse sono destinate alle famiglie dei due quinti più ricchi della distribuzione del reddito”. Anche qui, apriti cielo: si favoriscono i ricchi. Peccato che i due quinti più ricchi siano il 40% e che il 40% della distribuzione cominci – guarda caso – proprio con 28 mila euro, ossia 1.880 euro al mese! E che su questo 40% grava quasi l’80% del gettito Irpef. Fatto sta che, per buona parte dei leader dell’opposizione, la nuova frontiera della ricchezza sembra essere diventata 28 mila euro. Forse anche perchè effettivamente hanno poca dimestichezza con la quotidianità della vita dei normali cittadini.
“Per fortuna, le audizioni hanno ricordato le precedenti misure di alleggerimento fiscale, da quella del governo Draghi nel 2021 alle precedenti manovre del governo attuale. E come ha detto – nero su bianco – l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, alla fine di questo ciclo di interventi l’imposta è diventata più progressiva e ha dunque accentuato il suo carattere redistributivo. Quale altra redistribuzione vogliamo (o meglio, vuole la CGIL, con sinistra al seguito) in un Paese in cui 13 milioni di contribuenti sono pressoché esenti, il 50% dei contribuenti paga solo il 7% del totale Irpef e l’aliquota massima (43%) colpisce i redditi da 50mila euro in su, un livello tre volte più basso di quello di Paesi come la Francia che hanno un Pil pro capite vicino al nostro?” si chiede ironicamente sempre Galli.
Ma se si fa un breve excursus delle quattro manovre di questo governo forse si capisce meglio come le critiche pur rispettabilissime e legittime, non entrino nel merito, ma siano soprattutto strumentali.
La prima (2023) è stata una manovra d’urgenza ed è arrivata in un momento di altissima inflazione e di problemi legati al caro bolletta e con uno spread che era oltre i 200 punti permetteva ristretti spazi di manovra. Ma comunque il governo è riuscito ad approvare il taglio del cuneo contributivo per i redditi medio-bassi di tre punti (fino a 25 mila) e di due (fino a 35 mila) così da aumentare il netto in busta senza passare da bonus o complicate detrazioni.
Con la seconda manovra (2024) iniziano le riforme strutturali: taglio del cuneo fiscale prolungato e rafforzato (non accadeva dagli anni Novanta) e riduzione delle aliquote da quattro a tre: i primi due scaglioni si fondono in uno solo (al 23 per cento sino a 28 mila euro) con benefici stabili per i dipendenti, non più legati, quindi, a emergenze.
Nella terza (2025) le nuove tre aliquote, stabilizzate, diventano l’ossatura della nuova Irpef, primo passaggio verso una seria riforma dell’imposta sul reddito. Intanto, però, si rendono permanenti anche “sconti” su asili nido, decontribuzioni per madri lavoratrici e carte acquisti per famiglie giovani sotto i 40 mila, le categorie più esposte del ceto medio di riferimento.
La manovra per il 2026 è forse la più politica, perché interviene proprio dove c’è il buco nero della fiscalità italiana: ossia sulla fascia 2850 mila euro che è la più “schiacciata” e la meno considerata; il secondo scaglione, qui, scende dal 35 al 33 per cento per rifavorire il potere d’acquisto. In sintesi si tutelano dei redditi più bassi ma anche quelli che soprattutto producono e che tengono in piedi la domanda interna.
E tutto questo riuscendo ad abbassare lo spread aa 74 punti, ottenendo promozioni in serie dalle agenzie di rating e la fiducia dei mercati internazionali sul paese, che la stessa presidente della Bce ha definito come un modello da seguire per tutta Europa. Ed ecco allora che accusare il governo di impoverire il ceto medio ( dopo che in dieci anni di governo, la sinistra non ha fatto assolutamente nulla per loro) oltre che una strumentalizzazione politica rischia di diventare l’ennesimo boomerang per una sinistra sempre piu disorientata e incapace di rendersi credibile agli occhi dei cittadini.









You must be logged in to post a comment Login